Alta Terra di Lavoro

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A quando la statua su Michele Pezza, detto “Fra’ Diavolo”?

Posted by on Dic 13, 2016

A quando la statua su Michele Pezza, detto “Fra’ Diavolo”?

Duecentoquarantacinque anni fa nasceva, ad Itri, uno straordinario personaggio che avrebbe fatto parlare di sè e fa parlare ancora, sotto tutti i profili; un personaggio che ha fatto breccia nell’immaginario collettivo. Un incredibile protagonista, che ha infiammato, come forse nessun altro, la curiosità e l’interesse popolare e che ha suscitato un fascino irresistibile su storici, romanzieri, poeti, commediografi, musicisti, registi, pittori.

. Si tratta di Michele Pezza, alias “Fra’ Diavolo”, grottesco binomio, simbolo di scaltrezza e di invincibilità, che suonò come un incubo alle orecchie di ogni soldato francese calato nel Bel Paese tra la fine del ‘700 e i primi anni dell’Ottocento. I francesi delle armate di Napoleone Bonaparte che invasero il regno di Napoli lo definirono “brigante” perché si oppose a loro con tutte le forze: in realtà lui non era altro che un grande partigiano, un guerrigliero che lottava per la propria terra, il Sud d’Italia, essendo legato, in maniera inscindibile, alla cultura del proprio Paese, con un profondo amore per il focolare domestico, quello dei padri, reso sacro dalle tombe ancestrali.

Per Michele Pezza, colonnello e duca di Cassano allo Ionio, la patria non era soltanto una parola vuota di significato; la patria voleva dire tre cose: il suolo, gli abitanti e la religione, trasmessa di generazione in generazione.

Il leggendario ribelle, trascinatore di uomini, dal cuore generoso e nobile, fu sempre pronto ad osare tutto per il trono e per la Chiesa. Egli non sapeva tradire (e ne aveva fornito mille prove) la parola data a Ferdinando IV, che non meritava un suddito e un difensore dal carattere e dal valore di Michele Pezza, la cui rapidità di mosse, la cui scaltrezza, i cui espedienti, la cui energia, furono funesti ai francesi e furono studiati militarmente, come è affermato dal De Laugier. I sistemi applicati da “Fra’ Diavolo” in battaglia colpirono tutto il Vecchio Continente. Egli rivelò, nella temperie, virtù militari, con abili colpi di mano e con agguati.

La guerriglia fu efficace, perché Michele seppe dargli una struttura unitaria. Così essa si espanse, a macchia d’olio, in Terra di Lavoro. La guerriglia fu particolarmente feroce, implacabile, senza esclusione di colpi. I suoi promotori affermavano un’identità rifiutando una tirannide, che bruciava villaggi, tagliava teste.

Spesso il nome di Michele Pezza è associato a quello di “ celebre brigante”. Non ci sorprendiamo. E’ più difficile sradicare una leggenda che promuovere la verità e, quanto a quella che concerne “Fra’ Diavolo”, romanzieri, cineasti e musicisti l’hanno ormai troppo diffusa da lunga pezza, senza parlare delle vecchie passioni antiborboniche, che hanno trovato gusto a deformare la realtà storica. I francesi – è noto – dettero quell’appellativo a tutti i realisti che lottarono nel 1799 e nel 1806 contro la loro violenta conquista, come l’avevano regalato, nel 1793, ai generosi figli della Vandea, sterminati nella abominevole “Guerra degli Ignoranti” da tre eserciti, che li aggredirono da tre parti, poi infamati in tutti i modi e con tutti i mezzi, allo scopo di screditarne l’azione di valore e di fedeltà, oltre che di coraggio immenso.

In quel periodo il capomassa rispondeva al terrore dei transalpini con il terrore inalberando, contro le due occupazioni francesi del reame, la questione di identità e di orgoglio nazionale. Per lui, la rivoluzione francese fu un “virus”, che ha avvelenato la società scomponendola.

Egli accettava, con profondo rispetto. le decisioni delle “autorità secolari”, che conservavano il genio della stirpe. La religione gli imponeva l’obbligo di osservare regole morali.

Michele fu soldato valoroso e fedele, che rispose al disperato appello del suo re, senza tener conto della sua ingratitudine, particolarmente sotto l’aspetto finanziario; un difensore che aveva lottato con ogni energia. Egli fu il solo uomo che “facesse sul serio” nella resistenza nel regno delle Due Sicilie, il solo uomo che ebbe il coraggio di tenere alto quel vessillo gigliato che tutti ammainavano. A suo modo, fu idealista, perché, quando non si hanno i mezzi di appoggio e si combatte, non si può essere che idealisti.

L’amore della giustizia e della verità storica non deve più consentire sia così screditata l’azione spesso eroica del Pezza e dei 200.000 insorgenti che si lanciarono, con fede e coraggio, contro le vittoriose truppe francesi, in tutto il reame di Napoli, quando nessuno contrastava più la violenta conquista del suolo patrio.

In molti manuali arretrati “Fra’ Diavolo” ebbe il titolo obbrobrioso di “brigante”, fatto passare da ribaldo, come un volgare grassatore, un sanguinario rapinatore, reo dei peggiori misfatti, ma gli stessi francesi ne avevano ben diversa stima e lo chiamarono colonnello, qual era in realtà, ufficialmente riconosciuto da Ferdinando IV, quando sperarono, per un momento, di poterlo attrarre alla loro causa. Promisero al temuto e famoso legittimista, perché cooperasse alla caduta di Gaeta, nel 1806, cinquantamila ducati, che egli rifiutò sdegnosamente dicendo: “Credevo di valere più di questa miserabile somma, ma, comunque, io non tradisco il mio re!”.

Atto di nobiltà, che davvero non è da brigante; Una lezione di sano patriottismo e di orgoglio nazionale, da parte di un uomo fedele ai principii della Monarchia teocratica, alla Santa Vergine, devoto all’altare.

E’ ora che “Fra’ Diavolo”, una delle più originali individualità del nostro passato politico-militare, dalla tumultuosa, vorticosa vicenda umana, segnata di un umiliante stigma “nigro lapillo”, sia riaccreditato pienamente e mondato di colpa, essendosi troppo abusato di quell’epiteto di “brigante”. E’ ora che la storia trionfi sulla leggenda oscura, tragicamente tenebrosa, che adombra e avvolge ancora la fama di un soldato sfortunato, colpevole soltanto di aver mancato il successo finale. In quell’ora di follìa collettiva, cagionata dal grande rivolgimento sociale, la cronaca fu scritta, come sempre, dai vincitori e, quindi, servì poi a fabbricare la pseudostoria che ancora si insegna nelle nostre scuole.

Fenomeno, questo, costante, che si ripete ad ogni avvenimento storico che turbi gli abituali rapporti sociali, specie per quanto riguardano gli interessi e la religione. Senza la rivoluzione francese, scrisse Balzac nello studio su Caterina de’ Medici, la critica applicata alla storia avrebbe certamente preparato gli elementi per una buona e vera storia di Francia. Così dicasi per l’Italia.

E’ ora di riparare ai gravi torti portati dalla leggenda interessata e partigiana e da una storiografia faziosa, erede della propaganda filogiacobina, che lo dipinge a fosche tinte, alla fama di Michele Pezza, che fu un singolare guerrigliero, un uomo che seppe sempre battersi da leone, intelligentemente e con un disinteresse che lo portò a sacrificare tutto: la vita e ben tredicimila ducati, sborsati dalle sue tasche, per la paga alle masse, che non vennero, in seguito, mai risarciti da Ferdinando IV ai suoi familiari, che non volle riconoscere le obbligazioni assunte dal Pezza per il finanziamento del blocco di Gaeta e della spedizione di Roma. Pur avendo molte ragioni di risentimento, egli rimase disciplinato ed obbediente al suo sovrano, fino in fondo, “usque mortem”.

E’ ora di riconoscere la portata della sua azione guerresca in lotta disumana con la potenza dei nemici agguerriti, per impedirne il passaggio sul suolo patrio, dedicandogli una statua nel cuore del centro storico, nella piazzetta di S. Maria Maggiore, nei pressi della sua casa avita. Lo si può e lo si deve fare, in risarcimento del vituperevole nome di “brigante” riservatogli, lui che aveva speso il suo sangue, i suoi sudori, le sue veglie, le sue fatiche, per la causa a cui era legato per dovere, per onore.

L’artista ideale per questa opera potrebbe essere Vito La Rocca, molto apprezzato dagli addetti ai lavori, autore di pregevoli sculture, lavorate di pollice e di spatola, dalle quali scaturisce la felicità del modellato, che arricchiscono biblioteche e sodalizi culturali nazionali e regionali.

Alfredo Saccoccio                

 

1 Comment

  1. Ho letto il bellissimo articolo della storia di Fra’ Diavolo,scritto dall’amico Saccoccio e l’ho trovato ben scritto,esaltante e traboccante di orgoglio per le gesta,veramente epiche ,di quel personaggio .
    Mi piace la proposta del monumento che oltre a dare al Nostro un giusto riconoscimento per il valore militare e il senso di fedeltà totale e indiscussa , darebbe ai promotori e contributori della sua erezione ,l’orgoglio dell’appartenenza
    al popolo del REGNO : si potrebbe pensare a creare una commissione o altra cosa che si dovrebbe incaricare di
    tutto il lavoro burocratico ed anche pratico per tale fine .
    In Vandea dove sono stato “in pellegrinaggio” per onorare quelli che , per primi , i rivoluzionari definirono Briganti ,. nonostante la crudeltà e la violenza di quella guerra,esistono ricordi bellissimi come il museo di Cholet con le statue in grandezza naturale dei Capi Vandeani e tante altre memorie o il cenotafio di La Rochejaquelin o ,ancora,il cippo che ricorda la battaglia di Cholet e così altri ricordi e tutti disposti su strade pubbliche , disponibili alla vista di tutti .
    Io mi auguro che la “cosa” possa prendere piede anche tra noi .
    Grazie comunque per questi ricordi tanto importanti Gianni Salemi

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