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Angelo Manna dedica di Alfredo Saccoccio

Posted by on Feb 21, 2017

Angelo Manna dedica di Alfredo Saccoccio

Torna tra gli scaffali il compianto Angelo Manna, ne “ I quaderni del Museo”, con la terza edizione di “E ‘nce steva ‘na vota…. ‘Nce stev’ j’ ”, a cura del Centro di Cultura “Acerra Nostra”. E’ una raccolta aggiornata di testi di Angelo Manna, illustre giornalista e singolare conoscitore della napoletanità, con nuovi scritti e con ulteriori contributi di storici, di giornalisti, di intellettuali e di amici del Manna, di cui i fratelli Nino ed Aldo continuano a tenere vivo il ricordo e l’attenzione sulla sua figura e sulle sue opere, che, anche se a sedici anni dalla sua dipartita, continuano ad interessare studiosi ed estimatori, grazie alla freschezza degli elaborati.

Il popolo del Sud, di fronte a tanti secoli di oppressione e di servaggio, avviati dalla dominazione angioina, come tratteggiato mirabilmente da Angelo Manna nell’opera “Gli Angiò di Napoli”, rischia di diventare fatalista.

Per questo il ribelle-anarchico Manna, che, in particolare nel precedente scritto, ha saputo assumere, in certi momenti, i vestimenti e i gesti del profeta o del Savoranola che vuole scuotere gli animi e le coscienze, avvia il suo discorso con la splendida rievocazione della vittoriosa rivolta popolare e contadina del 1799 contro gli occupatori napoleonici, belve assetate di sangue e di bottino, e l’autoproclamata e vanesia Repubblica Partenopea.

La chiave di lettura fornita dal poligrafo acerrano, attaccatissimo alla propria terra avita, alla propria storia, alla propria “lingua”, propugnandone l’insegnamento nelle scuole, alla propria identità, è sempre la stessa: portare all’evidenza della Storia ciò che la storiografia “ufficiale” e prezzolata, al servizio dei gruppi e delle caste dominanti, ha sempre occultato e sotterrato, cioè la verità su “opere e giorni” delle popolazioni e delle plebi del Meridione d’Italia, di quelle vaste masse sfruttate, che da secoli portano sulle proprie carni “il marchio dei vinti”, depredate, umiliate, in un processo di “piemontesizzazione” forzata del Sud, anche ad opera di lacchè e di scribacchini napoletani, travestiti da storici. Angelo Manna non si ferma mai alla sola denuncia, ma lancia fiere rampogne, se non invettive. Egli, difensore degli umili, è sicuro che un popolo può essere a lungo vilipeso e violentato, ma è sempre un popolo che in ogni momento, anche per strade inopinate come quelle del sanfedismo, può recuperare la necessaria vitalità, la necessaria coscienza, opponendosi alle vulgate comuni, e tornare nuovamente protagonista, avendo avuto una trimillenaria civiltà, dopo la subalternità agli invasori ed ai potenti di turno, che hanno trattato Napoli da matrigna, all’indomani dell’annessione all’Italia.

Da parlamentare denunciò l’abisso in cui era stato fatto precipitare il Mezzogiorno d’Italia, mentre con il suo “Tormentone” televisivo, da tribuno, fustigava i costumi, senza alcun compromesso, da uomo libero nella descrizione delle oppressioni, dei soprusi, del malcostume imperante, delle infamie risorgimentali, che ci costarono un milione di morti e ventisei milioni di emigranti, facendoci capire la storia e l’ “anima” del Sud. Angelo Manna, a detta del giornalista e scrittore Max Vairo, è l’“ultimo Tartarin del giornalismo napoletano, gigante buono della parola ironica e addirittura sferzante; pronto alla spada in difesa degli umili e degli oppressi, una figura fra Capitan Fracassa e Robin Hood, un eroe popolare che per alcuni anni con la famosa rubrica “Il Tormentone” accolse le proposte, le ansie, le speranze                                                       di migliaia di napoletani”, desiderosi di far tornare Napoli la più sfolgorante città del mondo, come lo era stata per secoli.

Di questo scrittore versatile, storico acuto, poeta vernacolare ispirato, musicista appassionato, il grande Eduardo De Filippo, a proposito di “A Vigilia e Natale”, affermò che l’ode gli pareva “un grattacielo che può elevarsi all’infinito: a reggerlo è il formidabile pilastro dell’ultimo verso”. Altri “mostri sacri” del teatro italiano che si sono interessati della poetica del Marra sono stati Vittorio Gassman e Mario Scaccia: il primo ha declamato l’ode “A Giacomo Leopardi” per Rai Educational; il secondo ha recitato, la sera del Natale del 1976, “Natale terrun”, andato in onda sul primo canale della TV.

Di lui il regista controcorrente Pasquale Squitieri, un uomo libero, anticonformista, iconoclasta, irriverente, morto proprio in questi giorni, scrive: “Quanto tempo, eh Angelo? E quanti cieli e quanti vicoli, quanta energia vitale vissuta in questa città che ti bacia e pugnala nel giro di un tramonto. Quante illusioni scontate, quanto cinismo paesano e quante ferite vere, di quelle che impiegano tempo a cicatrizzarsi e fanno male fuori e dentro”.

Alfredo Saccoccio

 

 

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