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IL CIPPO FUNERARIO DEL CAPITANO GUSTAVO POLLONE

Posted by on Apr 11, 2016

IL CIPPO FUNERARIO DEL CAPITANO GUSTAVO POLLONE

grazie ad un altro convinto identitario laborino Raimondo Rotondi abbiamo la possibilità di conoscere un altra storia ai più sconosciuta, di seguito l’articolo integrale e in allegato foto e articolo in pdf.

Nel cimitero di Mignano Montelungo esiste un cippo funerario risalente al periodo della cosiddetta “lotta al brigantaggio”.

Su di esso sono scolpite le seguenti parole:

ADDI 5 DICEMBRE 1866

GUSTAVO POLLONE GIOVANE CAPITANO NEL 72.mo FANTERIA CON POCHI SOLDATI SUL MONTE COPPA SOTTO IL FUOCO DI NUMEROSI BRIGANTI CADDE E SI UCCISE A GLORIOSO RICORDO DI LUI E CONFORTO DEI PARENTI LONTANI CHE PIANGONO A PIÈ DELLE ALPI QUESTA FUNEREA PIETRA GLI UFFICIALI DEL REGGIMENTO CONSACRANO

 

L’epigrafe colpisce subito per la strana espressione “cadde e si uccise”, del tutto inusuale in un monumento militare “a glorioso ricordo”.

Cerchiamo di capire che cosa accadde davvero al capitano Gustavo Pollone.

Nel giugno del 1866 era scoppiata la terza guerra d’indipendenza italiana. Le ancora consistenti formazioni guerrigliere dell’ex Regno delle Due Sicilie (o Briganti, che dir si voglia), fidando nel richiamo di truppe al nord, avevano intensificato l’attività.

Scontri violenti si erano succeduti per tutta la primavera e l’estate, protraendosi fino all’autunno inoltrato.

In uno degli scontri, avvenuto il 5 dicembre 1866, il capitano Gustavo Pollone, alla testa di cinquantacinque uomini (40 soldati del 72° Fanteria e 15 uomini della Guardia Nazionale di Mignano), attaccò un gruppo di “Briganti” in località Coppa, nei pressi di Presenzano.

L’attacco segnò l’inizio di una battaglia durissima, protrattasi per oltre due ore, con intensi scambi di fucileria e ripetuti assalti alla baionetta.

Alla fine i “Briganti” ebbero la meglio.

Nello scontro morirono il Capitano Gustavo Pollone e i due soldati Giuseppe Carbone e Michele Gaglietti. Gli altri soldati si salvarono soltanto grazie a una fuga precipitosa.

Da un successivo interrogatorio di Maria Giuseppa De Meo, per un periodo compagna di Domenico Fuoco, sappiamo che nello scontro rimase ucciso anche un guerrigliero “…il quale era il più vecchio della compagnia, e tanto è vero che aveva un solo dente, a cui chiamavano per Gaetano ignorandone, però, il cognome e la patria”.

Allo scontro parteciparono, di sicuro, le formazioni guerrigliere di Domenico fuoco e Francesco Guerra, in quel momento unificate. Non è confermata, invece, la presenza dei vari Pace, Ciccone, Jacucci, Cannone, Cedrone, Croce Di Tola ecc., data spesso per certa da fonti non univoche.

Non è confermata neanche la presenza di Bernardo Colamattei, che per quello scontro fu condannato a morte: “colpevole di ribellione commessa nel territorio di Presenzano, nel giorno 5 dicembre 1866, e degli omicidi volontari nelle persone di Pollone, Carbone e Gaglietta (sic: senza grado e qualifica) che furono immediata conseguenza della suddetta ribellione”.

Questa frase della sentenza, pronunciata il 27 ottobre 1872 dalla Corte di Assise della Provincia di Molise, fa riflettere sullo strano periodo storico in cui i giovani capitani dell’esercito “cadevano e si uccidevano” ed erano quindi considerati vittime di omicidio volontario.

Benedetto De Luca, già furiere del gruppo di Domenico Fuoco, anni dopo raccontò che il capitano Gustavo Pollone era morto colpito da una “baionettata”, in uno scontro dai contorni quasi epici.

Possiamo ritenere che sorte simile toccò ai due soldati Giuseppe Carbone e Michele Gaglietti.

In altre guerre i tre sarebbero stati insigniti di medaglie al valore. Avremmo oggi caserme intitolate al loro nome.

Non fu invece così, perché la guerra in cui morirono ufficialmente non esisteva.

Non si poteva ammettere che nell’ex Regno delle Due Sicilie, sei anni dopo il famigerato plebiscito d’annessione, fosse ancora in corso una vera e propria guerra civile.

Non si poteva ammetterlo soprattutto nel momento in cui il Regno d’Italia, nonostante i rovesci subiti nella terza guerra d’indipendenza, aveva appena annesso il Veneto, con l’oramai collaudato sistema del “plebiscito” (21 e 22 ottobre 1866).

Al giovane capitano Gustavo Pollone toccò, pertanto, essere ricordato nella “funerea pietra” perché “cadde e si uccise”. Andò peggio ai due soldati Carbone e Gaglietti e all’anziano brigante Gaetano, che furono soltanto dimenticati negli archivi per oltre un secolo.

Gli “ufficiali del reggimento” riuscirono, comunque, a erigere un monumento funebre con quel tanto d’incongruo che invita noi posteri a riflessioni più approfondite.

Raimondo Rotondi

 

pollo

 

Gustavo pollone

 

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