Alta Terra di Lavoro

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Cosa ci racconta ancor oggi la Vandea.

Posted by on Feb 16, 2018

Cosa ci racconta ancor oggi la Vandea.

E’ quantomai opportuno, nel 2004, tornare a parlare di Vandea.

Ogni ricorrenza relativa all’insorgenza vandeana comporta inevitabilmente una valutazione storiografica e financo spirituale attorno alla sua causa essenziale, la rivoluzione francese del 1789, e questo nesso ci consente di aggiornare il bilancio di un mutamento di mentalità diffusa che a dispetto delle resistenze dei sacerdoti odierni delle “immortali sorti, e progressive” appare sempre più irreversibile.

Taluno ricorderà l’orgia di banalità e di retorica con cui venimmo inondati nei dintorni del 19 luglio 1989, tempo in cui la “festa del bicentenario” francese venne protetta con rigore giacobino da quei ricercatori fuori dal coro, dai primi storici revisionisti, dalle voci delle comunità locali dell’Ovest della Francia che non accettavano la continuazione dell’apologia del genocidio e che potevano incrinare il bulgaro unanimismo attorno alla celebrazione della “grande Rivoluzione”. In Francia nel 1989, come due secoli prima, la censura governativa colpiva implacabile ogni voce di dissenso; dopo due secoli, nuovamente gli alberi della libertà venivano issati nelle piazze dei paesi dell’Ovest della Francia sotto la protezione della polizia. E l’Italia dell’Istituto di Studi Filosofici di Napoli e della massoneria, serva bisecolare, seguiva la corrente scimmiottandone parole d’ordine, liturgie, censure. Questo, tuttavia, con alcune eccezioni che comunque posero le basi di un mutamento di cui solo successivamente abbiamo percepito il valore. In Italia realtà diverse ed autonome, religiose, culturali e politiche iniziarono proprio nel 1989 ad uscire dal coro dell’ovvio e lo fecero in modo del tutto indipendente, quindi spontaneo ed incontrollabile, con tutti i pregi e i difetti dello spontaneismo; devo ricordare accanto al Comitato per le Celebrazioni del Bicentenario delle Insorgenze Antigiacobine in Italia, di cui mi onoro di esser stato il Segretario, l’Anti-89 di Pucci Cipriani, ma anche la Lista Verde di Firenze riunita attorno a Giannozzo Pucci e‚ dulcis in fundo, S.E. Monsignor Giacomo Biffi, Cardinale di Bologna; fu quello, in realtà, l’anno in cui il dibattito sulla Vandea tornò nelle aule universitarie di mezza Italia, in Vaticano, nel dibattito politico anticonformista.

Quattro anni dopo, nel 1993, il monolite del neo-illuminismo che sembrava eterno, iniziò a mostrare delle crepe sempre più evidenti. Dopo la diffusione di scritti veramente esplosivi sul bicentenario del genocidio vandeano – e pertanto ancor oggi poco conosciuti – come quelli di Alexander Solgenitsin e del Cardinale Poul Poupard, ci dovemmo abituare ad affermazioni come quella di Franco Cuomo, autore d’estrazione socialista e di vaga ispirazione laico-massonica, che in un suo studio edito da una casa editrice allora d’area socialista, parlando della distruzione dei simboli della sacralità della monarchia francese ad opera dei giacobini afferma lapidario che «Ricordarlo può servire a rimarcare, se mai ce ne fosse ancora bisogno, quali bassezze siano state compiute, a parte la gratuita orgia di sangue, in nome delle libertà conclamate dalla rivoluzione francese.»1

Ma questa è solamente una curiosità. La mia tesi fondamentale è tuttavia la seguente: una maggiore, seria e diffusa attenzione verso la questione vandeana e delle insorgenze antiilluministe in Italia ed in Europa è diventata un momento essenziale del cammino di riscoperta della memoria storica dei popoli d’Europa, un simbolo agito, un luogo storico fondante l’identità stessa di questi popoli, e una paradossale “proposta per il futuro d’Europa”.

Successivamente, nel 1996 si affollarono alcuni anniversari, che richiamarono con potenza la nostra attenzione su tre fatti simili, eppure distanti nel tempo e nello spazio: il 60° anniversario della guerra di Spagna (1936-39); il 70° anniversa­rio di quella magnifica avventura di fede e di popolo che fu la rivolta dei Cristeros in Messico contro le oligarchie militari e massoniche benedette dal potente vicino del nord (1926-29); il 200° anniversario del­l’inizio della lunga epopea delle Insorgenze popolari antigiacobine prima, antinapoleoniche poi in Italia (1796­-1799 nella prima fase, quella giacobina, e dal 1801 al 1815 nella fase napoleonica). Tre anniversari che ci ricondussero a tre momenti forti della lotta per la propria sopravvivenza del cat­tolicesimo popolare, in Italia e nel mondo, contro il potere omicida delle ideologie e della modernità; oppure, a seconda del­l’ottica, a tre fondamentali passi in avanti della lotta della ragione e degli Immortali Principi nati dalla rivoluzione francese contro il “medioevo” e la “superstizione reli­giosa”: dipende da quale divinità si veneri, Dio o Mammona. Tre eventi che comunque hanno nello scoppio dell’Insorgenza Vandeana un archetipo ed un modello, il primo genocidio di massa partorito dalla modernità, e la prima rivolta di popolo contro di essa.

E di Vandea, non a caso, continuarono a parlare giacobini francesi ed italiani di fronte alle rivolte dei popoli della penisola contro l’ordine nuovo imposto con le armi dal giovane Napoleone, comandante dell’Armée d’Italie dopo il 1796: ed appartenne in quegli anni alla Romagna l’indubbio onore di esser stata definita per prima dallo stupe­fatto generale francese Augereau “La Vandea d’ltalia”. Ma di Vandee in Italia ce ne furono tante, e a lungo. Vandee che vinsero e persero, furono schiacciate e risorsero, e talvolta riuscirono a liberare intere regioni dai nuovi padroni. Tante da rendere necessa­ria, all’indomani dell’unificazione d’Italia sotto i pennacchi dei bersaglieri piemonte­si, una sistematica opera di censura e rimozione di ogni loro singolo episodio, e laddove questo non era possi­bile perché troppo palese sarebbe stato il furto, un’altrettanto radicata e viscerale opera di svilimento e denigrazione di que­sti episodi, come avvenne nel caso del meridione d’Italia, dall’epopea del Cardinale Ruffo al “brigantaggio”.

Due opere simmetriche, talmente efficaci da cancellare dalla cultura popola­re, dai manuali scolastici, ed in larga parte delle stesse università italiane il ricordo stesso della portata di un evento eccezio­nale ed unico nella storia italiana (le Insorgenze antigiacobine, appunto), che avevano tutta­via il primo difetto di mettere in crisi la leggenda nazionalistica su cui si basava il giovane mito dell’Italia unita, una ed indi­visibile; il secondo difetto di smascherare, aldilà della retorica ufficiale, il patto fero­ce tra illustri potentati politici, logge mas­soniche e borghesia emergente mirante a distruggere in un colpo le solidarietà popolari, le libertà ed identità concrete e la capillare presenza della Chiesa in Italia, ad evidente scopo di lucro; il terzo difetto di gettare miriadi di luci sinistre sullo stes­so Risorgimento, troppo simile, specie nel Sud d’Italia, alla colonizzazione forzata manu militari operata dai francesi alla fine del ‘700, con il corredo cui oramai la modernità ci ha assuefatti di saccheggi, ruberie, stupri, fucilazioni di massa, il tutto reso tanto più odioso dal fatto di essere compiuto in nome dell’emancipa­zione dei popoli dalla barbarie, in nome del Dio Progresso e della nuova Trimurti Liberte‑Egalite‑Fraternite.

Una barbarie che nella serrata propaganda degli oppres­sori che trasformavano loro stessi in oppressi, dei massacratori che divenivano martiri, dei libertini che divenivano virtuosi assumeva chiaramente il volto della Chiesa cattolica e degli Stati che nella loro struttura costi­tuzionale mantenevano vivo malgrado tutto un riferimento evidente alla Regalità di Cristo nel mondo. E la cui distruzione valeva senz’altro questi piccoli incidenti di percorso. Una censura indubbiamente efficace, ma che dopo due secoli mostra il volto stanco di un’ideologia ottocentesca oramai aper­tamente fuori tempo massimo, assieme ai suoi miti nazionalisti, a riti svuotati da una sana ed ormai generalizzata miscredenza popolare, alla crisi dello stato centralizza­to secondo il modello (ancora!) giacobino oramai giunta oltre allo stato comatoso, tale da esser riuscita addirittura ad aprire anche in Italia, per la prima volta, il dibattito politico sulla sua eutanasia, cioè sulla secessione.

Proprio dalla constatazione della crisi profonda che abbraccia la nostra comunità nazionale, e dalla memoria evangelica che solo la Verità rende liberi, nacque nelle aree più libere della cultura italiana il bisogno di rompere in occasione del Bicentenario delle Insorgenze anti­giacobine in Italia quanto residuava dell’im­palcatura di imposture politiche ed ideolo­giche erette dopo il 1796 e curiosamente fatte proprie in successione dai liberali risorgimentali, dal nazionalismo fascista e dall’antifascismo consociativista del secondo dopoguerra (marxismo incluso); il residuo muro del silenzio; la crassa ignoranza attorno ad una pagina della nostra storia e della nostra identità che è, a dir poco, fondamentale non solo per comprendere il nostro passato, ma per poterci progettare un futuro.

 

Dall’identità.

 

Questo cammino è quindi ripartito da un concetto preciso. Oggi tutti si sciacquano la bocca col concetto di identità, da destra a sinistra passando per il centro, partiti, sindacati, realtà religiose, entità culturali ed etniche; e tuttavia si percepisce in argomento un notevole velleitarismo, che è certamente connesso ad una grande confusione, culturale e spirituale.

Ripartiamo quindi da capo. Cos’è un’identità? Semplicemente, come ogni persona concreta anche un popolo (che è appunto fatto di persone concrete) è una realtà organica. Questo significa che anch’esso possiede un corpo (che rimanda ad una concretezza spazio-temporale e genetica), una psiche (una cultura, un’emotività peculiare, una visione del mondo), ed uno spirito, ossia un’esperienza religiosa che si fa tradizione nel tempo, generazione dopo generazione, e dà forma alla vita concreta di quel popolo.

Ora, non è possibile comprendere il perché profondo, lo stupore provocato della rivolta vandeana (si ricordi il grido di Barère alla Convenzione di Parigi contro la «inesplicabile Vandea») e delle Insorgenze italiane ed europee se non tenendo presente che esse si proposero, coscientemente o meno, la difesa di questa pluralità di livelli, nessuno separabile, nessuno confondibile con l’altro.

In Vandea, dalla difesa della propria economia, delle proprie autonome corporazioni, di quei tanto deprecati (dal giacobinismo) “privilegi” che in realtà limitavano l’arbitrio di un uso anticomunitario e quindi perverso ed illegittimo della proprietà privata (ricordiamo solamente la legge “Le Chapelier”), ci si sposta immediatamente alla difesa della propria cultura, lingua, usi e costumi (la resistenza contro la leva forzata dei 300.000 uomini), per giungere radicalmente alla difesa della propria esperienza del Sacro (il rifiuto della “costituzione civile del clero” e della viltà scomunicata dei preti giurati).

Questi tre livelli, che riattualizzano (in modo solo apparentemente provocatorio nel momento in cui nasce la modernità) l’antichissimo schema duméziliano delle tre funzioni sociali indoeuropee2, sono gerarchicamente connessi ed inscindibili.

Prova ne sia il fatto che chi ha tentato di dividere o negare questa organicità di dimensioni (dalla critica marxista a quella liberale) si è condannato a non capire nulla né della Vandea né delle reali esigenze dei popoli d’Europa del tempo, divenendone quindi un concreto antagonista   (anche quando la convenienza politica del momento sembrava farne degli alleati, come nel caso dell’Inghilterra protestante).

Ora, dopo più di due secoli, la lotta del concreto contro l’ideologico, dell’identità contro l’annichilimento è diventata planetaria, e l’Europa, a partire dalla Vandea, si rivela esser stata solamente la prima cavia e la prima vittima di un’utopia di distruzione dell’organicità vissuta di tutto il mondo, poi esportata   lungo gli ultimi due secoli con ampio successo in tutto il pianeta.

Dopo due secoli di Vandee in tutto il mondo, chiunque non sia volutamente cieco e in malafede può toccare con mano a ripetizione il fatto che il delirio ideologico, l’illusione dell’intellettuale (figura borghese per eccellenza) di “rigenerare” la realtà a partire dalla propria testa si traduce in una violenza sistematica sulla realtà concreta, genera mostri senza nemmeno aver bisogno di dormire, non può costruire nulla di vivente e armonico, è solo capace di distruggere tutto quello che non si inquadra nelle categorie del philosophe. L’ideologia dei diritti dell’uomo astratto si traduce non a caso in una sistematica violenza e sopraffazione nei confronti degli uomini concreti proprio perché esistono solamente popoli e culture concrete, e l’uomo astratto, come aveva già notato De Maistre, è solo un incubo filosofico.

Dal Tibet agli Stati Uniti, dai Balcani all’Irlanda, dall’ex-Unione Sovietica e paesi limitrofi al Medio Oriente e a al Sud America, oggi ci rendiamo conto che questa battaglia continua, e che gli ostacoli concreti di fronte al trionfo planetario del mondialismo crescono e si sommano, la curva dei profitti della globalizzazione tende al ribasso, mentre si impenna la sua ferocia.

Questo significa comprendere che oggi è l’ora di una concreta solidarietà culturale tra tutti coloro che combattono, ovunque nel mondo, questa battaglia: una vittoria del Dalai Lama del Tibet è anche una nostra vittoria, come italiani ed europei, mentre la distruzione di un’etnia amazzonica restringe i margini anche della nostra sopravvivenza. Non stupirà nessuno il fatto che, come italiani ed europei, a partire dalla nostra piccola Patria, dall’Italia e dall’Europa, noi oggi abbiamo in mano infinite possibilità d’azione estese a tutto il mondo, e che il nostro piccolo pesa infinitamente di più di quanto i nostri meriti, o le nostre oggettive possibilità, consentano.

 

…alle Vandee.

 

In questa prospettiva si comprende appieno il senso della presenza culturale dell’Associazione Identità Europea, che Franco Cardini ebbe l’idea di costituire nel 19963. Identità Europea è nata per costruire; ed anche grazie al suo lavoro negli ultimi anni ci siamo finalmente trovati in mano una serie di strumenti in grado non solo di ristabilire finalmente la verità storica sull’Insorgenza vandeana ed italiane, ma anche di divulgarla laddove la verità deve andare: nelle mani di tutti, fin sui banchi delle scuole medie superiori. Grazie alla collaborazione fra due Editori d’area diversa, Il Cerchio e Itaca, è nata dal 1999 la Collana di Sussidi per l’insegnamento della storia “L’Altrotesto”, che vanta oramai una quindicina di volumi e conta sull’adesione concreta di un buon numero di Enti locali interessati a rompere il muro di gomma dell’ignoranza ideologizzata4, con alcune opere di Francesco Mario Agnoli utilissime per un aggiornato lavoro didattico su questi temi.

Allo stesso tempo si devono ricordare le Mostre itineranti5 che Identità Europea sta promovendo ovunque in Italia: non a caso ve ne sono tre, una sulla Vandea curata del grande storico francese Reynald Secher, una seconda sulle Insorgenze antigiacobine in Italia (1793-1815) e l’ultima intitolata “Un tempo da riscrivere: il Risorgimento italiano” curata da F.M. Agnoli: strumenti innovativi e di grande richiamo anche estetico, che aiutano a far capire a tutti per quale motivo chi ignora il proprio passato non è in grado di costruirsi né il proprio presente, né tantomeno il proprio futuro.

Ed accanto a questi strumenti divulgativi non bisogna nascondere l’importanza dell’approfondimento storico-culturale. Negli ultimi 10 anni sono emerse una serie di opere originali, e sono state ripubblicate molte preziose fonti d’epoca6 che, in tempi di polemiche spesso artificiose attorno all’unità d’Italia, ripropongono col massimo vigore la constatazione che la prima unità d’Italia, un’unità plurale nelle espressioni ma fortemente unitaria nei valori e nelle proposte, si realizzò da sola alla fine del ‘700, non   grazie ai patetici sforzi delle sparute schiere dei collaborazionisti borghesi del giacobinismo invasore, ma proprio grazie agli Insorgenti, da Andreas Hofer nel Tirolo italiano e austriaco al Cardinale Ruffo nelle Calabrie, passando dal Veneto alle Romagne, dalla Toscana a tutto il territorio dello Stato della Chiesa. Lingue, storie, tradizioni, persino sovrani diversi: ma malgrado ciò e aldilà del comune nemico, la stessa bandiera, “Dio e il Re”, gli stessi valori legati al “lungo medioevo” anti-borghese, persino le stesse armi e la stessa tecnica militare, e per finire la stessa fragilità operativa, gli stessi limiti e fallimenti, paralleli in un modo impressionante. Chi può seriamente credere che ciò sia dovuto al caso?

 

In conclusione…

 

Il bisogno d’identità è un bisogno costitutivo dell’essere umano concreto, al pari (perlomeno) di quelli biologici; la sua insoddisfazione provoca una serie di patologie che non sono solamente politiche e sociali, ma diventano (oggi in modo drammatico) percepibili a livello di massa nel corpo e nella mente stessi dei singoli privati di questa dimensione di radicamento, per mezzo della storia, nella trascendenza. In breve, abbiamo finalmente scoperto persino noi “scienziati” (operatori di scienze umane), quello che prima della “modernità” era chiaro a qualsiasi contadino: che senza un’identità che dia un senso al cosmo ed alla vita non si vive.

Ecco quindi che la difesa delle identità locali, di tutte le identità locali nella loro necessaria e fisiologica articolazione gerarchica e nella loro irriducibile varietà e differenza, può divenire a partire da oggi il luogo sintetico di composizione di una concreta e plurale opposizione alla degenerazione mondialista ed alla parodia che la modernità ha costruito della comunità, della cultura, dei bisogni umani.

Questo particolarmente in Italia, dove a differenza che in altre nazioni, questa difesa non assunse atteggiamenti pietistici e ripiegati nella semplice e sterile commemorazione rituale delle sconfitte patite, con l’usuale corredo di deprecazioni contro il destino cinico e baro. Oggi, sia nel nord che nel sud della penisola, attorno a questi temi si sta coagulando un consenso inedito e, dopo più di cent’anni, nuovamente di massa. Ricordiamoci sempre che il limite che perse le Insorgenze fu la mancanza di coordinazione, l’incapacità strategica e culturale di vedere aldilà del pur sacrosanto territorio all’ombra del proprio campanile.

Cerchiamo oggi di non ripetere quell’errore, e di lavorare assieme affinché chiunque e dovunque si senta chiamato a combattere questa battaglia, aldilà della sua provenienza culturale, politica e sociale, possa contare sulla solidarietà concreta di un numero di realtà autonome il più vasto possibile, imparando a lavorare progressivamente in sintonia, sia pur nella reciproca autonomia e libertà. Ogni campanile d’Italia, l’Europa stessa, la stessa religione cattolica da ciò non possono che trarne un cospicuo, radicale e oramai indispensabile guadagno.

 

Adolfo Morganti

 

Note

  1. F. Cuomo, Gli ordini cavallereschi, Newton Compton, Roma 1993, p.110.
  2. Non è un caso che l’insorgenza vandeana si concretizzi solamente grazie ad una rinnovata coesione, ad un “patto di destino” tra questi tre ceti dell’Ovest della Francia: il ceto produttore composto da contadini ed artigiani” quella parte della nobiltà e dell’aristocrazia militare ancora legata alla propria terra e sfuggita alla degradazione cortigiana parigina” la parte martire del clero francese che rifiutò di giurare fedeltà alla repubblica. Questo patto, onorato nel martirio di intere regioni, ricostituì “dal basso” la struttura più profonda e vera della società tradizionale europea. Chi voglia conoscere meglio la concezione della tripartizione funzionale sviluppata da Georges Dumézil, veda L’ideologia tripartita degli indoeuropei, n. ed., Rimini 2002.
  3. Per ulteriori informazioni sulla struttura e le attività dell’Associazione, vedasi il sito informativo www.identitaeuropea.org.
  4. Per ulteriori informazioni sulla Collana “L’Altrotesto”, vedi la pagina apposita sul sito www.ilcerchio.it .
  5. Vedasi sempre il sito www.identitaeuropea.org.
  6. Qui citiamo solamente alcune di queste opere, rimandando il lettore desideroso di una informazione bibliografica più completa al sito bibliografico www.ilcerchio.it , alla voce “storia contemporanea”. Aa.Vv., La Rivoluzione francese, Rimini 1989; A. Cochin, Lo spirito del giacobinismo, Milano 1981; R. Secher, Il genocidio vandeano, Milano 1989; F.M. Agnoli, Le Insorgenze antigiacobine in Italia (1796-1815), Rimini 2003; Idem, 1799, la grande Insorgenza, Napoli 1999; Idem, Le Pasque veronesi, Rimini1998; I. Rauti, Campane a martello, Milano 1989; M. Viglione, Rivolte dimenticate, Roma 1999; C. Alianello, La Conquista del Sud, Milano 1972; F.M. Agnoli, Scristianizzare l’Italia. Potere, Chiesa e Popolo (1880-1885).

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