Alta Terra di Lavoro

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BRIGANTAGGIO INSORGENTE, LA BANDA BARONE

Posted by on Dic 10, 2017

BRIGANTAGGIO INSORGENTE, LA BANDA BARONE

tra i paesi vesuviani imponeva la sua legge Vincenzo Barone, che, dopo il servizio nell’esercito borbonico, era divenuto organizzatore di sbandati e briganti. Il tenente Gaetano Negri per la delezione di un contadino individuò la casa dove era nascosto Barone con la sua amante. Barone era chiuso in un armadio e quando i soldati si avvicinarono per aprirlo, sparò un colpo di pistola. Seguì una fucileria da parte dei soldati di Negri, e dall’armadio viene fuori il Barone, cadavere. Da documenti trovatigli addosso fu possibile risalire agli autori di altre violenze ed effettuare arresti e fucilazioni. La bandiera borbonica innalzata su una balza vesuviana da Barone venne ammainata. …… l’amante di Barone, Filomena [?], era molto abile e furba; raccoglieva notizie, preparava agguati, informava il capo. Una volta , presa dai soldati, potè comunicare con la banda attraverso vie misteriose, si buttò a terra secondo il segnale convenuto, sbucarono i briganti, e massacrarono i soldati. Quando Barone fu catturato a Trocchia, sotto il Vesuvio, fu presa anche Filomena che il capitano Negri disse: “bella e coraggiosa“; Barone fu ucciso e Filomena fu giudicata e condannata da un tribunale……

Lungo la via che conduce al Campo di Marte, verso le ore 10 a. m. del 14 giugno 1861, si vedeva camminare un tale che dall’aspetto sembrava essere di civile condizione. Dal continuo stare coll’orologio alla nano si deduceva essere affetto da impazienza. Alle 11 precise guardò nuovamente l’orologio e poi si lasciò scappare di bocca: “Perché non viene?” Dopo altri due minuti sbucò da un sentieruolo un giovane sulla ventina di alta taglia, che tutto sommesso si accosta al signore e gli dice: “Signor Cavaliere, sono a voi: in che cosa posso servirvi?”. “Voi mi favorite, caro Vincenzo; mi son permesso invitarvi perché vi sapevo uno dei migliori elementi della banda Varone, che, requie all’anima sua, per essersi troppo esposto finì così presto, ma gloriosamente i suoi giorni: ora dietro mia proposta S. Maestà Francesco II, che Iddio guardi per mille anni, vi nomina Colonnello della banda Varone”, e ciò dicendo gli passò un sacchetto contenente seicento ducati in oro ed il decreto di nomina, che il Barone f’è leggere ai suoi non appena giunse sulla montagna. Il giorno 15 giugno già si sapeva in Santa Anastasia che il furiere della banda Varone, per disposizione di Francesco II, era stato nominato Colonnello della banda, grado che in seguito avrebbe occupato nell’esercito. Al Barone non solo restarono fedeli quasi tutti componenti l’antica comitiva, ma si unirono a lui anche nuovi elementi in maggioranza sanguinari e ladroni, che, nonostante la paga che percepivano, non sapevano resistere alla tentazione di rubare e di versar sangue. Infatti per dirne una, ricordo che in detta banda era arrolato Antonio Merone da Santa Anastasia, che nel 1845, a nove anni, fu imputato di ferita di arma da fuoco con pericolo di vita. Nel 1847 ferì mortalmente Angelo Maione e nel 1859 per poco non mandò all’altro mondo Salvatore Esposito. I suddetti briganti, per un mese e più, vennero compensati con carlini tre al giorno; ma quando la speranza del ritorno di Francesco II incominciò a venir meno, il Comitato Reazionario di Napoli faceva tenere al Barone quel tanto che era necessario per comperare ai briganti pane, formaggio e vino. In tale stato di cose per provvedere la banda di armi, munizioni e vestiti fu mestieri che il nuovo comandante ponesse in mezzo i ricatti, le grassazioni e, quando il caso lo richiedeva, anche gli omicidi. In quell’epoca la banda di cui parliamo era composta di quattrocento individui ed era suddivisa in quattro squadre, le quali erano rispettivamente comandate da Giovanni Sodano, da Domenico Pecerillo, da Gennaro Maione e da Pasquale Minore di Pomigliano. Funzionava da segretario Vincenzo Vecchione di Pollena, che era uno sbandato del 13° Cacciatori. Costui a nome del suo Colonnello scrisse una lettera alla marchesa Cappella, nella quale le chiedeva ducati 500, ma in realtà ne ebbe soli 150; chiese pure mediante lettera 100 ducati a don Domenico Ricciardi di Cercola e ne ebbe 50. Nella stessa lettera il Barone rimproverava il Ricciardi, perché non gli aveva inviato i fucili promessi. Al conte Caracciolo di Torchiarolo inviò il seguente biglietto:

Signor D. Ambroggio,

In vista della presente consegnate al porgitore ducati cento senza che ci mancasse qualche grano altrimenti potete farne almeno di mandarli. Salutandovi mi dico Vostro Servo Barone

Vincenzo Vecchione il quindici luglio lasciò la carica di segretario, che venne assunta dall’ex gendarme Domenico Pecerillo da Castelluccio. I dipendenti del Barone vestivano una uniforme particolare: cioè calzoni e giubba di velluto marrone e un berretto che ricordava quello dei bravi di don Rodrigo. Una cinta di cuoio sostenente una cartucciera completava la loro toilette. Questa divisa serviva per far distinguere i componenti di detta banda da quelli di Crocco, di Caruso, di Chiavone, di Ninco Nanco, di Pace, ecc. che avevano anch’essi una speciale uniforme. Molti di essi non sdegnavano di portare orecchini. Le calzature venivano fomite da Antonio RomanoPasquale Scarpato si occupava di inviare i fucili che andava a prendere a Napoli e di notte li andava a nascondere sotto il ponte di S. Sebastiano, in quel di Santa Anastasia, e da quivi Alfonso Malagisa li portava al Barone. Carmine Romano era il primo vivandiere e Basilio De Sena si occupava di fabbricare le cartucce; ma perché il numero dei briganti andava sempre più crescendo così il colonnello Barone, per armare tutti di fucili, andò a disarmare il corpo di guardia di Valle e di Chiazzolla. Il conte Caracciolo, perché non diede subito riscontro alla lettera di cui innanzi si fa cenno, il giorno appresso si vide, nella masseria, onorato dal Barone, al quale facevano scorta trenta briganti. Tale visita costò al Caracciolo l2 ducati un pacco di sigari e dei salami. Del denaro dato dal Caracciolo al Barone subito si sparse la voce, ma se ne alterò la cifra, cosa che non andò a genio del Colonnello, il quale punto nell’onore fece così scrivere al Caracciolo:

Gentilissimo signor Conte,

son dispiaciuto che avete fatto spandere la voce che mi avete dato cento ducati. Vi prego di smentire subito tale bugia. Il Colonnello Barone.

E il Torchiarolo, pro bono pocis, credé opportuno rispondere in questo senso:

Illustre signor Colonnello,

posso assicurarvi che non ho detto ad alcuno la somma datavi. Vi prego però dirmi come volete che mi regolo questa mattina quando sarò domandato dal giudice, quale somma volete che io dicessi d’avervi dato, non potendo negare senza positivamente compromettermi; perché voi favoriste da me in pieno giorno ed alla presenza di molta gente, Vi assicuro per altro di dire al giudice di non aver conosciuto nessuno di quelli che si recarono da me e farò pompa delle gentili maniere usatemi e che la somma che voi mi dite, d’avermi chiesta come semplice ricordo. Vi ringrazio del gentile riscontro e credetemi vostro obblig.mo servo Caracciolo. D.S. Favoritemi subito la risposta dovendo per le nove trovarmi in Santa Anastasia.

Il venti agosto del 1861, mentre Barone si trovava coi suoi sul monte S. Angelo gli fu riferito da un manutengolo che la forza si era allontanata da Pollena, e che volendo poteva, senza alcun pericolo, fare una visita a detto villaggio. “Lo farò subito – disse Barone – tanto più che quel liberalone di don Gennaro Miceli non ha dato ascolto ai miei comandi”. Infatti il 17 agosto il Miceli ebbe la seguente lettera:

Signor don Gennaro Miceli,

io capo dei soldati sbantiti che siamo innumerevoli circa quattro cento cinquanta di la vostra mobilità di mandarmi qualche somma di danaro per nostro sostinimento da poter vivere onorato e senza offesa alcuna e per difenderci la nostra vita ed anche per vostro bene, sarete sicuro di qualche cattiva offesa. Vi salutiamo e siamo Vostri servi Vincenzo Barone

Questa lettera fu dallo stesso Miceli consegnata al giudice istruttore che trovavasi in Santa Anastasia, il quale sotto pena di carcere indusse il Miceli a non mandare ai briganti nessuna somma; poiché questi, vedendosi privi del necessario, sarebbero stati costretti a disertare o a costituirsi all’autorità. Alle ore ventidue il colonnello Barone ordinò al trombettiere di chiamare a raccolta. Quando i briganti furono tutti all’ordine il segretario Pecerillo lesse il seguente ordine del giorno:

“Per ordine del nostro superiore, colonnello Vincenzo Barone, la squadriglia da me comandata passi la rivista alle proprie armi e si prepari per scendere a Pollena. Restano esentati Basilio Sicuro, perché ammalato, e Vincenzo Terracciano che resta sul monte per far compagnia alla signora del nostro capo, Lucia Mollo. Chi si rifiuta di andare a Pollena sarà fucilato”.

Vincenzo Barone, dopo aver passato a rivista la compagnia, ordinò alla sua amante Luisa Mollo d’intonare il santo Rosario e ai briganti di scoprirsi e d’inginocchiarsi. Quando le avemaria ed i paternostri furono esauriti, Luisa Mollo sospese al collo del Barone un abitino della Madonna del Carmine e gli disse: “Che questa bella mamma di Dio ti accompagni, ti faccia riuscire nell’impresa e ti faccia ritornare sano”. Alle ore 23 il Colonnello, con novanta dei suoi, prese la via di Pollena, avendo avuto cura di lasciare, lungo la strada, di tratto in tratto delle sentinelle per dare l’allarme e per garantire, in caso di sorpresa, la ritirata. Alle ore 24 Barone, Giacomo Ferriero, Vincenzo Vecchione, Domenico Pecerillo, la Porchiacca di Somma e un ragazzo di Ponticelli salirono sull’appartamento Miceli, dove trovarono, in stato da far pietà, don Gennaro, la moglie di costui e la domestica. Il Barone, appena si trovò al cospetto del Miceli, disse: “Son dolente di voi, perché non avete dato nessun valore alla mia lettera, anzi seppi che non appena la riceveste vi affrettaste a consegnarla alle Autorità. Né ciò mi recò meraviglia; poiché voi siete un Carbonaro e da tale gente bisogna starne lontano le mille miglia. In tutti i modi io non posso perdere del tempo. Consegnatemi, se vi è cara la vita, quel cassetto che racchiude i trentamila ducati; perché detta somma mi necessita per mantenere con decoro la mia banda”. Don Gennaro disse al Barone che l’affare dei trentamila ducati era una fiaba, ma che gli avrebbe invece consegnato tutti i suoi risparmi, che ascendevano a trecento ducati. “Ma per trecento ducati non si sarebbe un Colonnello incomodato a venire da voi. Se io avessi aspirato a detta somma vi avrei inviato tutto al più un mio furiere”. “Giuro su quella bella Vergine Addolorata – disse Miceli – ed indicò un quadro, che io non ho mai posseduto trentamila ducati”. “Come! carognone, ti permetti invocare anche la madre di Dio”, dissegli il ragazzo di Ponticelli, che chiamavasi Giovanni d’Alife, e da due giorni arruolato nella banda, perché aveva ucciso un cantoniere ferroviario. Nel dire ciò assestò alla schiena del povero Miceli tre pugnalate. Il Barone, per non mostrarsi secondo nell’uccidere, volle, dal canto suo, regalare a don Gennaro due stilettate alla pancia, che resero, il già ferito, cadavere. La moglie del Miceli e la domestica, che assistettero a quella terribile scena, svennero presso il cadavere del rispettivo marito e padrone. Mentre Barone e Vecchione mettevano tutto sossopra per trovare i trentamila ducati, il piccolo delinquente, per acquistare coraggio, si lambì il sangue che ancora copriva la lama del suo coltello, e, coi denti. ne raddrizzò la punta che si era contorta in una delle vertebre dorsali della vittima. In mancanza di altro fu rubato un cannocchiale, una pezza di tela, un abito nuovo dell’ucciso, un orologio da tavola ed otto posate di argento. Compiuta la rivista, la signora Miceli fu sollevata di peso e posta a cavalcioni sulle spalle di Domenico Mollo, che, come un fardello, la portò sulla montagna. La serva, a colpi di calcio di fucile, fu costretta seguire la padrona. Giunti sul colle S. Angelo, il colonnello Barone tolse alla Miceli gli orecchini di brillanti e, dopo, la licenziò facendola accompagnare da Giacomo Ferriero. Verso le 2 a. m. la signora poté abbracciare e piangere il marito! Il Barone, partita la signora Miceli, donò alla sua druda gli orecchini di brillanti, mandò alle sorelle Filomena e Luisa Perez la tela, affinché l’avessero trasformata in camicie per i briganti, fece consegnare a Palmarosa Romano l’orologio e tenne per sé le posate. Il Barone, durante la sua carriera brigantesca, fu amato da diverse donne; perché, come ben dice il Cascella, anche il delitto rappresenta una forza, che conquista e che attrae. Infatti tutte le bande brigantesche ebbero le loro donne, le quali, per lo più, vestivano abiti maschili e portavano ancor esse un’arma, deturpando l’indole e la grazia femminile, e lasciando tristi ricordi di sfacciata libidine e di atti eroici. Il Barone, oltre la sua favorita Luisa Mollo, alla quale i briganti avevano sul punto più bello della montagna costruito un pagliaio con un soffice giaciglio di muschio, di tanto in tanto andava a passare qualche ora con Palmarosa Romano e con Donna Matilde Di M., la quale, pel detto brigante, era addirittura divenuta pazza. Questa accentuata simpatia di Donna Matilde pel Barone non garbava troppo a Gioacchino De Vivo, zio del Barone, il quale nel 10 luglio 1861 così scriveva al nipote:

Caro Vincenzo,

riguardatevi di Carmine Picozza, perche’ lanno promessa qualche somma, per farvi fare la spia. Desitero sapere come stato di salute. Vi dico ancora di non fidarti troppo della famiglia Di M. perché la signora D. Giulia dice tutto le vostre operazioni che fate e che dite a D. Matilda. Vi saluto e sono Gioacchino De Vivo.

La monaca De L… invece, non potendo, per la sua attempatella età, attirarsi l’affetto del Barone, cercò tenerselo caro facendogli di tanto in tanto pervenire rosolio e tabacco. Che qualche serva del Signore si sia innamorata di qualche capo-brigante non si mette al certo più in dubbio; perché Fra Diavolo, camuffandosi da eremita, si recava in Altamura, dove andava a recitare… giaculatone colla badessa di Santa Teresa. Il caposquadra Pecerillo, il giorno che seguì all’uccisione di Miceli, si pose a rapporto col Colonnello e gli riferì che quattro componenti la sua squadra, tutti di Somma, si erano rifiutati di andare in casa Miceli. Il Barone allora tenne Consiglio di guerra, fece venire innanzi a se i rei, e, dopo aver ad essi imposto di deporre le armi, ordinò che venissero fucilati. Un brigante parimenti di Somma, soprannominato la Porchiacca, che già si era reso due volte omicida, si offrì di farla, per i suoi concittadini, da boia, e, con un colpo di fucile, freddò uno dei quattro condannati e già stava per disfarsi degli altri tre, quando Barone alzò la sciabola e gridò: Alto! Agli altri tre la pena di morte fu commutata in bastonate. Il brigante Porchiacca seppellì la sua vittima dopo averle tolto l’anello, l’orologio e le due piastre che teneva nel panciotto. Il colonnello Barone premiò il fucilatore coll’abito rubato in casa Miceli e lo propose come caporale. Al principio d’agosto Barone stabilì di assediare Santa Anastasia, di uccidere non solo il capitano della Guardia Nazionale, Vincenzo Miranda, ed il sindaco Domenico Sanseverino, ma di passare a baionetta tutti i fautori del nuovo governo, di saccheggiare le case di questi e di ripristinare la monarchia borbonica atterrata dalla rivoluzione. Il Barone, per riuscire nella cosa, mandò Alfonso Malagisa ad invitare Cipriano La Gala affinché si fosse a lui unito; ma questi si rifiutò. Antonio e Domenico Mollo, padre e fratello di Luisa Mollo, furono incaricati di fare per la stessa causa proseliti per le campagne; però fecero. come suol dirsi, un buco nell’acqua. Il 27agosto 1861 [?] la banda Barone fu sorpresa dai soldati. Nell’attacco furono uccisi otto briganti ed altri dodici furono feriti. Dei rimanenti parecchi emigrarono, altri si costituirono alle autorità ed i più pericolosi, perché dovevano sbrigare parecchie faccende con mamma giustizia, seguitarono a tenere i monti. Vincenzo Barone andò fuggiasco per altri due o tre giorni; poi fu arrestato mentre in una grotta era intento, innanzi ad una immagine, a recitare preghiere. La mattina del primo settembre fu fucilato in Santa Anastasia. Ucciso il Barone, il caposquadra Pecerillo fu chiamato all’alto onore del comando. Di questo delinquente possediamo il seguente esempio di bello scrivere diretto al conte Caracciolo di Torchiarolo.

Sienor Condo di Trocchio

La promesse che voi ci avete fatte noi abbiamo mandate per la causa che e morto il nostro superiore la nostra comitiva in tutto sperduto in tutta la scuadra sono rimasti 27 il capo scuadra e don Domenico Pecerillo vi prego di mandare la somma di 60 piastre e mandatele quando più presto potete perché si nò sarà fatto danno alla vostra masseria si mandate vi saluto e sono il caposcuadra Domenico Pecerillo dalla mondagna di Resina li 5 settembre I 861.

fonte

brigantaggio.net

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