Alta Terra di Lavoro

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1.000.000 di MORTI NAPOLITANI (seconda parte)

Posted by on Giu 2, 2017

1.000.000 di MORTI NAPOLITANI (seconda parte)

LA FARINA nel rendiconto che manda, il 12 gennaio 1861, a Carlo Pisano si legge: “Impieghi tripli e quadrupli di quanto richieda il pubblico servizio … cumulo di quattro o cinque impieghi in una medesima persona … ragguardevoli offici a minorenni … pensioni senza titolo a mogli, sorelle, cognate di sedicenti patrioti“. Lo stesso scrive all’amico Ausonio Franchi: “i ladri, gli evasi dalle galere, i saccheggiatori e gli assassini, amnistiati da Garibaldi, pensionati da Crispi e da Mordini, sono introdotti né carabinieri, negli agenti di sicurezza, nelle guardie di finanza e fino nei ministeri“.

LA FARINA, 12 giugno: “Il governo sapendosi avversato dalla maggioranza dei cittadini, cerca farsi partigiani negli uomini perduti”.

18 giugno: “Fanno leggi sopra leggi […] mettono le mani nei depositi dei particolari esistenti in tesoreria […] non trovando partigiani nel partito liberale, cercano farsi amici negli uomini più odiati e spregiati […]. La legge della leva così imprudentemente pubblicata e stoltamente redatta, già produce i suoi frutti: un grido d’indignazione s’è levato da per tutto […]. In molti Comuni sono avvenute delle vere sollevazioni”.

28 giugno: “Io non debbo a lei celare che all’interno dell’isola gli ammazzamenti sieguono in proporzioni spaventose; che nella stessa Palermo in due giorni quattro persone sono state fatte a brani; e che tutto è stato disordinato e messo sossopra con una insensatezza da oltrepassare ogni limite del credibile”.

29 giugno: “L’altro giorno si discuteva sul serio di ardere la biblioteca pubblica, perché cosa dei gesuiti: ieri il comandante della piazza, Cenni, ordinava di fare sgombrare le scuole. Si assoldano in Palermo più di 20.000 bambini dagli 8 ai 15 anni e si dà loro tre tari al giorno! Si mette la finanza della Sicilia in mano di quel ladrissimo e ignorantissimo B…! In una sola partita di cavalli requisita nella provincia di Palermo ne spariscono 200! Si dà commissione di organizzare un battaglione a chiunque ne faccia domanda; così che esistono gran’numero di battaglioni, che hanno banda musicale ed officiali al completo, e quaranta o cinquanta soldati! Si dà il medesimo impiego a 3 o a 4 persone! Si manda al tesoro pubblico a prendere migliaia di ducati, senza né anco indicarne la destinazione! Si lascia tutta la Sicilia senza tribunali né civili, né penali, né commerciali, essendo stata congedata in massa tutta la magistratura! Si creano commissioni militari per giudicare di tutto e di tutti, come al tempo degli Unni”.

2 luglio a Davide Morchio: “Non abbiamo nulla che possa somigliarsi ad un governo civile: non vi sono tribunali […] non ci è finanza, avendo tutto assorbito l’intendente militare; non v’è sicurezza, non volendo il dittatore né polizia, né carabinieri, né guardia nazionale, non v’è amministrazione, essendo state sciolte tutte le intendenze”.

17 luglio ad Ausonio Franchi: “Garibaldi dichiara pubblicamente che non vuole tribunali civili, perché i giudici e gli avvocati sono imbroglioni; che non vuole assemblea perché i deputati sono gente di penna e non di spada; che non vuole niuna forza di sicurezza pubblica, perché i cittadini debbono tutti armarsi e difendersi da loro”.

19 luglio a Giuseppe Clementi: “I bricconi più svergognati, gli usciti di galera per furti e ammazzamenti, compensati con impieghi e con gradi militari. La sventurata Sicilia è caduta in mano di una banda di Vandali”.

Si comprende finalmente da dove nasce, in Sicilia e nel meridione, l’inefficienza burocratica e giudiziaria, l’amoralità della classe politica, il clientelismo e la corruzione.

Il Contemporaneo”, giornale di Firenze nell’agosto 1861 pubblica una statistica di soli nove mesi dell’operato dell’esercito savoiardo nelle province meridionali: “Morti fucilati istantaneamente: 1.841; morti fucilati dopo poche ore: 7.127; feriti: 10.604; prigionieri: 6.112; sacerdoti fucilati: 54; frati fucilati: 22; case incendiate: 918; paesi incendiati: 5; famiglie perquisite: 2.903; chiese saccheggiate: 12; ragazzi uccisi: 60; donne uccise: 48; individui arrestati: 13.629; comuni insorti: 1.428 “.

Benjamin Disraeli, alla Camera dei Comuni del parlamento inglese, nel 1863: “Desidero sapere in base a quale principio discutiamo sulle condizioni della Polonia e non ci è permesso discutere su quelle del Meridione italiano. E’ vero che in un Paese gl’insorti sono chiamati briganti e nell’altro patrioti, ma non ho appreso in questo dibattito alcun’altra differenza tra i due movimenti”

McGUIRE deputato al parlamento inglese anno 1863, ammette l’influenza inglese negli avvenimenti risorgimentali: “Limitarsi cioè ad impegnare il governo inglese nel nome della comune umanità, perché s’interponga a prevenire la continuazione delle atrocità che si commettono nelle Due Sicilie, delle quali il medesimo governo è in gran parte responsabile, per avere col peso della sua influenza fatta traboccare la bilancia a prò del Piemonte, e a danno del giovane re Francesco II, lasciandolo fra le mani dei traditori. […] Per me, io non credo nell’unità d’Italia e la ritengo una smodata corbelleria. L’Italia è come un castello di carte, al primo urto sicuramente andrà in pezzi. Voi potete piuttosto sperare di unire le varie nazioni del continente europeo in una sola nazione che unire l’Italia del Sud a quella del Nord, e rendere i napoletani contenti di vivere sotto il giogo di un popolo che disprezzano come barbaro, ed odiano come oppressore”.

Agosto 1862 i paesi in rivolta sono 1.500, è dichiarato lo stato d’assedio nelle regioni meridionali, parte violenta e dura la riconquista dei paesi in mano ai partigiani.

McGUIRE, deputato scozzese, 1863: “Non vi può essere storia più iniqua di quella dei piemontesi nell’occupazione dell’Italia Meridionale. In quel luogo di pace, di prosperità, di contento generale che si erano promessi e proclamati come conseguenza certa dell’unità d’Italia, non si ha altro di effettivo che la stampa imbavagliata, le prigioni ripiene, le nazionalità schiacciate ed una sognata unione che in realtà è uno scherno, una burla, un impostura“.

PAPA PIO IX, 30 settembre 1861: Aborre invero e rifugge l’animo per dolore e trepida nel rammentare più paesi del regno napoletano incendiati e rasi al suolo, e quasi innumerevoli integerrimi sacerdoti e religiosi e cittadini di ogni età, sesso e condizione, e gli stessi malati indegnissimamente ingiuriati, e poi eziando senza processo, o gettati nelle carceri o crudelissimamente uccisi.”

Giustino Fortunato a Pasquale Villari (2-IX-1899): “L´unità d´Italia (…..) è stata, purtroppo, la nostra rovina economica. Noi eravamo, nel 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico, sano e profittevole. L´unità ci ha perduti. E come se questo non bastasse, è provato, contrariamente all’opinione di tutti, che lo Stato italiano profonde i suoi benefici finanziari alle province settentrionali in misura ben maggiore che nelle meridionali (…..)”.

Giustino Fortunato a Benedetto Croce: “Non disdico il mio “unitarismo”. Ho modificato soltanto il mio giudizio sugli industriali del Nord. Sono dei porci più porci dei maggiori porci nostri. E la mia visione pessimistica è completa”.

Francesco Proto Carafa, duca di Maddaloni: Intere famiglie veggonsi accattar l’elemosina; diminuito, anzi annullato il commercio; serrati i privati opifici. E frattanto tutto si fa venir dal Piemonte, persino le cassette della posta, la carta per gli uffici e per le pubbliche amministrazioni. Non vi ha faccenda nella quale un onest’uomo possa buscarsi alcun ducato che non si chiami un piemontese a sbrigarla. Ai mercanti del Piemonte si danno le forniture più lucrose: burocrati di Piemonte occupano tutti i pubblici uffizi, gente spesso ben più corrotta degli antichi burocrati napoletani. Anche a fabbricar le ferrovie si mandano operai piemontesi i quali oltraggiosamente pagansi il doppio che i napoletani. A facchini della dogana, a camerieri, a birri vengono uomini del Piemonte e donne piemontesi si prendono a nutrici dello spizio de’ trovatelli, quasi neppure il sangue di questo popolo piu’ fosse bello e salutevole. . Questa è invasione non unione, non annessione! Questo è voler sfruttare la nostra terra di conquista. Il governo di Piemonte vuol trattare le province meridionali come il Cortez ed il Pizarro facevano nel Perù e nel Messico, come gli inglesi nel regno del Bengala. Bella unificazione é quella di una contrada cui si affoga in un mare di sangue, cui si crocifigge in un letto di miserie! E pure questi misfatti perpetrano gli uomini preposti oggi alla cosa pubblica: essi che spengono nei nostri popoli anche le dolci illusioni di libertà, che gli fan vedere come un reggimento costituzionale potesse divenire sinonimo di dispotismo; come all’ombra di un vessillo tricolore facilmente si violasse il domicilio, il segreto delle lettere e la libertà personale si potesse manomettere e sin le forme stesse della giustizia; e gli accusati tener prigionieri ed ingiudicati lunga pezza e mandare a morte senza neppur procedura di giudizio, per solo capriccio di un caporale o per sospetto e delazione di qualche scellerato ».

Denis Mack Smith: “Quando i piemontesi entrarono in territorio napoletano … una delle prime azioni del generale Cialdini fu di far fucilare sul posto ogni contadino che fosse trovato in possesso di armi; era una spietata dichiarazione di guerra contro gente che non aveva nessun nessun altro mezzo di difesa.”

De Sivo G. : Discorso pe’ morti nelle giornate del Volturno difendendo il reame- “La patria nostra, dalla quale andiam lontano esuli e raminghi, era buona, era bella, era il sorriso del Signore, la provvidenza la faceva abbondante e prosperosa, lieta e tranquilla, e gaia e felice; ell’era il sospiro delle anime gentili, l’amore d’ogni cuor virtuoso; aveva leggi sapienti, morigerati costumi e pienezza di vita; aveva eserciti, flotte, strade, industrie, opifici, templi e regge meravigliose; avea una stirpe di principi clementi, ultimi rampolli di S. Luigi; aveva il giovane re Francesco, figlio della venerabile Cristina, nato napolitano, buono, soccorrevole e pio.” “Le industrie sono cadute, il commercio è estinto, la sicurezza è fatta ignota parola.  Han saccheggiate le nostre case, han bruttato le regge di ogni sozzura, i nostri monumenti li han mutilati, esaurito han l’erario, distrutto l’esercito, rubata la flotta, dispersi gli opifici, deserti i collegi, le accademie e le università. Han gettato alla via centomila famiglie d’uffiziali militari e civili, or morenti dalla fame; ha cacciato da’ loro tuguri i pacifici contadini, han vietato di fatto la coltura de’ campi, ha riempiute le carceri e sin le selpoture  di uomini  viventi, rei soltanto d’odiar lo straniero opprossore”.

DE SIVO GIACINTO,  21 ottobre 1860: (“Italia e il suo dramma politico nel 1861″, pubblicato a Livorno nel 1861,  a pag. 42)  riferisce: ” il plebiscito a Napoli si svolse in un  clima di terrore… quando a un girar di ciglio un uomo era morto; quando i cartelli sulle cantonate dichiaravano NEMICO chi votasse pel NO ; quando battiture e ferite e morti seguivano nelle sale de’ comizi; quando anche l’astenersi era apporto a colpa di stato, in quel terribile furor di guerra fra cannoni e pugnali e revolvers; quando eran poste due  urne palesi per far che la paura sforzasse la coscienza e quelle del NO eran coperte da’ camorristi; quando costoro in frotta, di piazza in piazza, votavan le dodici volte; quando minacce, insinuazioni e promesse sforzavano la volontà; quando gl’impazienti vincitori, frementi dell’aspettare e del veder pochi votanti lanciavano a piene mani il SI dentro l’urne; quando gli scrutinatori   moltiplicavanli con la penna, e  ne facevano a forza numero di maggioranza… ” (F. M. Di Giovine in – G. de’ Sivo – La Tragicommedia)  UDITE UDITE , anche Garibaldi e i suoi garibaldini votarono!!!

DE SIVO GIACINTO (1868): Sorsero bande armate, che fan la guerra per la causa della legittimità; guerra di buon diritto perché si fa contro un oppressore che viene gratuitamente a metterci una catena di servaggio. I piemontesi incendiarono non una, non cento case, ma interi paesi, lasciando migliaia di famiglie nell’orrore e nella desolazione; fucilarono impunemente chiunque venne nelle loro mani, non risparmiando vecchi e fanciulli“.

LORD LENNOX, parlamentare inglese, 8 maggio 1863: “Sento il debito di protestare contro questo sistema. Ciò che è chiamata unità italiana deve principalmente la sua esistenza alla protezione e all’aiuto morale dell’Inghilterra, deve più a questa che a Garibaldi, che non agli eserciti stessi vittoriosi della Francia, e però, in nome dell’Inghilterra, denuncio tali barbarie atrocità, e protesto contro l’egidia della libera Inghilterra così prostituita“.

Lord Henry Lennox, che nell’inverno 1862-63, quando era ammiratore della Rivoluzione italiana e specialmente di Garibaldi, visitò le vecchie province napoletane, comunicò le sue impressioni alla Camera dei Comuni: “I fatti che sto per narrare, disse, sono avvenuti sotto i miei occhi; impegno il mio onore sulla loro verità, e sul fatto che non ne farò alcuna esagerazione. Vorrei ricordare a questa assemblea che, quando visitai Napoli per la prima volta, dopo la formazione del regno d’Italia, ero un ardente sostenitore di re Vittorio Emanuele.” Dopo aver visitato la prigione Santa Maria scrisse la seguente protesta sul registro dei visitatori dopo aver riconosciuto l’estrema cortesia del direttore: “Ma i sottoscritti non possono fare a meno di esprimere quanto rincresca che alcuni prigionieri siano detenuti da mesi senza processo, e che, a quanto hanno assicurato, non siano stati mai nemmeno interrogati dalle autorità sulle cause della loro carcerazione”.

La quarta prigione che visitò era quella di Salerno. “Il direttore fu estremamente cortese e, saputo dello scopo della mia visita, mi diede il benvenuto augurandosi che potesse recare qualche positiva conseguenza. Soggiunse che era costretto, in quel momento, a tenere 1.359 prigionieri in un carcere che poteva ospitarne 650: tale affollamento aveva provocato un’epidemia di tifo che aveva ucciso anche un medico e una guardia. Tra i prigionieri della prima cella si contavano  otto o nove sacerdoti e quattordici cattolici laici, tutti sospetti oppositori del governo, e reclusi con quattro o cinque criminali incalliti. Nella cella successiva c’erano altri 157 detenuti, la maggior parte dei quali senza processo. Vivevano lì tutto il giorno, lì dormivano, e tranne una breve passeggiata in un cortile ridottissimo, questi disgraziati passavano loro vita in quel luogo, senza sapere perché vi erano finiti. […] La cella successiva era un lungo stanzone con soffitto a volta, e vi si trovavano 230 prigionieri. Descrivere lo squallore e la sporcizia in cui questi derelitti giacevano richiederebbe un’eloquenza che non possiedo. Tra i prigionieri c’erano uomini di differenti classi sociali:(…) Un uomo di settanta anni era ridotto a un relitto umano. Altri erano in prigione da così tanto tempo, che i loro vestiti cadevano  a brandelli… alcuni erano in tale stato di nudità, da non potersi alzare dalle sedie, mentre gli passavamo accanto, per attirare la nostra attenzione come facevano i loro compagni… Taluni non avevano giacche, scarpe, calze, nulla, se non una vecchia giubba e uno straccio  che faceva loro da camicia. Era una vista pietosa, il fetore terribile, e a questa assemblea devo ricordare che era il freddo mese di gennaio; che cosa ne è di loro adesso? Non oso pensarlo. Il cibo che si consegna loro non sarebbe stato dato nemmeno al bestiame in Inghilterra. Lanciai sul pavimento un pezzo del loro pane, e lo calpestai: era così duro che non riuscii né a frantumarlo né a schiacciarlo.” Un altro carcere visitato era  la Vicaria, una prigione situata nella parte più densamente abitata e più malsana di Napoli, nella quale erano ammassati 1.200 reclusi, mentre ce ne potevano stare solo la metà”. Nell’ultima prigione di Nisida… vi trovai il conte de Christen, il Caracciolo  e il De Luca, che per quanto ne so, erano stati giustamente condannati per cospirazione contro il governo… Il conte de Christen, vedendo la mia riluttanza ad avvicinarmi, mi fece cenno di accostarmi e disse: “Signore, apprezzo i vostri sentimenti. Avete pietà di me. Non compatitemi, ma riservate la vostra pietà per coloro che degradano il nome della libertà adottando sistemi come quello di cui io sono vittima”. “Il De Luca era incatenato, con una catena pesantissima, a un brigante condannato per rapina e omicidio. Era, il De Luca, un gentiluomo italiano che aveva avuto il torto di professare idee diverse da quelle del suo governo e il cui delitto era di aver cospirato contro di esso; ebbene era incatenato col più comune delinquente! Ora, contro simili sistemi io devo protestare. Non m’importa se fatti così tenebrosi siano avvenuti sotto il dispotismo di un Borbone o sotto lo pseudo-liberalismo di un Vittorio Emanuele! Quella che si chiama Italia unita deve principalmente la sua esistenza  alla protezione e all’aiuto dell’Inghilterra, più che a Garibaldi e alle vittoriose armate francesi. Perciò in nome dell’Inghilterra, io devo denunciare tali barbare atrocità e protesto contro il fatto che ciò venga commesso sotto l’egida della libera Inghilterra, la quale, così facendo prostituisce il proprio nome!” (“La Rivoluzione italiana” –  Patrick Keyes O’Clery “).

Patrick Keyes O’Clery  (Il Risorgimento visto da un nobile  irlandese): Garibaldi con il tradimento  e l’oro degli inglesi giunse a Napoli e si gloriò. Quando si recò in Inghilterra nel 1864, festeggiato dai suoi vecchi alleati, Garibaldi accennò pubblicamente all’aiuto che aveva ricevuto da lord Palmerston, lord Russel e  lord Gladstone, […] disse al Christal Palace <Parlo di ciò che so, il governo inglese… ha fatto moltissimo per la nostra natia Italia. Senza di essi noi subiremmo ancora il gioco dei Borboni a Napoli; se non fosse stato per il governo inglese, non avrei mai potuto passare lo stretto di Messina>.

ENRICO CIALDINI, generale piemontese, cavaliere di gran croce dell’Ordine militare di Savoia. È responsabile degli eccidi di Montefalcione, Pontelandolfo e Casalduini. Fece uccidere migliaia di persone senza alcuna giustificazione: contadini, preti e cittadini inermi, esponendo in più occasioni le teste mozzate degli uccisi per incutere terrore nella popolazione. Massacrò inutilmente i soldati borbonici difensori di Gaeta mentre si firmava la resa. Per queste sue esecrande azioni fu nominato dal Savoia Duca di Gaeta. A Napoli, si comportò come un feroce dittatore, instaurando un sistema di carcerazione su sospetti, la deportazione e il domicilio coatto. Nel 1861 in un suo rapporto ufficiale sulla cosiddetta “guerra al brigantaggio”, Cialdini dava queste cifre per i primi mesi e per il solo Napoletano: 8.968 fucilati, tra i quali 64 preti e 22 frati; 10.604 feriti; 7.112 prigionieri; 918 case bruciate; 6 paesi interamente arsi; 2 .905 famiglie perquisite; 12 chiese saccheggiate; 13.629 deportati; 1.428 comuni posti in stato d’assedio. E ne traevo una conclusione oggettiva: ben più sanguinosa che quella con gli stranieri, fu la guerra civile tra italiani».

NAPOLEONE III (lettera a Vitt. Emanuele II, 1861): I Borboni non commisero in cento anni, gli orrori e gli errori che hanno commesso gli agenti di Sua Maestà in un anno“.

GEMEAU, generale francese, paragona gli insorti polacchi con i briganti, 1863: “Tra le osservazioni fatte sui disordini del Reame di Napoli, si accenna alla differenza che fanno oggi i rivoluzionari fra polacchi e napoletani, chiamando questi briganti, mentre sono vittime delle più feroci persecuzioni, e quelli insorti. Ma è pur vero che gli uni e gli altri difendono il loro paese, la loro nazionalità, la loro religione al prezzo dei più duri sacrifici”.

NOCEDAL deputato spagnolo, 1863: “L’Italia, dove per sostenere quanto gli usurpatori hanno denominato ‘liberalismo’, si stanno barbicando dalla radice tutti i diritti, manomettendo quanto vi ha di più santo e sacro sulla terra. Italia, dove sono devastati i campi, incenerite le città, fucilati a centinaia i difensori della loro indipendenza“.

CARLO MARGOLFO, bersagliere entrato a Pontelandoflo, 1861: Entrammo nel paese, subito abbiamo incominciato a fucilare i preti e gli uomini, quanti capitava, indi il soldato saccheggiava ed infine abbiamo dato l’incendio al paese abitato da circa 4500 abitanti. Quale desolazione, non si poteva stare d’intorno per il gran calore, e quale rumore facevano quei poveri diavoli che la sorte era di morire abbrustoliti e chi sotto le rovine delle case“.

FRANCESCO CRISPI: In un solo mese nella provincia di Girgenti, le presenze dei detenuti nelle prigioni furono 32000. Non si turbino! Ho qui il certificato, la nota è officialissima, 32.000 presenze in carcere, solo nei trenta giorni del mese. Ed ora, codeste essendo le cifre, io domando all’onorevole ministro dell’Interno: ne avete ancora da arrestare?

PIETRO CALA ULLOA (1868): “Il Piemonte si è avventato sul regno di Napoli, che non voleva essere assorbito da quell’unità che avrebbe fatto scomparire la sua differenza etnica, le tradizioni e il carattere. Napoli è da sette interi anni un paese invaso, i cui abitanti sono alla mercè dei loro padroni. L’immoralità dell’amministrazione ha distrutto tutto, la prosperità del passato, la ricchezza del presente e le risorse del futuro. Si è pagato la camorra come i plebisciti, le elezioni come i comitati e gli agenti rivoluzionari.” 

IL NOMADE, giornale liberale 12 settembre 1861: Non parliamo delle dimostrazioni brutali contro i giornali; non parliamo dell’esilio inflitto per via economica; non parliamo delle fucilazioni operate qua e là per isbaglio dalle autorità militari; ma degli arresti arbitrari di tanti miseri accatastati nelle prigioni senza essere mai interrogati.”

L’OSSERVATORE ROMANO (1863): Il governo piemontese che si vede presto costretto ad abbandonare il suolo napoletano, si vendica mettendo tutto a ferro e fuoco. Raccolti incendiati, provvigioni annientate, case demolite, mandrie sgozzate in massa. I piemontesi adoperano tutti i mezzi più orribili per togliere ogni risorsa al nemico, e finalmente arrivarono le fucilazioni! Si fucilarono senza distinzione i pacifici abitatori delle campagne, le donne e fino i fanciulli.”

ANGELO MANNA (1991): “L’ufficio dello stato maggiore dell’esercito italiano è l’armadio nel quale l’unificazione tiene sotto chiave il proprio fetore storico: quello dei massacri, delle profanazioni e dei furti sacrileghi, degli incendi, delle torture, delle confische abusive, delle collusioni con la sua camorra, degli stupri, delle giustizie sommarie, delle prebende e dei privilegi dispensati a traditori, assassini e prostitute”.

fonte

sudindipendente.superweb.ws

 

 

 

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