Alta Terra di Lavoro

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11 novembre 2018 Michele Pezza ricorda Michele Pezza alias Fra’ Diavolo

Posted by on Nov 11, 2018

11 novembre 2018 Michele Pezza ricorda Michele Pezza alias Fra’ Diavolo

Grazie all’impegno e alla passione del Prof.Erminio De Biase e alla volontà del Dr. Gennaro Rispoli al Museo delle Arti Sanitarie di Napoli s’è tenuto uno storico convegno dedicato all’eroe Fra’ Diavolo, divenuto Mito per come è morto, che ha visto la presenza tra i relatori un erede diretto del Laborino Itrano che porta il suo stesso nome, Michele Pezza. Da questa sera fino ai prossimi giorni il blog dell’ Ass. Id. Alta Terra di Lavoro  dedica delle giornate speciali al suddetto convegno pubblicando solo gli interventi dei relatori a cominciare da quella del Prof. Erminio De Biase come di seguito riportiamo.

Quell’uom dal fiero aspetto…

 

 Quella che avete appena ascoltato è la romanza più famosa di una suggestiva, elegante ed originale partitura eseguita ed apprezzata per anni non solo in tutta Europa, ma anche in America e perfino in Australia. La sua ultima rappresentazione in Italia è del 1992. Essa porta il nome del personaggio, di cui oggi parleremo: Fra Diavolo, al secolo Michele Pezza, che in questo luogo fu sepolto duecentododici anni fa e dove, oggi, per la prima volta in assoluto, sarà ricordato. Per anni, ho perseguito questo scopo; scopo che, solo grazie alla cortese disponibilità del dottor Gennaro Rispoli, creatore ed anima di questa magnifica struttura museale delle Arti Sanitarie ed al concorso di Carmen Caccioppoli, dinamico “capitano” della squadra che lo affianca, ho potuto finalmente raggiungere.

Non tutti sanno bene chi è Fra Diavolo; semmai si conoscono vita, morte e miracoli di personaggi tanto mitici quanto inesistenti e poco, molto poco, di quello che fu, a tutti gli effetti, un autentico eroe in carne ed ossa. Anche perché nei libri di scuola egli è totalmente ignorato. Il suo nome è giunto fino a noi, come un’eco smorzata, grazie al titolo di qualche vecchio film o a quello di un’opera lirica ma, per saperne di più, bisogna scavare in quella che io definisco la storia alternativa, quella dei perdenti e, forse, proprio per questo, la vera Storia.

Siamo ai tempi di Ferdinando IV di Borbone, a cavallo tra il XVIII ed il XIX secolo, epoca in cui le invasioni francesi interessarono anche l’Italia ed il Regno di Napoli. Fra Diavolo, al secolo Michele Pezza, tra guerriglia e missioni regolari, con geniale audacia e con coraggio, difende i suoi territori, fino alla fine, fino al sacrificio estremo.

Su Michele Pezza esiste una alquanto ampia bibliografia, di diversi autori, alcuni dei quali, pur costretti ad ammirarne le gesta, non perdono occasione di sminuirlo, di proiettare sulla sua figura ombre sinistre, con basse allusioni o aggettivi negativi. Secondo uno di questi (Francesco Perri) la figura di Fra Diavolo sarebbe diventata leggendaria grazie alla fantasia dei meridionali sempre un po’ ispirata ad una specie di deteriore spirito cavalleresco, quello stesso che fa apparire come eroi i camorristi ed i grandi mafiosi dei bassifondi di Palermo o di Porta Capuana… Piero Bargellini non è da meno: lo definisce un brigante ripicchiato da militare nella sua divisa leggermente cafona e nei suoi gesti di cavalleria un po’ goffa…, quando non lo chiama, sprezzantemente, rozzo bastaio, omicida, colonnello imborghesito ed iracondo o semplicemente brigante.

In realtà, Michele Pezza, Fra Diavolo, fu tutt’altro. Egli possedeva un naturale intuito militare che avrebbero potuto invidiargli molti ufficiali regolari, sia francesi che napoletani, dai quali non era benvisto: invidia e gelosia facevano in modo che fosse sempre avversato. Più di una volta, fu dato ordine di arrestarlo per… indisciplina, ma Michele Pezza, colonnello di fanteria, grado conferitogli direttamente dal Re, se ne infischiava di quei capoccioni e li ripagava con olimpico disprezzo…

Come si legge in qualche sua biografia, mai egli avrebbe potuto accettare l’odiato dominio di quei maledetti francesi che gli avevano ucciso il padre e devastato il Paese… Indomito difensore della sua Patria, deciso a battersi contro di loro fino alla morte, piombava all’improvviso addosso al nemico e lo sterminava; assaliva i rifornimenti, sorprendeva i corrieri e sequestrava i dispacci e gli ordini di movimento… Risoluto e rapido nelle mosse, si appostava nei passaggi obbligati, attaccava gli accampamenti, faceva saltare le artiglierie, si dileguava per i monti e, quando meno se lo aspettavano, se lo ritrovavano addosso accanito, indocile, risoluto, implacabile; con marce e contromarce disorientava gli inseguitori, piombava sui presidi lasciati nei paesi e, in unione con la popolazione, ne faceva strage… Lo davano in un luogo e, contemporaneamente, dispacci ufficiali lo segnalavano dalla parte opposta. All’audacia e al coraggio con cui si era sempre battuto si accompagnava una fervida capacità manovriera ed un’inventiva classicamente napoletana. Il suo nome correva su tutte le bocche, impressionando, con le sue azioni, anche i comandi francesi: un giorno, il comandante francese dell’11° fucilieri, ridendo di lui, sprezzantemente esclamò: “Lo vorrei proprio conoscere!” La notte, mentre dormiva, sentì sbattere le imposte delle finestre; s’alzò atterrito, accese il lume: Michele Pezza gli stava davanti con due pistole in cintola. …Il colonnello francese non ebbe più la forza di sorridere. Si ritenne morto. Ma Fra Diavolo gli fece capire che non correva nessun pericolo. Lo invitava per il giorno dopo a una colazione sull’erba che il colonnello, passato il pericolo e richiusa la finestra, si guardò bene dall’accettare…

Onestissimo nel maneggiare denaro, si preoccupava soprattutto della paga dei propri uomini, rimettendoci anche personalmente e tutto quanto requisiva ai francesi veniva girato ai suoi soldati. Più di un documento in cui sono annotate spese sostenute per la truppa e richieste di risarcimento dimostra che Fra Diavolo non era affatto un volgare brigante ma aveva la sensibilità di un galantuomo. Paradossalmente, dopo aver fatto parlare di sé tutta l’Europa e dopo aver rappresentato il più temuto avversario dell’esercito francese, a Napoli non viveva certo in condizioni di agiatezza e, per di più, anche in un clima a lui alquanto ostile. Ciò nonostante, rimase sempre fedele al trono.

Chi non ha mai voluto accorgersi di questo eroe di famiglia è la nostra cultura “ufficiale”, quella giacobina, quella con i paraocchi pseudo-risorgimentali, quella che – un esempio paradossale – nel 2006, fece tappezzare Napoli di manifesti osannanti il bicentenario dell’istituzione della sua provincia, arrivando, così – grottescamente – a celebrare il declassamento di Napoli da capitale di un Regno a provincia degli invasori francesi! Di quegli stessi francesi che, proprio in questa giornata, 11 novembre 1806, fecero impiccare a Piazza Mercato il colonnello Michele Pezza, quel Fra Diavolo che aveva sempre fatto vedere loro i proverbiali sorci verdi. Condannandolo a morte, però, essi non si resero conto di creare un mito.

Mitologia a parte, Michele Pezza era un uomo fuori dal comune: possedeva una personalità volitiva, decisa e catturante, incline alla seduzione, perspicace. Creativo e fantasioso, rivelava una marcata capacità camaleontica, grazie alla quale riusciva a “giocare” tra il fantastico ed il reale e, nell’azione, ad ingannare mediante la sorpresa. Per esempio, una volta, con pochi uomini al seguito, si imbatté in uno squadrone di cavalleria francese. Pareva non ci fosse via di scampo quando, all’improvviso, ricorrendo a quella sua naturale creatività ed alla fantasia di cui era dotato, gettato via il cappello e mostrandosi spaurito, si fece legare insieme con uno dei suoi uomini ed ordinò agli altri di dire di essere della guardia nazionale che, tra strattoni ed insulti, portavano a Napoli due briganti. Il comandante dello squadrone francese ci cascò e li lasciò passare e, dopo qualche minuto, gli rintronò alle spalle una scarica di fucili. Fra Diavolo non aveva potuto fare a meno di rivelargli l’inganno…

Determinato nel conseguire un obiettivo, nel suo animo gli slanci di generosità si accompagnavano ad una notevole aggressività. Non faceva, tuttavia, trapelare il suo intimo stato d’animo né le variazioni d’umore ed all’esterno la sua personalità appariva sempre affidabile. Tutti connotati, questi, che a ben vedere, erano confacenti e funzionali al suo ruolo di stratega militare.

La figura di Michele Pezza è diventata leggendaria grazie, prevalentemente, all’apporto di una letteratura internazionale che, diverse volte, si è ispirata al suo nome anzi, al fascino del suo nome. Anche una minima ma eclatante filmografia che, pur collocandolo in uno spazio ed in un tempo diversi da quelli che lo videro protagonista, ha contribuito ad imporlo alla memoria collettiva. Altresì la musica, con l’opera lirica che Daniel Auber rappresentò per la prima volta a Parigi il 28 gennaio 1830, ha alimentato il suo mito. Per inciso, l’autore del libretto dell’opera, Eugène Scribe, s’era a sua volta ispirato ad un dramma di Jean Antoine Cuvelier dal titolo Fra Diavolo capobrigante sulle Alpi, scritto nel 1808, vale a dire solo due anni dopo la morte del nostro eroe, a riprova che divenne subito un mito.

A proposito di Alpi, negli stessi anni in cui operava Fra Diavolo, anche su quelle montagne c’era chi combatteva fieramente contro gli invasori francesi. Tuttora, in ogni paese, in ogni città dell’Alto Adige o del Tirolo austriaco c’è una statua, un busto, una via, una piazza, magari solo una targa, intitolata ad Andreas Hofer, emblematico simbolo di libertà.

Andreas Hofer è ritenuto un eroe nazionale e come tale adeguatamente acclamato: addirittura, un treno e perfino un asteroide (17459) sono stati battezzati col suo nome e, nel 1959, fu financo coniata una moneta da 50 scellini con la sua effigie. Ancora oggi, nella città di Mantova, dove fu fucilato, all’interno di un parco pubblico a lui intitolato dove vi è un suo monumento, nel quartiere di Cittadella, annualmente, nell’anniversario della sua morte, egli viene degnamente commemorato. Ovviamente, Andreas Hofer è ampiamente riportato nei libri sui quali studiano alunni altoatesini ed austriaci e, fin dalla scuola elementare, i bambini sanno bene chi sia stato e cosa abbia fatto e per cosa abbia combattuto e sia morto il loro eroico concittadino che, al pari di Fra Diavolo, rimase fino in fondo fedele al suo sovrano; che, come lui, fu catturato grazie ad un traditore e, condannato a morte dal nemico. Fu fucilato il 20 febbraio del 1810.

Da noi, invece, silenzio assoluto su Michele Pezza. Da noi, la storiografia ufficiale, lo ignora ostentatamente o, al limite, lo liquida semplicemente con l’epiteto di brigante. Un appellativo che verrà reiterato anche per quegli insorgenti che, dopo il 1860, presero le armi contro l’invasore, questa volta piemontese. Insomma, per dirla breve, tutti i patrioti che hanno difeso la Patria Napoletana e per essa hanno combattuto e sono morti, sono considerati briganti. Ed i loro nomi sono inesorabilmente riportati solo nella pagina dei cattivi nel libro della storia scritta dai vincitori.

Nel 1806, si concludeva la mirabolante parabola di Fra Diavolo da Itri, ufficiale dell’esercito borbonico e celebre in tutta Europa più di un maresciallo napoleonico. Nel novembre di quell’anno, in un ennesimo sforzo di liberare il Regno dagli invasori francesi, da solo e senza aiuti da parte della corte rifugiatasi a Palermo e degli inglesi fermi a Capri, aveva tentato l’impossibile per riuscirci. Dopo aver attraversato, lacero e malnutrito l’alta Terra di Lavoro, gli Abruzzi, il Molise, il Sannio e la parte alta del Cilento, Michele Pezza si ritrovò solo in mezzo ai boschi, ferito, coi piedi sanguinanti, lontano dalla moglie e dai figli che non avrebbe più rivisto, braccato come una belva e con quattromila ducati di taglia sulla testa…

Tradito da un farmacista di Baronissi, fu preso dai francesi il 1° novembre. Due giorni dopo fu portato a Napoli per essere impiccato. Lo stesso colonnello Sigisbert Hugo, che con tanta tenacia lo aveva rincorso, chiese a quel malefico burattino che era Giuseppe Bonaparte, la fucilazione, anziché l’impiccagione, per il suo prigioniero. Ma fu inutile. A Michele Pezza fu anche proposto di servire sotto la bandiera francese, conservando tutti i privilegi del suo grado: egli, però, sdegnosamente rifiutò: “Ho giurato fedeltà al mio sovrano e preferisco sfidare mille volte la morte anziché tradire il mio giuramento.” Affrontò la forca con assoluta dignità, a mezzogiorno dell’11 novembre, in Piazza Mercato e, dopo due giorni, il suo corpo venne trasportato qui, all’interno di questo nosocomio dove ogni pietra, ogni mattone è un pezzo di storia napoletana. Venne sepolto nella chiesa che apre sull’altro lato del cortile, …probabilmente in una fossa comune …ma, …chissà, forse no… Io spero sempre che un giorno si possano individuarne i resti ed allora, in quella occasione, noi potremo di nuovo ritrovarci qua a rendere a quest’uomo, a questo particolarissimo uomo, vero eroe popolare della storia di Napoli e del Meridione, gli onori che ampiamente merita.

 Erminio De Biase

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