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CAVOUR (quinta parte)

Posted by on Lug 16, 2017

CAVOUR (quinta parte)

la politica economica e finanziaria di cavour

Il primo trattato di commercio, concluso da Cavour con la Francia nel novembre 1850 in sostituzione di un precedente trattato del 1843 ormai scaduto, fu caratterizzato dalla forzata accettazione da parte piemontese di condizione piuttosto pesanti imposte dal governo di Parigi, il quale non aveva ancora cominciato a modificare la sua politica protezionista.

Il regno sardo dovette ridurre la tariffe doganali per vari prodotti francesi e ottenne solo qualche lieve diminuzione delle tariffe francesi per alcuni suoi prodotti. Lo stesso Cavour, nella discussione per la ratifica del trattato avvenuta alla Camera nel gennaio ’51, affermò che esso non corrispondeva “né alle esigenze della scienza, né ai veri interessi dei due paesi” ma aggiunse che non solo il trattato assicurava qualche vantaggio alle esportazioni piemontesi ma permetteva di rafforzare le buone relazioni con la Francia [o con qualche francese?]. La svolta in senso liberistico della politica commerciale piemontese si ebbe invece con i due trattati con il Belgio e l’Inghilterra nei primi mesi del ’51. La difficile situazione del bilancio fu esposta nella relazione da Cavour alla Camera nella quale delineò anche i punti principali del suo programma. Il ricorso al credito interno per sanare il disavanzo fu attuato con la vendita di 18.000 obbligazioni di Stato mediante una sottoscrizione. Il ricorso al credito estero per far fronte alle spese del programma ferroviario avvenne con un prestito concluso con la banca Hambro di Londra che fruttò al netto quasi 80 milioni. Quanto all’aumento del carico fiscale, già il ministro Nigra si era messo su questa strada con l’appoggio di Cavour. Fu istituita la nuova imposta sui fabbricati e l’imposta sui redditi dei corpi morali. Nel settembre fu istituita una tassa sulle patenti, cioè sulle professioni libere, il commercio, le industrie. Altri nuovi tributi, come la imposta personale e mobiliare (che poi divenne l’imposta sulla ricchezza mobile) e l’imposta di successione, furono istituiti nel periodo in cui Cavour fu presidente del consiglio. L’aumento della pressione tributaria non bastò a coprire l’aumento notevolissimo della spesa pubblica negli anni successivi, sicché il bilancio piemontese rimase costantemente in deficit e furono necessari nuovi ricorsi al credito. Forti difficoltà trovò Cavour nella politica bancaria. Non riuscì infatti nel luglio 1851 a fare approvare dalla Camera il suo progetto di rafforzamento della Banca Nazionale. Ma il progetto, che in sostanza attribuiva alla Banca il monopolio dell’emissione di biglietti a corso legale, fu respinto. Alcuni lo giudicarono troppo ardito; altri lo giudicarono non rispondente ai princìpi liberisti tanto calorosamente sostenuti dallo stesso Cavour (C4).

conseguenze della politica economica di cavour

Fra l’estate e l’autunno del 1853 la reazione popolare alla crisi della sussistenza si tradusse in una sorta di resistenza di massa al liberismo, che in parecchie regioni coinvolse larghi strati della popolazione piemontese. Specialmente nelle zone di confine, la libera esportazione delle granaglie, messa a confronto con i divieti che invece molti dei paesi esteri si erano affrettati ad introdurre (Lombardo Veneto, Stati romani, Regno di Napoli) suscitò una viva eccitazione che qua e là esplose in disordini e violenze. Nell’agosto 1853 i sindaci di dodici comuni del mandamento di Intra chiedevano misure “per impedire il monopolio e la esportazione dei cereali”, prospettando la minaccia che ne derivava alla “pubblica quiete”, e sottolineando “la miseria del basso popolo e le sue conseguenze inevitabili”. Ci furono assembramenti ad Arona con intervento dei carabinieri. A Pallanza si lamentava l’assoluta mancanza di grano. Nella Lomellina “se l’esportazione continua per un mese ancora i prestinai di questo luogo non sono più in grado di rinvenire un sacco di frumento per farne del pane”. Nello stesso senso scriveva il sindaco di Vigevano. Inconvenienti simili erano in Savoia, in Sardegna, a Genova. In tutti questi luoghi si temeva per l’ordine pubblico. Nell’autunno la situazione si aggravò e si diffusero dicerie collegate con la partecipazione di Cavour nella società dei grandi mulini di Collegno; e i giornali popolari con la Voce della libertà del Brofferio alla testa, insistevano sull’accaparramento di ingenti quantitativi di cereali nei magazzini della società, che si identificava con Cavour, a scopo di speculazione. Ci fu anche un tentativo di invasione di palazzo Cavour da parte della folla con feriti ed arrestati, seguìto da manifestazioni di ostilità che accolsero il conte al suo riapparire, scortato, nelle vie. Scoppiati ancora disordini e tumulti a Stradella, Bra e Novi Ligure il governo procedette a una serie di arresti “dans toute l’étendue du royaume”. Alla fine del 1853 si ebbero in Val d’Aosta i tumulti più gravi ed estesi. Vi furono coinvolti oltre due mila valligiani che mossero disarmati su Châtillon al grido di: “Abbasso le imposte!”. La guardia nazionale procedette all’arresto di gruppi di valligiani e l’arrivo di rinforzi di truppa disperse i rimanenti, dopo uno scontro a fuoco che causò feriti e due morti. Il governo procedette a 530 arresti (R2).

cavour: oltre se stesso, chi favoriva?

Quale fosse lo stato d’animo dell’opinione pubblica piemontese, si vide nella clamorosa assoluzione ottenuta dal direttore del giornale Imparziale, l’avvocato Ghisolfi, difeso dal Brofferio, seguita pochi giorni dopo, fra gli applausi del pubblico, da una analoga assoluzione della Voce della libertà: nonostante che una dichiarazione ufficiale della società dei mulini di Collegno avesse cercato di smentire la documentazione prodotta ai giurati dal Brofferio. “Rimane dunque provato – annunciava sul suo giornale il Brofferio – 1) che il conte di Cavour è magazziniere di grano e di farina, contro il precetto della moralità e della legge; 2) che sotto il governo del conte di Cavour ingrassano illecitamente i monopolisti, i magazzinieri, i borsaiuoli, i telegrafisti e gli speculatori sulla pubblica sostanza [monopolisti, magazzinieri, borsaiuoli, telegrafisti, speculatori sulla pubblica sostanza… nascita della tradizione carignanesca!], mentre geme, soffre e piange l’universalità dei cittadini sotto il peso delle tasse e delle imposte; 3) che il sangue innocente sparso dal conte di Cavour nella capitale dello Stato senza aggressione, senza resistenza, per una semplice dimostrazione che potevasi prevenire, fu atto barbaro e criminoso, da renderlo degno di essere posto in accusa a termine delle leggi costituzionali” (R2).

finanza piemontese: questione di vita o di morte

Premessa fondamentale dell’opera che Cavour si proponeva d’intraprendere era, la restaurazione finanziaria. “La più urgente delle riforme per noi è il dare assetto al nostro ordinamento finanziario, perché questa è per noi in certo modo questione di vita o di morte” (R2). Alla fine del 1853 i prestiti esteri avevano reso un prodotto netto di oltre 304 milioni (R2). Al primo gennaio 1859 il debito pubblico piemontese ascendeva ad oltre 786 milioni! (R2).

conseguenze della politica liberistica di cavour

Il rovescio della medaglia della politica liberistica voluta dal Cavour era dato dall’aggravio che misure del genere davano alla situazione già precaria della finanza. Nel 1854 le entrate erano inferiori alle spese di oltre 24 milioni. “Ciò che è grave, gravissimo – rivelava Cavour al fido Giacinto Coiro – si è la condizione finanziaria ed economica. Siamo senza danari, e non sappiamo come procurarcene”. Si giunse al punto che persino il fedelissimo banchiere Hambro fece comunicare al Tesoro piemontese che non avrebbe più provveduto ad alcun pagamento per suo conto “excepté avec des contrevaleurs en mains” “senza un controvalore in mano”: cosa che parve a Cavour pretesa lesiva della dignità del governo sardo, e tale da giustificare l’immediata rottura con la casa londinese, se non fosse poi seguìto un chiarimento. Ma per fronteggiare la scadenza degli interessi si dovette ricorrere a Rothschild, così come fu Rothschild il tramite ormai inevitabile per il nuovo prestito, destinato a fornire al Tesoro 35 milioni, che Cavour fu costretto a proporre al parlamento. Alla Camera il dibattito sul relativo disegno di legge fu l’occasione di una offensiva generale delle opposizioni contro la politica generale del ministero Cavour. Revel accusò Cavour di avere impresso all’economia uno stimolo eccessivo, di aver effettuato le riforme doganali prima di raggiungere il pareggio (a rovescio del criterio seguìto da Peel in Inghilterra), di avere fatto promesse ormai prive di ogni credito. In particolare, si rinfacciò al conte l’annuncio che quello del 1853 sarebbe stato l’ultimo prestito. Vi fu chi contestò al Cavour le sue tesi preferite: la politica liberista non aveva affatto sviluppato le risorse latenti del paese, ma solo immesso attraverso i prestiti una massa di potere d’acquisto che in gran parte serviva ad alimentare gli investimenti nell’edilizia privata e i consumi, invece che ad incrementare gli investimenti produttivi; gli sgravi sui consumi e sui dazi doganali non avevano ridotto i prezzi dei beni di largo consumo mentre i salari erano scesi. Ma le critiche non venivano solo dagli avversari: “Se non siete in un abisso siete vicino ad un baratro – gli scriveva Hambro – avete inacidito gli animi malgrado tutti i voti favorevoli della Camera, è evidente; dove sono i vantaggi morali e materiali delle vostre misure?” (R2). Considerazioni: Ma, insomma, su quali fatti, dati, cifre è poggiata la fama propalata dagli storici ufficiali di un Cavour grande imprenditore agricolo, grande imprenditore industriale, grande ministro finanziario? Nessuno! E vedremo anche l’assoluta falsità della fama di grande tessitore della politica piemontese e della fama di artefice dell’unità d’Italia da lui definita, in una lettera autografa, una “corbelleria” (C4).

Carmine De Marco

Fonte brigantaggio.net

 

 

 

 

 

 

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