Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

1799 a Piedimonte Matese

Posted by on Apr 23, 2017

1799 a Piedimonte Matese

Il regno di Napoli era entrato nella prima coalizione contro la Francia, non solo, ma nel 1798 l’esercito borbonico aveva occupato Roma sia per sostegno al papa, che per garanzia ai suoi confini.


L’esercito francese invase il Regno. Re Ferdinando s’imbarcò per Palermo e a Napoli Championnet e Macdonald proclamarono la repubblica Partenopea, superando con grande sforzo la disperata resistenza dei “lazzari”.
Appoggiarono gli invasori e aderirono alla repubblica “partenopea” alcuni esponenti della nobiltà e della borghesia, e perfino ecclesiastici. Quelli provenivano dall’Illuminismo, questi dal Giansenismo. Coi francesi tornarono a Napoli anche alcuni fuorusciti, e fra essi c’era il nostro
Ercole d’Agnese
.
A Piedimonte i francesi comparvero il 7 gennaio 1799, comandati dal generale Le Moyne. La popolazione apertamente borbonica si era armata, ed essi, portatori di libertà, uguaglianza e fratellanza, imposero subito per “castigo” una taglia immediata di 2.000 ducati da pagarsi insieme a Castello e San Gregorio, oltre al vettovagliamento. Scoppiò subito la sommossa – l’8 gennaio – a Vallata. Campane a martello e fucilate dalle finestre e assalto in tre colonne al quartiere francese. Ma era quello che voleva l’esercito “liberatore”, che si abbandonò al saccheggio e alle violenze più schifose nelle case. Avvenne tutto in un momento. La popolazione abbandonò in massa il paese, rifugiandosi sulle montagne piene di neve. I monasteri femminili furono lasciati nottetempo dalle monache e da quello di S. Salvatore, subito presidiato, le monache fuggirono dopo aver fatto un buco nel muro. Ne rimase una mezza paralitica, che fu uccisa con una sciabolata dalla soldataglia…..delusa. Il vescovo Gentile dovette rifugiarsi anch’egli a Napoli. E intanto a Piedimonte la soldataglia si presentava armata in S. Maria intimando: “Argent, argent!”. Tutta l’argenteria – 12 calici, incensieri, lampade, campanelli, cartegloria – fu portata via. Fu tolta la testa d’argento della statua di S. Felice mart., e le reliquie, che vi erano custodite, furono frantumate sotto gli stivali dei ladri francesi. Le ostie consacrate erano gettate a bella posta. Anche i paramenti furono portati via e servirono a improvvisati e irriverenti tripudi. Come,in mezzo a tutto quest’assalto si sia salvato S. Marrcellino, non si sa. Certo, seppe di straordinario, poiché tutto fu tolto. Il Monte dei pegni, con lavoro assiduo di oltre 150 anni messo su dai confratelli del Rosario, fu svaligiato in un baleno dei pegni di oro e di argento. Nel palazzo vescovile lasciarono niente, dice il vescovo Gentile nella relazione ad sacra limina, neanche lo spiedo del focolare, ne veru quidem relicto. Naturalmente le perdite più forti l’ebbe il duca Gaetani. Il duca vecchio, D. Nicola, aveva seguito il Re a Palermo, e a Napoli, la duchessa, con dieci figli, sapeva dal credenziere Ragucci quel che era successo.: la farina, l’olio, mobili e oggetti d’arte rubati, le piccole e fruttuose industrie devastate, i depositi della dogana alla mercé dei soldati….. Molti furono feriti dalle fucilate mentre fuggivano. Ben 14 civili furono uccisi. Ma anche i francesi ci lasciarono la pelle. Finalmente, dopo cinque giorni di delinquenza, la truppa fu richiamata a un pò d’ordine, e Le Moyne fece menar bandi, perché tutti tornassero in paese. Uscirono dalla soffitta della chiesa S. Francesco tutte le ragazze che v’erano rinchiuse. La popolazione tornò per forza, dato il rigido inverno e visse mesi sotto la paura.
Il Governatore di Piedimonte, fedele al Sovrano, fu espulso dalla città, e la sbirraglia, tramite i due spauriti sindaci Paterno e Pscale, eletti nel dicembre del 1798, guazzava, mentre i nostri soffrivano la fame e il freddo. I soliti malcontenti ed arrivisti furono valorizzati. Governatori, sindaci ed eletti furono imposti da Le Moyne in una “Municipalità” con a capo logicamente il fratello del d’Agnese, Domenico, e alla Crocevia, al Mercato, e all’Annunziata fu piantato l’albero della Libertà: una mazza con un beretto frigio sopra i nastri. Quattro mesi dopo tutto questo sconquasso, comparve Ercole d’Agnese.

 

La Cronaca dell’epoca nel Matese

 

fonte

blog pm201o

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