Alta Terra di Lavoro

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AMORI NAPOLETANI DI SCHOPENHAUER

Posted by on Gen 15, 2017

AMORI NAPOLETANI DI SCHOPENHAUER

Se dovessimo giudicare il filosofo Arthur Schopenhauer dalla sua vita privata, dovremmo considerarlo solo come un povero misantropo che viveva rinchiuso nella sua nevrosi in compagnia del suo cane.

Non si fidava di nessuno ed era tanto geniale quanto invidioso. Affetto da una sorta di mania persecutoria che gli faceva vedere nemici dappertutto. Intendiamoci: la testa di Schopenhauer non era di quelle che si possono dare in affitto, né il filosofo aveva l’abitudine di mandarle a dire. Come se non bastasse, un famoso episodio (la storia della sartina che lo disturbava con i suoi rumori nel corridoio dello stabile, dove si era insediata) mostra che egli spesso si comportava come quei filosofi (e non solo) che invitano a fare quel che dicono ma non quel che fanno. A Napoli un proverbio recita: “Dicette ‘o prevete: fa’ chello ca dico io, ma nun fa’ chello ca facc’io”(“Disse il prete: fa’ quello che ti dico ma non fare quello che faccio io.”). Anche ai tempi d’oggi può capitare, forse anche abbastanza spesso, che un prete possa consigliare agli altri di comportarsi positivamente, senza pensare ai suoi eventuali atteggiamenti privati. E Napoli che c’entra? Don Arthur venne in Italia due volte, nel 1818 e nel 1822, visitando Bologna, Roma e Napoli e imparando perfino la lingua italiana. Nella nostra città ebbe più di

un’avventura (evidentemente la sua fama di intellettuale e filosofo esercitava anche sul gentil sesso nostrano una notevole influenza), sia con donne non di alto ceto, sia con una gentildonna di alto lignaggio; con quest’ultima, però, ruppe il fidanzamento dopo aver appreso che la poverina aveva una malattia ai polmoni. Questo comportamento ha comunque nei “Diari” la spiegazione dello stesso Schopenhauer: «Una moglie non si confà a un filosofo». Pertanto, con un sorriso divertito, leggeremo le pagine del “Mondo come volontà e rappresentazione”, nelle quali Schopenhauer – malgrado fosse stato definito, da chi lo conosceva bene, un “maschilista” e un “reazionario egoista” – vanta i meriti del saggio libero dalla volontà di vivere, che perciò sopporta pazientemente l’affronto, manifesta una mitezza infinita, ricambia il male col bene, senza manifestare odio o collera, accoglie come una benedizione ogni offesa, ogni oltraggio e ogni danno e, senza opporsi al torto che gli viene fatto, prende tutto col sorriso impassibile di Buddha. Tra il dire e il fare, evidentemente, c’è di mezzo il mare.

Francesco Iodice

fonte

chiaiamagazine.com

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