Alta Terra di Lavoro

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007 NELLE DUE SICILIE di ERMINIO DE BIASE

Posted by on Apr 29, 2020

007 NELLE DUE SICILIE di ERMINIO DE BIASE

A dispetto delle tante spallate che sta subendo, ancora oggi la storia “ufficiale” insiste nel raccontarci la “favoletta” del buono e del cattivo, in cui, ovviamente, i buoni sono quei “fratelli d’Italia” che, motu proprio, vennero ad affrancarci dal dominio di Re ignoranti, ottusi ed opprimenti, i cattivi, insomma.

         Ciò accade non solo nella scuola dell’obbligo e secondaria, ma anche e soprattutto nelle università, istituzioni che, oltre a completare e ad incoronare la formazione culturale di chi vi accede, dovrebbero essere preposte alla ricerca. Provate, però, solamente a prospettare ad un docente universitario una versione storica diversa da quella “tradizionale” che, per routine, per indottrinamento, per opportunismo politico, se non per ignoranza, viene trasmessa agli studenti. Forte del suo ruolo canonico ed istituzionale, l’interlocutore accademico comincerà a sfoderare un sorrisino ironico (forse di imbarazzo) senza nemmeno valutare quanto gli si espone e, se proprio è costretto a farlo, qualche volta, finirà con l’adirarsi, anche se in maniera contenuta. E così si persevera nel trasmettere una memoria storica falsata.

         Conformemente a quanto detto, nella sua ultima pubblicazione sul cosiddetto “eroe dei due mondi”, Alfonso Scirocco, emerito docente di Storia del Risorgimento dell’Università Federico II di Napoli, a proposito della caduta del Regno delle Due Sicilie, afferma, pace all’anima sua, che si sospetta, senza ragione, la complicità dell’Inghilterra[1] e che i Mille non furono appoggiati da nessun governo[2] (sic!).

La complicità della Gran Bretagna ci fu (e come!) e credo di averla già dimostrata a sufficienza.[3] Per di più, tra le sue varie ingerenze nel processo di “unificazione coatta” della penisola italiana, ci fu anche quella meno nota, attuata da un suo agente segreto, mandato a “curare”, prima durante e dopo il 1860, gli interessi del governo di sua maestà britannica il cui nome era Oliphant, Laurence Oliphant, ottocentesco antesignano di James Bond. Ricco di ingegno e di acuto intuito, questi raggiungeva i suoi scopi con tenacia e perseveranza. Aveva, inoltre – fondamentale per la sua attività – una particolare abilità nel tessere trame: in particolar modo, era molto bravo a vuttà ‘a pretella e a annasconnere ‘a manella. Molto rigido mentalmente, Laurence Oliphant fu anche uno dei più famosi proto-sionisti di Inghilterra.

         Definito “viaggiatore”, “diplomatico” e financo “mistico”, spese la maggior parte della sua vita in viaggi in tutto il mondo sempre laddove erano da tutelare gli smodati e smisurati interessi albionici. “Figlio d’arte”, Laurence Oliphant (1829-1888) viene per la prima volta in Italia insieme con i genitori alla fine del 1847, giusto in tempo, guarda caso, per assistere agli scoppi dei moti rivoluzionari che quell’anno caratterizzarono tutta l’Europa ma (sempre guarda caso) non l’Inghilterra. Così succede che, una sera, si trovò a Roma, in mezzo a una folla strepitante, proprio nel momento in cui si faceva a pezzi lo stemma della Legazione Austriaca, dopo averlo staccato dal muro: cento mani afferrarono le funi con cui era legato e lo trascinarono in trionfo a Piazza del Popolo dove, un certo Ciceruacchio, un commerciante di legname che in quei giorni fu un grandissimo tribuno della plebe, aveva approntato un paio di carri pieni di legno. Rovesciato rumorosamente il loro contenuto, con esso si formò una catasta sulla cui sommità venne issato il suddetto stemma. La principessa Doria Pamphili, che in quel momento stava passando di là, fu obbligata a scendere dalla sua carrozza e si trovò in mano una torcia accesa con cui fu obbligata ad accendere il falò che avvampò alto tra le urla degli scalmanati circostanti che, tenendosi per mano e formando un cerchio, danzavano e saltavano come indemoniati.[4] L’inglese prese parte attiva in tutto ciò e, tornando a casa stanco morto, ritenne di essere stato più che degno del suo paese…

         In un’altra occasione, svegliato verso l’una o le due di notte da un incessante brusio si affacciò alla finestra e vide giù per strada una nutrita folla che si muoveva compatta. Vestitosi alla svelta, si unì ad essa e si ritrovò davanti alla sede della Propaganda Fidae, contro la quale venivano portati pesanti colpi con degli arieti improvvisati. Sfondate le porte si trovarono, però le celle vuote e i corridoi deserti perché i monaci avevano cercato di mettersi in salvo scappando… [5]

         Nei giorni successivi sarà a Livorno, a Messina, a Catania, Siracusa (luoghi che lo vedono  quasi sempre protagonista) e, naturalmente, anche a Napoli di cui però nulla dice ma dove, ci fa intuire, essere stato molto attivo perché, quando vi ritornerà nell’autunno del 1860, assistendo ad un discorso di Vittorio Emanuele, tenuto da un balcone dell’usurpato Palazzo Reale, tornerà con la mente ad un certo giorno di dodici anni prima, quando era tra la folla nella stessa piazza al momento in cui, per ordine di Bomba, fu loro sparato addosso dalle truppe e poté riconoscere lo stesso portone in cui, in quell’occasione,[6] aveva trovato rifugio.

Sempre a Napoli, nello stesso 1860, Oliphant fu ricevuto da Garibaldi con affettuosa cordialità e, con la speranza di “veder combattere”, andò a Capua ma trovò che il lavoro vero e proprio era già stato fatto, dai “volontari” inglesi. Successivamente, il suo amico ungherese, Eber, generale dell’esercito di Garibaldi e corrispondente de The Times, lo invitò al suo quartier generale a Caserta, nel grande e splendido palazzo reale dove, venendo ospitati in quei giorni, senza distinzione alcuna, cani e porci, gli fu concesso di dormire proprio nella stanza da letto del Re!.[7] Ovviamente, sempre per “dar ragione” a chi sostiene l’estraneità dell’Inghilterra nella caduta del regno delle Due Sicilie, mesi prima era stato anche a Genova, alla vigilia della partenza di Garibaldi per la Sicilia.

All’inizio del 1862, viene ancora una volta mandato in missione speciale in Italia, direttamente da Lord Russell, il ministro degli esteri britannico, molto interessato a ricevere un circostanziato resoconto sugli avvenimenti che si vivevano, in particolar modo, al centro-sud. Gli fu ordinato di andare a Napoli a consultare il generale La Marmora, comandante in capo delle forze di Vittorio Emanuele passando però – nota bene – prima per Venezia e Trieste e Corfù e ritornare poi a Torino, a riferire a Sir James Hudson, ministro della Gran Bretagna nel Regno di Sardegna. Russell lo assicurò che il Foreign Office gli avrebbe fornito abbastanza denaro per le spese. Quest’ultimo ed il suo sottosegretario agli Esteri, Austen Henry Layard, erano particolarmente preoccupati per lo stato delle cose in Italia: da mesi correvano voci che la Reazione si stesse movendo contro la recente unificazione. Essendo venuto a sapere che Scutari [in Albania] era divenuto un centro del movimento rivoluzionario contro l’Italia unita, faceva del suo meglio per cercare di scoprire in quale punto esatto delle coste italiane sarebbero sbarcate le bande armate di cui aveva udito…[8]

         Qualcosa del genere stava veramente bollendo in pentola da parte del Legittimismo Borbonico. Se ne ha riscontro in un capitolo del libro di Ludwig Richard Zimmermann, Memorie di un ex Capo-Brigante, in cui si legge che, proprio nello stesso periodo, si stava progettando una spedizione dalla Dalmazia, per cui necessitava indurre il governo austriaco a permettere l’arruolamento di un migliaio di volontari austro-germanici, ufficiali compresi. Allo scopo, bisognava acquistare un adeguato numero di armi, divise ed equipaggiamenti da quelle che erano state le scorte per i volontari austriaci nel 1859 e depositarle sulle isole dalmate di Lissa, Lesina, Curzola e Lagosta, dove sarebbero state trasportare delle squadre che, dopo essere state equipaggiate, sarebbero poi state traghettate verso un adeguato approdo del territorio boschivo del Gargano, particolarmente adatto alla guerriglia. Guerriglia che avrebbe incitato alla rivolta la Capitanata, le province del Molise, del Principato Ulteriore e della Basilicata.[9]

         A Vienna, però, le trattative fallirono, perché, come riferisce lo stesso Zimmermann, nessuno fu disposto a cedere, soprattutto a credito, le armi e tutto quanto necessario alla spedizione, così come si chiedeva da Roma. Come già detto, però, negli stessi giorni in cui prendeva corpo l’idea di questa spedizione, per il territorio austriaco c’era passato anche l’agente segreto britannico, prima di raggiungere l’Italia, … E i rapporti tra Vienna e Londra erano più che buoni…  

         Sempre nei primi mesi del 1862, altri rapporti di Laurence Oliphant arrivavano sulla scrivania di Lord Russell. In uno di questi, datato 19 aprile, a conclusione di una lunghissima e particolareggiata descrizione della situazione definita “Brigantaggio” (ben undici cartelle) si legge, tra l’altro: “Quando giunsi lungo la costa, ebbi modo di osservare i lavori della ferrovia che avanzavano rapidamente ed il generale Cadorna mi assicurò che solo sulla linea degli Abruzzi erano impegnate quattordicimila persone”.[10]

         Ad un lettore superficiale, distratto o appartenente a quella cultura ufficiale a cui abbiamo accennato all’inizio, questa frase farà probabilmente pensare che, una volta impadronitisi i piemontesi dell’intera Italia, emergevano subito i primi segni di modernità e benessere. Già, perché la ferrovia è segno di progresso e, non a caso, la prima in Italia era stata inaugurata proprio a Napoli. Non si chiede, però, lo stesso lettore, come mai, in una sanguinosa fase storica di assestamento politico ed istituzionale, in pieno “Brigantaggio”, in un segmento geografico relativamente modesto, lungo circa un centinaio di chilometri lavorassero ben quattordicimila operai?!? La risposta è sempre da ricercare negli interessi imperialistici della Gran Bretagna che stava costruendo una ferrovia che, una volta ultimata, si sarebbe estesa per tutta la lunghezza della dorsale adriatica: era il progetto della cosiddetta “Valigia delle Indie”, un altro solidissimo interesse commerciale britannico che non si sarebbe potuto concretizzare a dovere, se quelle zone fossero state ancora in mano ai vecchi governi dello Stato della Chiesa e del Regno delle Due Sicilie…

Erminio de Biase

Pubblicato l’Alfiere n°1- fasc. 40 – anno XVII


[1] Alfonso Scirocco – Garibaldi – Bari 2004 – pag. 259

[2] Ibidem

[3] Cfr. L’Inghilterra contro il Regno delle Due Sicilie – Napoli 2002

[4] Laurence Oliphant – Episodes in a life of adventures – Edimburgh (senza data) – pp. 24-31

[5] Ibidem

[6] Idem – p.184

[7] Anne Taylor – Laurence Oliphant – Oxford 1982 – p. 81

[8] Idem – p. 91

[9] Ludwig Richard Zimmermann – Erinnerungen eines ehemaligen Brigantenchefs – Berlin 1868 – p. II – pp. 33/34

[10]Lettera di Mr. Oliphant al Conte Russell (19 aprile 1862, da Foggia) P.R.O. – London – (FO881/1060 16268)

Laurence Olpihant

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