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Cattolicesimo, liberalismo, tolleranza e anche un pochino di Cavour

Posted by on Giu 20, 2018

Cattolicesimo, liberalismo, tolleranza e anche un pochino di Cavour

Cattolicesimo e «tolleranza»: la lezione della storia

Crediamo che la nostra interlocutrice faccia un errore storico evidente laddove ci indica in Cavour l’esempio dello statalismo anticattolico.

Cavour era certamente giurisdizionalista ma in economia si professava manchesteriano e guardava al protestantesimo come alla forma di cristianesimo che meglio giustificava le sue visioni liberali in politica e liberiste in economia. Il Cattolicesimo gli stava stretto perché non assentiva alla secolarizzazione del Politico e non giustificava l’individualismo in economia. Uno degli argomenti principali usati da Cavour, e dagli altri liberali dell’epoca, contro la Chiesa era quello che Essa impedendo il dilagare anche in Italia della Riforma luterana aveva condannato la penisola all’arretratezza civile ed economica. L’Italia doveva dunque recuperare il terreno perso attraverso una riforma religiosa e civile. Non a caso Cavour si impegnò nel favorire il proliferare in Italia delle sette protestanti, non

solo quelle valdesi da secoli presenti in Piemonte ma anche importandole dall’Inghilterra. Egli mirava alla protestantizzazione della Penisola allo scopo di aprirla al liberismo all’inglese e, per questo, cercava di favorire un cambiamento culturale degli italiani che doveva di necessità passare attraverso un cambiamento religioso. Motivo per il quale l’intero processo risorgimentale, al di là di ogni altra considerazione, assunse quasi subito il carattere di una guerra di religione contro il Cattolicesimo. Dietro i bersaglieri, nel 1870, entrò in Roma, attraverso la breccia di Porta Pia, anche un pastore valdese, tal Luigi Ciari, che portava con sé un carretto di bibbie protestanti da distribuire alla popolazione nonché, al guinzaglio, il suo cane che aveva, con significativo disprezzo, chiamato pionono.

L’errore storico della nostra amica è probabilmente dovuto ad un grossolano abbaglio, molto diffuso oggi tra i cattolici. Quello per il quale essi guardano, con ignoranza del dato teologico e storico, al modello liberale di John Locke come alternativo al giacobinismo europeo. Entrambi, tuttavia, sono il parto di una filosofia anti-cattolica.

Una prospettiva, questa liberale di tipo anglosassone, alla quale anche Benedetto XVI sembra, illusoriamente, disposto a dare credito, come ha fatto nel discorso da lui tenuto alla Curia romana il 22 dicembre 2005. Un discorso, per quanto autorevole ed importante, non magisteriale e quindi serenamente valutabile dai fedeli.

Molto umilmente, da parte nostra, osserviamo che senza il soggettivismo esegetico-teologico luterano non avremmo mai avuto il liberalismo lockiano. Quest’ultimo, infatti, è deista in teologia, inclinando verso un evidentissimo razionalismo, e giusnaturalista (termine rubato dalla cultura liberale alla teologia cattolica ed impropriamente usato dai liberali) sul piano morale. Ma si tratta di un giusnaturalismo che non è più affatto quello cattolico, metafisicamente fondato, bensì contrattualista, tale dunque da porre nel contratto sociale, e non, come per la tradizione cattolico-tomista cui si richiamavano i salmantini, nella natura, il fondamento del vivere associato. Per Locke l’uomo limita il suo assoluto, libero e solipsistico volere, entrando contrattualmente in società con gli altri, al solo utilitarista scopo di tutelare, dal ferino stato selvaggio di natura, i beni primari della libertà, della vita e della proprietà.

Questo accenno a Locke, ci induce ad argomentare anche in merito alla questione della tolleranza religiosa.

I cristiani amano la Verità. Ed è per questo che essi per primi devono porsi con onestà intellettuale di fronte alle verità storiche, anche a quelle eventualmente amare.

Da parte nostra siamo i primi ad affermare che, storicamente parlando, i cristiani hanno diritto, come tutti gli altri, di essere giudicati secondo criteri non anacronistici e, quindi, tenendo sempre presente il quadro storico e concettuale nel quale essi, in passato, hanno operato.

Storicamente è però innegabile che anche i cristiani, lungo i secoli, hanno praticato violenze contro gli altri. Del resto ben ricambiati da questi ultimi: infatti, l’ammonimento di Nostro Signore – «Chi è senza peccato scagli la prima

pietra» – vale per tutti, cristiani e non cristiani, ed in ogni tempo, per quello dei nostri antenati come per il nostro.

Siamo i primi anche ad affermare che, spesso, benché non sempre, i cristiani, quando hanno commesso violenze, hanno in realtà reagito alle violenze altrui.

Ma non è possibile, dal punto di vista storico, affermare, come sembra sottendere la nostra interlocutrice, sulla scorta di una certa apologetica interessata a fare del Cristianesimo il puntello teologico di un presunto Occidente immacolato, che i cristiani abbiano sempre messo in pratica un principio certamente cattolico come quello per il quale la fede non si impone con la violenza mentre gli altri, i non cristiani, un tale principio non avrebbero mai praticato, anzi che un tale principio sarebbero loro del tutto ignoto.

Questo modo di presentare le cose è tipico, appunto, di una certa apologetica da leggenda aurea sostanzialmente falsa come la sua antagonista ossia la contro-apologetica da leggenda nera.

Se le leggende nere sono elaborazioni mistificanti della propaganda anticattolica protestante ed illuminista, non è ricorrendo alle leggende auree che può spiegarsi perché mai Carlo Magno impose ai sassoni pagani l’alternativa tra il battesimo e la morte.

Questo evento, che come tanti altri della storia cristiana va compreso nel suo contesto e non giudicato moralisticamente con criterio anacronistico, se nulla toglie alla grandezza storica di quell’imperatore, tuttavia non può certo supportare l’affermazione per la quale quella storia sia stata immune dall’uso della violenza o, perlomeno,

minimizzare su questo aspetto per far passare l’idea che l’Occidente di oggi – che però, ma questo i catto-liberali lo tacciono, è altra cosa rispetto alla Cristianità di ieri – sia immacolato, e pertanto superiore, perché di radici giudeo-cristiane.

Il fatto è che il Cristianesimo non è innanzitutto una dottrina ma l’incontro con la Persona Divino-Umana di Cristo. Un incontro che avviene nei cuori, dove germoglia e fermenta la fede. Un incontro che è sia dei singoli che dei popoli ma che, come ricorda Remì Brague, inizia dalla trasformazione interiore per opera della Grazia gratuitamente donata e che solo di conseguenza ha anche conseguenze sociali.

Il luogo di tale incontro, come afferma Agostino, resta, senza alcun dubbio e nonostante ogni errore, peccato o violenza commessa – per carenza di vera conversione – dai cristiani, la Chiesa, la quale infatti nei secoli non ha fatto altro che sfornare santi.

Ma se, dunque, tale è il Cristianesimo, ossia l’incontro trasformatore con Cristo, è evidente che questa trasformazione non cancella immediatamente le conseguenze del peccato originale e che l’Amore di Cristo, lungo i secoli, penetra gradualmente soltanto negli uomini, che ad Esso effettivamente si aprono, perché Dio – per nostra fortuna – è misericordioso e paziente e, senza forzarla, lascia alla nostra debole natura il tempo necessario alla conversio, rimediando, con la Sua Provvidenza, ai nostri umani errori.

Ecco perché il battesimo di gente barbara eppur umana – come Agostino ebbe a definire le popolazioni germaniche

che invadevano l’impero romano – non poteva di certo trasformare immediatamente quelle popolazioni in cristiani santi. Pertanto non meraviglia se Carlo Magno usasse la spada per imporre la Croce, supportato da una teologia che sacralizzava il suo potere secondo gli schemi veterotestamentari della regalità davidica.

Crociate e missioni

E’ una lunga storia quella del procedere congiunto ma – sia detto con estrema chiarezza – anche conflittuale della crociata e della missione.

Una storia gloriosa, con esempi eccezionali di eroismo, di santità e di misericordia verso i non cristiani, ma anche, purtroppo, al tempo stesso una storia che presenta lati oscuri, con esempi antievangelici di ferocia e di viltà. Oscuri quanto oscure sono le conseguenze del peccato che continuano a serpeggiare anche tra i battezzati.

Come in un’unica storia possano coesistere l’eroismo, la santità e la misericordia con la ferocia e la viltà si spiega, appunto, con l’adesione o meno, da parte dei cristiani – Papi e prelati compresi! –, e con il grado di tale adesione, alla Grazia veicolata dalla Chiesa.

Questo apparente paradosso è comprensibile, in una prospettiva di fede, solo alla luce della Provvidenza divina che guida la storia cristiana anche rimediando, nel modo non urlato e dolcemente soave che è tipico di Dio, agli errori dei cristiani.

«Guerra contro i pagani e missione: – scrivono due storici un tragico legame rivelatosi molto presto, a partire cioè dallultimo quarto dellVIII secolo. In un mondo

ristianizzato forzosamente ma non intimamente, nelle istituzioni, ma non ancora nella strutture, nei riti ma non nei costumi, affiora – nelle guerre contro i Sassoni o gli Slavi pagani – il tema della scelta fra il battesimo o la morte che il vincitore cristiano propone al vinto infedele (…). Il cristianesimo che presiedeva a tali atteggiamenti era quello dimpronta veterotestamentaria e apocalittica: un cristianesimo sacrale e regale, con le sue reliquie portate in battaglia, le sue armi benedette, i suoi vescovi-feudatari più esperti nellarte di schierare le truppe o in quella di stanar lorso e inseguire il cinghiale che non nelle scienze e nei riti del Signore. Un cristianesimo ereditato da quello legionario di Teodosio e di Giustiniano e percorso dal possente soffio barbarico dei figli della foresta e della steppa che avevano sì accettato il battesimo, e sinceramente magari, ma senza mai del tutto dimenticare i loro antichi dei, signori delle battaglie e delle tempeste. Un cristianesimo quasi senza Vangelo» (1).

La Provvidenza, però, agisce anche, e soprattutto, laddove meno ci si aspetterebbe di vederla all’opera.

Il Signore ha detto di essere venuto per i malati e non per i sani, per i peccatori bisognosi di redenzione e non per chi è già santo.

Ecco dunque che la storia, se letta non solo con categorie immanenti, rivela in atto, tra le maglie degli accadimenti, anche quelli più tragici, l’opera misericordiosa di Dio.

L’Europa dei secoli alto e medio medioevali era un continente devastato da guerre endemiche e da orde di armati che infierivano tra essi e contro gli inermi. Fu per opera della Chiesa se tale ceto guerriero trovò scopi

migliori del saccheggio. Ma, come accade spesso nelle cose umane, anche all’insegna di tali più alti ideali si commisero crimini, non solo contro gli altri, i non cristiani, ma a volte addirittura anche contro altri cristiani.

Eppure, siccome la Grazia sovrabbonda laddove ha abbondato il peccato, pur dal macello che sovente contrassegnò quelle strane migrazioni verso la Terra Santa, a metà tra pellegrinaggio e spedizione militare, iniziate nel 1095-96, da noi impropriamente chiamate crociate (il termine crociata è tardivo, le cronache dell’epoca parlano di iter, passagium, peregrinatio a sottolineare il loro carattere penitenziale ed apocalittico), proprio da queste esperienze nacquero gli ordini cavallereschi, monaci e cavalieri dediti alla cura caritatevole dei pellegrini e più tardi dei malati, anche infedeli, ricoverati nei loro ospitali. Esperienza, questa, che contribuì a far sì che i franchi occidentali elaborassero, un poco alla volta, un diverso modo di approcciarsi con i nativi, ebrei e mussulmani, della terra Santa.

Lasciamo ancora la parola agli storici:

«Non erano soltanto i contadini bisognosi di nuove terre… a muoversi. Sulla strada sincontravano anche i rampolli di unaristocrazia feudale impoverita… i milites’, i cavalieri che non possedevano sovente altro che le proprie armi e uno o al massimo due cavalli e che battevano le strade dEuropa in compagnia duno o di un paio di inservienti (…). (Si trattava) di poveracci che, brigantaggio a parte, non avevano altra risorsa che lingaggio mercenario presso qualche potente (…). La Chiesa del tempo – e in special modo la grande congregazione cluniacense nonché lambiente di prelati e intellettuali che avrebbe avuto la sua massima e

politicamente più lucida espressione in Ildebrando di Soana, poi Papa Gregorio VII – ebbe la geniale trovata di… inculcare in questi guerrieri degli ideali di servizio alla causa cristiana e alla cattedra di Pietro (…). Nasceva così poco a poco… un nuovo modo di essere miles Christi’, ‘guerriero di Cristo’: fino ad allora, tale espressione era stata usata per i martiri e poi per gli asceti; ora la si impiegava a indicare quei cavalieri che accettavano di porre le loro forze al servizio della Chiesa. La nuova etica cavalleresca di lotta per la giustizia e di difesa dei deboli nacque come etica penitenziale proposta a un ceto di combattenti professionisti per i quali la lotta e il rischio della vita divenivano, ora, mezzo di salvezza spirituale: e in questo è già in nuce lessenza dello spirito di crociata» (2).

La cosiddetta crociata storicamente fa il paio con il jihad islamico. Fatte, però, le debite differenze teologiche e giuridiche.

Infatti la crociata è connessa con l’idea romana, ripresa da Agostino, del bellum iustum, ma – attenzione! – non sanctum. Nella teologia morale e nella canonistica cristiana la guerra, a certe condizioni ben precise, soprattutto in quanto legittima difesa, può essere giusta ma non è mai santa o santificatrice.

Il jihad è, invece, legato all’idea coranica – anche qui si faccia attenzione! – di sforzo spirituale, interiore, ossia di guerra contro i propri vizi (analogo concetto si può del resto ritrovare anche nell’ascetica cristiana) , non dunque principalmente di guerra in senso esteriore, benché anche

tale accezione viene in certi limiti ammessa dai giurisperiti islamici.

La crociata fu, in qualche modo, la risposta della Cristianità occidentale, in forte ripresa economica, all’avanzata dell’islam dei secoli precedenti, che aveva portato i corsari barbareschi di fede mussulmana, in cerca di bottino, fino a saccheggiare Roma. Avanzata che ormai, nell’XI secolo, aveva perso la sua iniziale spinta propulsiva.

Nel 1095 Papa Urbano II aveva ricevuto, a Piacenza, un’ambasceria da Costantinopoli che chiedeva il reclutamento di un po’ di cavalieri occidentali per far fronte alla pressione anatolica dei turchi selgiuchidi, i quali avevano, tra l’altro, strappato Gerusalemme al califfato sunnita di Bagdad.

I selgiuchidi erano popolazioni di origine centro-asiatica da poco convertiti alla religione di Maometto. Neòfiti dell’islam, come tutti i neofiti, erano più integralisti dei vecchi seguaci di Maometto che avevano assoggettato al loro dominio. L’arrivo dei Selgiuchidi aveva provocato qualche problema, amplificato nella sua reale consistenza dai racconti infervorati di zelanti viaggiatori, al pellegrinaggio cristiano in Terra Santa che, fino a quel momento, si era svolto senza difficoltà benché gli islamici occupassero da qualche secolo Gerusalemme.

Infatti, considerando i cristiani gente del Libro, i mussulmani non avevano mai impedito il pellegrinaggio nei Luoghi Santi.

L’anno successivo, nel 1096, in un concilio locale a Clermont, in Alvernia, Urbano II, anche forse con

’intenzione di allontanare dall’Europa quei turbolenti uomini d’arme, fece un appello affinché i cavalieri, anziché ammazzarsi tra loro e opprimere gli inermi, si recassero in pellegrinaggio armato in Terra Santa per prestare aiuto ai fratelli cristiani d’Oriente.

Dunque l’appello papale escludeva qualsiasi obiettivo di conversione forzata degli infedeli ma si limitava solo a quello di rendere ancora possibile il transito verso i Luoghi Santi.

Tuttavia l’appello del Papa cadde in un’Europa in pieno risveglio economico, che attendeva solo l’occasione per esportare le sue ormai straripanti energie, spirituali e materiali, verso altre terre.

Un’Europa, inoltre, percorsa da fermenti, spesso ereticali, di tipo millenaristico, propagandati da predicatori di dubbia regolarità ecclesiale come Pietro l’Eremita – che poi guiderà la cosiddetta crociata dei fanciulli conclusasi con il massacro dell’orda di pellegrini infuocati dalle folli visioni di quel predicatore e che a loro volta, al loro passaggio, avevano massacrato le comunità ebraiche danubiane (difese dai vescovi locali, dall’Imperatore e dal re d’Ungheria).

L’appello di Urbano II provocò una ventata di santa follia, al grido di Deus vult (Dio lo vuole), che rischiò, come con suo disappunto constatò lo stesso Pontefice, di sconvolgere l’intero ordine sociale dell’Europa del tempo: novizi di interi monasteri chiedevano di partire, mariti abbandonavano mogli e figli per la Terra Santa, masse imponenti di contadini e popolani, assetati di terre e di giustizia sociale, si incamminavano verso la Terra promessa di latte e di miele per andare incontro al Signore del quale molti segni annunciavano l’imminente ritorno glorioso, interi casati aristocratici abbandonavano i propri castelli per cercare in Palestina quella fortuna che, a causa delle trasformazioni socio-economiche in atto, non trovavano più o che avevano perso in Europa.



Papa Urbano proclama la Crociata


La crociata fu sia baronale che popolare e queste due componenti spesso entrarono in conflitto.

Si trattò di un’orda di pellegrini visionari e di baroni che raggiunsero Gerusalemme, dopo aver attraversato i deserti anatolici, subìto e perpetrato vari massacri, praticato per fame persino il cannibalismo nutrendosi dei cadaveri di chi non ce la faceva.

E’ storicamente incredibile il fatto che quell’orda, che il Basileus di Costantinopoli si affrettò a trasbordare sulla sponda anatolica quando essa si accampò turbolenta ed affamata alle porte della sua città, riuscì a raggiungere Gerusalemme. Che conquistò, nel 1099, dopo un lungo assedio, massacrando quasi l’intera popolazione.

Se il governatore islamico della città non avesse cacciato i cristiani ivi nativi, da secoli conviventi con gli ebrei e gli islamici autoctoni, ritenendoli potenziali quinte colonne dei franchi (è indicativo il fatto che i crociati fossero chiamati, dagli islamici, franchi e non, invece, cristiani) anch’essi avrebbero subìto la stessa sorte, dal momento che quei rozzi pellegrini armati, piombati chissà da dove sulla Città Santa, non erano in grado di distinguere un cristiano orientale da un ebreo o da un mussulmano.

Eppure, passato questo primo tragico momento, i nuovi arrivati, conquistata la Terra Santa, iniziarono a meglio comprendere la realtà di quelle terre e la stessa cultura di quelle popolazioni fino ad instaurare con esse un rapporto di sostanziale tolleranza. Ne nacque una società coloniale nella quale la convivenza e l’integrazione riuscirono, provvidenzialmente, a rimarginare le ferite provocate dalla guerra ed a far rifiorire la fiorente economia della regione.

Qui, in un’ottica trascendente della storia, la fede scorge la mano provvidenziale di Dio!

Ancora una volta è necessario far parlare gli storici: «Ecco che noi, che fummo occidentali, siamo diventati orientali. LItalico e il Franco di ieri, una volta trapiantato, è divenuto un Galileo o un Palestinese (…) perché chi laggiù era povero, qui per Grazia di Dio ha ottenuto lopulenza; chi non aveva che qualche soldo, qui possiede dei tesori; chi non godeva neppure di un modesto possesso, qui si vede fatto padrone duna città intera. Perché dunque tornare, dal momento che abbiamo trovato un tale Oriente?’. Allindomani della conquista della Terrasanta uno dei più intelligenti cronisti della crociata, Fulcherio di Chartres, scriveva queste parole colme di letizia (…). Ma quel mondo che agli uomini del nord poteva sembrar favoloso, era in realtà – e per causa loro – agonizzante (…). In questa prima fase della conquista, i crociati si erano comportati con stolta quanto barbarica imprevidenza: del tutto privi desperienza relativa ai territori che stavano conquistando e di comprensione culturale per le popolazioni di questi… avevano trattato larea di conquista come un grande campo da saccheggiare. Il massacro, la ruberia indiscriminata, lo stupro furono la sola metodologia dapproccio al mondo siro-palestinese che essi seppero produrre………

fonte

http://www.effedieffe.com/index.php?option=com_content&task=view&id=25348&Itemid=100021

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