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Costi umani ed economici dell’Unità d’Italia per il Sud

Posted by on Mar 17, 2017

Costi umani ed economici dell’Unità d’Italia per il Sud

La vigilia delle celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia in Basilicata, sembra essere diventata un’occasione di dibattito intorno a qualche personaggio di indubbio spessore culturale, ma del quale sono piú note le candidature politiche che le pubblicazioni, o lo spunto per aggressioni politiche intraspecifiche e aspecifiche da parte di altri personaggi notoriamente affetti da un io ipertrofico ed il cui lessico barocco è quasi sempre scollato dalla realtà. Si sono totalmente persi di vista alcuni aspetti del processo di unificazione nazionale che é doveroso ricordare.

Non si tratta di nutrire nostalgie neo-borboniche, ma di tentare un approccio storico senza la cieca retorica che sembra predominante in queste ultime settimane. Anche a non voler aderire totalmente alla tesi di Nicola Zitara che con il libro l’Unità d’Italia Nascita di una colonia, ha sottolineato gli aspetti negativi dell’unificazione per il sud, attribuendole la responsabilità di un declino inarrestabile, vi sono dei dati oggettivi sui quali, pur senza mettere oggi in discussione l’unità nazionale, anzi esaltandone il valore di fondo di fronte alle spinte secessioniste, è però opportuno riflettere e non ignorare, anche per rispetto alla memoria di tanti giovani meridionali che sacrificarono la loro vita.

Lo storico Denis Mack Smith, infatti, ha dimostrato che le vittime per il sud furono piú numerose di tutti i soldati persi dal regno sabaudo nelle guerre di indipendenza contro l’Austria (che erano poco piú di seimila). Quasi tutti i briganti erano giovani e morirono prima dei 30 anni di vita. L’efferatezza tipica di una guerra civile si palesò anche con gesti disumani come l’esposizione in pubblica piazza dei cadaveri insepolti dei briganti o delle loro teste mozzate conservate in apposite teche trasparenti o anche nelle frequentissime macabre fotografie di briganti uccisi. I generali piemontesi, hanno aggiunto alcuni storici, con il terrore cercavano di spezzare la solidarietà dei”cafoni” con i briganti. Ma a pagare non furono solo i briganti, in un suo intervento alla camera l’8 giugno del 1864 il deputato Minervini affermava: “Si sono condannati alla morte e colla fucilazione anche nelle spalle (il che è contro la legge) individui volontariamente presentatisi.

Si sono condannati a morte i minori arrestati non nell’atto dell’azione…. si sono passati per le armi individui non punibili per brigantaggio… si sono condannate per manutengole di briganti con complicità di primo grado le mogli dei briganti ai ferri a vita, e le figlie e i minori di 12 anni a 10 a 15 anni di pena”. Le carceri arrivarono ad ospitare dai 30 ai 40 mila detenuti politici che versavano in condizioni disastrose. Ed ancora vanno ricordati gli oltre 20 mila militari borbonici e papalini internati nel primo lager d’Europa, nella fortezza di Fenestrelle ai confini con la Francia, lí imprigionati a partire dal 1861, tra loro vi erano ragazzi lucani appena ventenni, tra vessi un giovane ventunenne di Montalbano Jonico del quale abbiamo recuperato l’atto di nascita, e in gran parte morirono per i maltrattamenti, la fame, gli stenti e le malattie. L’unica loro colpa era quella di non avere tradito il giuramento fatto al re borbonico e al Papa.

A Torino è stato riaperto il museo dedicato a Cesare Lombroso che offende i meridionali visto che lo stesso teorizzò la loro inferiorità razziale e considerò inoltre geneticamente inclini alla delinquenza. Sono numerosi gli storici che fanno iniziare la storia della mafia dall’Unità d’Italia. E non perché prima la criminalità simile a quella mafiosa fosse assente, ma perché in quel momento storico si evidenziò un conflitto palese tra questa criminalità, che andò organizzandosi in maniera sempre piú rigida, e lo Stato, almeno nelle forme centralistiche e oppressive in cui quest’ultimo si palesò all’indomani dell’unità nazionale. La mafia messa in condizione di non nuocere negli anni trenta, è ritornata in Italia, come ormai ammesso da storici di diverso orientamento, con lo sbarco degli americani nel ’45 in Sicilia.

Nicola Zitara ha sostenuto che : “Non starò a soffermarmi sul tema se l’unità d’Italia possa essere interpretata in termini crociani, come un episodio di quel moto ottocentesco di dimensioni europee che presentò, fuse in una, due qualità, la prima liberale e l’altra nazionale, oppure in termini marxistici, funzionale al capitalismo con un unico mercato nazionale. In fondo le due tesi collimano almeno su un punto: nel considerare l’unità come un prodotto non esclusivamente casalingo. Ma all’economia di questa riflessione interessa soltanto che, comunque si risolva l’interrogativo, l’unità coincise con la formazione del “mercato nazionale” nel quale il sud ha assunto il ruolo di colonia. Ed ancora potremmo continuare col dire che al momento dell’unità nazionale la ricchezza del sud era pari ai due terzi di quella complessiva del nuovo stato nazionale. L’emigrazione era sconosciuta e l’inizio dell’esodo delle popolazioni meridionali inizia quello dell’Unità d’Italia. Le conseguenze sulla struttura sociale ed economica del sud furono devastanti ed è noto il ruolo che ebbe la massoneria inglese, per i finanziamenti, e quella italiana.

L’Opificio Reale di Pietrarsa era la piú importante fabbrica d’Italia. Il governo unitario affidò le commesse per i binari alle industrie francesi, furono annullate le precedenti convenzioni con società meridionali e la costruzione delle strade ferrate venne affidata a società del centro-nord. Il protezionismo del 1887/88 chiuderà gli sbocchi esteri all’agricoltura meridionale che era già allora non solo di sussistenza e autoconsumo, ma anche mercantile. Nel 1886 con la vendita delle proprietà demaniali venne incrementato il latifondo.

La politica fiscale drenò capitali dal sud per il nord, aumentò con i piemontesi la pressione fiscale in agricoltura con una sperequazione considerevole tra nord e sud. Il debito pubblico pro-capite degli Stati Sardi era quattro volte piú alto di quello del Regno del Sud. Anche la spesa per la scuola pubblica crebbe in modo considerevole e sproporzionato al nord rispetto al sud. Il capitale che circolava nel Regno delle due Sicilie era piú del doppio di quelli di tutti gli altri Stati della penisola messi insieme. Giustino Fortunato in una lettera a Benedetto Croce del 1923 scrisse: “ Non disdico il mio “unitarismo”.

Ho modificato soltanto il mio giudizio sugli industriali del Nord. Sono dei porci piú porci dei maggiori porci nostri. E la mia visione pessimistica è completa”. E Antonio Gramsci: “ Lo Stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, crocifiggendo, squartando, seppellendo vivi i contadini poveri che gli scrittori compiacenti tentarono di infamare con il marchio di briganti”.

VINCENZO MAIDA, Giornalista

(da Metapontino.it 18 marzo 2011)

 

 

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