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Auri sacra fames! di Alfredo Saccoccio

Posted by on Apr 16, 2018

Auri sacra fames! di Alfredo Saccoccio

Esecrabile fame dell’oro! “Auri sacra fames!” Questa esclamazione di Virgilio Marone nel terzo libro dell’ “Eneide” era già divenuta sì celebre nel primo secolo della nostrea era che Plinio il Vecchio non può impedirsi di farvi allusione nella sua “Storia naturale”, anche se lo fa in termini velati, poiché accade a questo infaticabile compilatore di mascherare le sue fonti. Virgilio non è nominato, ma l’idea è ben lì nelle parole stesse del poeta. Pliniosi fa così il collegamento di una critica, che, attraverso l’oro, dunque la moneta, prova a mostrare che l’economia si è traviata inseguendo la ricchezza per la ricchezza, e non “come una cosa utile, un mezzo in vista di un’altra cosa” (Aristotele, “Etica nicomachea”). L’attualità di un tale dibattito non è certamente da dimostrare. Il testo di Plinio il Vecchio merita l’attenzione e non solo dei latinisti o degli economisti.

E’ nel libro XXIII della “Storia naturale”, consacrato alla “Natura dei metalli”, che Plinio affronta la questione dei metalli preziosi, l’oro, ma anche l’argento, il bronzo, metalli adatti a servire da strumenti di scambio.Però è soprattutto l’oro che focalizza la sua attenzione moralizzatrice. Lo si è detto che la “Storia naturale” ci interessa perché essa è una storia umana della natura e perché essa non tralascia alcun dettaglio, anche triviale, dai vasi da notte in oro d’Augusto ai corni dorati del bestiame immolato sull’altare del sacrificio, dell’oro che le donne portano ai piedi fino a quello di cui anche le schiave cerchiano il ferro dei loro anelli.

L’idea che un crimine fondatore sarebbe all’origine delle società è abbastanza corrente nella letteratura consacrata ai cotumi. Che si pensi solamente a Freud.In Plinio, ce ne sono due. “ Il crimine più funesto al genere umano, scrive egli, fu commesso da quello che mise per primo dell’oro alle sue dita.” Il secondo fu perpetrato “da quello che coniò per primo un denaro in oro”. Ci sfugge, in mancanza di informazione, l’autore di questo delitto. Maniera di dire che l’uno e l’altro risalirebbero alla notte dei tempi? In ogni caso, l’ambiguità della fame dell’oro appare ben in questo duplice crimine: si desidera l’oro sia per le sue qualità intrinseche, sia come moneta. E da questa ambiguità nascono possibilità di false coniazioni, di cui Plinio ci dà alcuni esempi stufefacenti, ma anche di frode molto più grossolana: “ Così quando Septumuleius, un amico di C. Gracco, portò la testa tagliata di questi ad Opimius per farsene pagare tanto oro quanto pesava, il introduce del piombo nella bocca e truffò anche la Repubblica nel suo parricidio.”

Per sostenere il suo proposito sui vizi della sua epoca, Plinio il Vecchio cade nella facilità di abbellire un passato più o meno mitico. “Ce si era più felice al tempo in cui il baratto si applicava direttamente agli oggetti, come era ancora l’uso all’epoca di Troia, se bisogna credere a Omero. “ O ancora: “Quanto erano belle la vita dei nostri lontani antenati e la purezza dei loro costumi, in un tempo in cui niente si sigillava”, allusione qui all’uso che si faceva degli anelli per imporre il proprio sigillo.

Il secondo crimine ebbe la meglio sul primo, poiché “la moneta divennne la fonte primaria della cupidità, grazie all’invenzione del prestito ad interessi, questa forma lucrativa della pigrizia. E l’evoluzione fu rapida: fu come una fiammata, un bisogno furioso che non era più della cupidità ma la fame dell’oro”.

Un metallo, fosse anche prezioso, non è commestibile. Ed ecco una formula messa in ghiaccio per secoli.Karl Marx vi si riferirà esplicitamente nelle pagine che consacrerà alla moneta nella sua “Critica dell’economia politica, andando fino a riprodurre l’espressione di Virgilio: “L’argento non è soltanto un oggetto dell’appetito di arricchimento, è l’oggetto anche dell’ “auri sacra fames. “Così si riproducono le citazioni di autori in autori. “La forma lucrativa della pigrizia” è divenuta più recentemente, nella bocca di un presidente della Repubblica, la denuncia di “quelli che si arricchiscono dormendo”.

Ed ancora, è ad Aristotele che bisogna risalire, che aveva ricusato la fruttificazione del denaro per il denaro, poiché “il denaro non frutt”, enunciava egli; esso è , in un certo senso, colpito da sterilità, al contrarioi dell’anello parlante (gli schiavi) o non parlante. Occorrerà molto tempo all’Occidente per mettere in discussione il tabù che pesa sull’usura. Ancora nel 1516, Il V concilio del Laterano riprenderà la formula di Aristotele: “pecunia pecuniam non parit”. Essa ispirerà i pittori olandesi nella loro famosa rappresentazione del cambiavalute: la sposa non porta bambino al seno, come se la sterilità dell’oro avesse contaminato la coppia.

Ciò che è interessante nel testo di Plinio il Vecchio è l’associazione immediata della moneta con il prestito ad interesse.

Alfredo Saccoccio

 

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