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Campi Flegrei, luoghi del fuoco in versione digitale

Posted by on Ago 2, 2016

Campi Flegrei, luoghi del fuoco in versione digitale

adriana dragoni ci invia un articolo pubblicato su ilmondodisuk.com

 

Sullo smartphone arriva la testa di Apollo

 

Luglio. Un pomeriggio torrido. «Mi viene da dire che c’ è la temperatura adatta a questa mostra. Ma è una battuta scontata e non la farò». Così, con un sorriso, inizia il suo discorso il direttore Paolo Giulierini, presentando, nel Museo Archeologico Nazionale Napoletano (Mann), la mostra “Oltre il visibile”, che riguarda appunto i Campi Flegrei.

LUOGHI DI FUOCO
Poco noti e poco valorizzati, questi Campi di Fuoco sono luoghi stupendi, ricchi di reperti archeologici, frequentati un tempo dagli imperatori romani e dai notabili della loro Corte. E sono risaputi, riferiti dallo storico Tacito, i tentativi che, in quel di Baia, fecero Nerone e la madre Agrippina di ammazzarsi a vicenda. Appunto per queste imperiali frequentazioni i Campi Flegrei diventarono luoghi mondani, mentre Napoli, l’ “otiosa Neapolis”, era una città più riservata, dove si poteva godere degli otia letterari, dei conversari filosofici, della musica, del canto e del teatro. Ora il ministro Franceschini vuole organizzare in un polo museale autonomo questi luoghi di fuoco: Averno, Baia, Lucrino, Cuma, Miseno, Posillipo e Pozzuoli. Ne sembra esclusa Bagnoli, l’antica Balneolis, che ha pure lei le acque calde, ma che forse ora è fin troppo bollente. Di questo Polo Museale dei Campi Flegrei si occuperà ad interim la dottoressa Adele Campanelli, già a capo della Soprintendenza Archeologica della Campania, in attesa di cedere il posto al vincitore del concorso per direttore-manager dei Campi Flegrei, i cui risultati si sapranno a breve (“per lo meno tra un anno” commenta borbottando qualcuno).

OLTRE IL VISIBILE
La mostra “Oltre il visibile” (fino all’11 settembre 2016) ha luogo nella Sala del Soffitto Stellato del Mann, una sala bella, dipinta di bianco con un brano di azzurro, e il soffitto a volta punteggiato di stelle colorate. Qui sono sistemati con cura ed eleganza reperti archeologici provenienti dai Campi Flegrei e conservati nel Mann, antiche carte topografiche, libri antichi e materiale epigrafico precisamente tradotto. «Ci sono luoghi – si legge- dove la geografia provoca la storia, rimbalzati tra la natura e le vicende dei popoli». Così Strabone. Era un greco dell’Asia Minore, l’odierna Turchia, che venne a Roma e si trovò dalle nostre parti al tempo di Cesare Augusto e di Tiberio. Non c’era stata ancora la terribile eruzione del Vesuvio del 79 d. c. e Strabone ci parla del terreno straordinariamente fertile delle falde del Vesuvio e di quello reso ardente dal fuoco prodotto dai fulmini scagliati dai mitici Giganti. E ci dice dell’Averno, dove, si raccontava, “gli uccelli, levandosi in volo, ricadevano nell’acqua uccisi dai vapori mefitici esalanti dal luogo, come fosse l’ingresso delle sedi infernali di Plutone (il dio degli Inferi).”

IL SAPORE DI UN VIVERE ANTICO
Negli antichi scritti si coglie anche il sapore di un vivere antico, diverso, seppur simile, al nostro. Vi si descrive la folla che si assiepava sulle rive del porto di Baia all’arrivo delle navi da Alessandria (quella d’Egitto, naturalmente). Una testimonianza dei rapporti che ab antiquo esistevano tra i magnogreci e gli egiziani, come illustra anche la mostra “Egitto e Napoli” dal 28 giugno attualmente al Mann. E vi si racconta di una signora, donna dalla rigida moralità più che il proprio marito, la quale, passando per questi luoghi calienti, s’innamorò di un tipo e s’involò con lui; e, in aggiunta, vi si commenta: era venuta Penelope e si trasformò in Elena (quella di Troia, che, sposata a Menelao, s’innamorò di Paride che la rapì e se la portò a Troia, scatenando la guerra famosa). Emozionano i libri antichi tenuti in vetrina, le opere di G. C. Capaccio e di Pompeo Sarnelli e anche un taccuino ottocentesco scritto con penna e inchiostro. Non potevano mancare, tra le citazioni più recenti di questi luoghi di fuoco, quelle di Wolfang Goethe, noto innamorato di Napoli, che, visitando la Grotta di Posillipo e osservando che il sole, tramontando, passava coi suoi raggi fino alla parte opposta, commentava «allora ho perdonato quelli che perdono la testa per questa città».

LA DEA AFRODITE
Questi scritti aiutano a comprendere meglio i manufatti presenti nella sala. In primis, si nota la bella e grande statua della Afrodite Sosandra, la dea salvatrice di uomini, trovata nelle acque di Baia e diventata, accarezzata per secoli dal mare, di un colore caldo e quasi poroso. E’ un corpo nascosto in una massa compatta che ne mantiene il mistero. E’ l’immagine di una donna tutta coperta da un manto, tranne la testa e una mano (che d’altronde è andata persa). E’ considerata copia di un esemplare del V secolo della Grecia balcanica, quando le donne venivano rappresentate vestite (ma nel secolo seguente si spoglieranno ampiamente) e gli uomini erano rappresentati nudi. C’è anche un bianchissimo e nudo Diomede da Cuma, un Marte Ultore, meno attraente, una stupenda testa di Apollo e un sarcofago con donne e centauri marini.

LE PULSIONI DEGLI ANTICHI
Meravigliosi sono i vasi campani, crateri, idrie e pelike, che meritano un tempo lungo e attento per comprenderne e ammirarne la bellezza elegante delle forme, delle curve dei manici che si accordano a quelle degli orli e delle basi, per guardare le rappresentazioni a figure rosse, la terracotta lasciata senza colorarla, le loro proporzioni, le movenze, i corpi, i visi, le vesti, i rapporti tra loro, infine la situazione rappresentata, che sia un banchetto o una cerimonia sacra. E la mente del visitatore va, oltre il visibile, a intuire le immagini, le immaginazioni e le pulsioni degli antichi artisti e dei loro contemporanei. C’è in proposito anche un lungo filmato molto ben fatto che mostra i Campi Flegrei e li commenta.

TECNOLOGIE AVANZATE
Ma c’è dell’altro. Ed è questo che si vuole, nella presentazione, soprattutto valorizzare. Si tratta di una iniziativa che si inserisce negli intendimenti generali del direttore Paolo Giulierini, una sua New Technological Action, realizzata nell’ambito del progetto SNECS con il coordinamento del Distretto di Alta Tecnologia per i Beni Culturali e il patrocinio della Regione Campania. C’è l’uso, in questa mostra, delle più avanzate tecnologie digitali, per incoraggiare e facilitare una fruizione più appetibile della mostra stessa da parte di un pubblico numeroso e per fargli venire il desiderio di conoscere i Campi Flegrei andando a visitarli. Così le tradizionali didascalie poste accanto alle opere sono trasferite in digitale sui cellulari dei visitatori, che possono navigare su internet e averne più delucidazioni; così c’è l’ologramma di antichi libri che possono essere rimpiccioliti o ingranditi a piacimento e gli si possono sfogliare le pagine a distanza, muovendo un braccio; c’è la stupenda testa di Apollo, ridotta a ologramma, e messa, senza rispetto, al servizio dei visitatori che la possono far girare come vogliono, mentre la vera testa, sintesi di bellezza e frutto ed esempio di una millenaria consapevolezza dell’umano, se ne sta là, in disparte, negletta.

CONSUMATORI DI BENI CULTURALI
Possono realmente questi mezzi digitali portare i visitatori a una comprensione del senso dell’arte e della storia? Possono dei mezzi che, per la loro stessa natura, allontanano dalla visibile realtà che ci circonda, avvicinarci ad essa? Per alcuni sono semplici giochi. Ma non è così. Servono. Me lo spiega la professoressa Rossana Valente, curatrice della mostra. Lei parte, molto consapevolmente, da un dato reale. Dal fatto che le generazioni attuali fanno un uso quasi ossessivo del cellulare e amano le tecnologie digitali. Probabilmente questo fenomeno con il passare del tempo si accentuerà. Quindi è opportuno l’uso dei mezzi di comunicazione digitali per spingere più persone a diventare consumatori, o meglio fruitori, di beni culturali. E’ una necessità didattica e anche economica. Ed ecco che le giuste osservazioni della professoressa mi suggeriscono un’immagine catastrofica. Di singoli individui che guardano singoli cellulari, mentre la realtà intorno non è più guardata e si dissolve. Quella fine del mondo, che viene ancora immaginata come un terremoto, un cataclisma di palazzi caduti e montagne sprofondate, probabilmente avverrà proprio così. Non più guardato né osservato, il mondo finirà. Sparendo.

Adriana Dragoni

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