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Dal capitone agli struffoli, dalla frutta secca ai frutti di mare: a Natale parliamo coi nostri morti dalla tavola

Posted by on Dic 25, 2017

Dal capitone agli struffoli, dalla frutta secca ai frutti di mare: a Natale parliamo coi nostri morti dalla tavola

La cena della vigilia, rigorosamente di magro, si componeva a Napoli di  varie portate: “I cibi di rito della cena della vigilia sono i vermicelli, il cavolfiore, i pesci di ogni specie, e massime il capitone e l’anguilla, gli struffoli (pasta dolce con miele e tagliuzzata), i mostaccioli, i susamielli, ogni sorta di seccumi, le ostriche, ed altri camangiari di magro, che s’imbandiscono a seconda del gusto e dell’agiatezza delle famiglie.” racconta Francesco Mastriani nel saggio “Natale a Napoli” che si trova in “Usi e costumi di Napoli”, una sorta di bibbia di fine ottocento di De Bourcard.

Ogni pietanza e ogni piatto che arriva sulla tavola del Natale partenopeo, infatti, così come per ogni pastore del presepe che vi stiamo raccontando in questo mese hanno una loro simbologia, che si è persa col tempo e che vogliamo ricordarvi.

Il pranzo di Natale, in Campania, è un pranzo a carattere religioso, una occasione in cui le famiglie vivono un momento di convivio, sospeso tra mondo dei morti e dei vivi, ai quali viene concesso così di incontrre i propri defunti. Ecco perché il banchetto conviviale della vigilia e quello di Natale hanno un rituale nella preparazione di alcune pietanze che si ricollegano ad antichissime tradizioni pagane, originariamente legate ai riti propiziatori di fine anno e, concomitanti con il solstizio d’inverno del 21 dicembre. Alcuni alimenti sono in possesso di peculiarietà magiche riconducibili alla divinità e al soprannaturale. Altri facilitano l’incontro con i propri defunti.

Alla vigilia, in cucina, non saranno mai preparate pietanze a base di carne bovina, quella rossa per intenderci, poché contiene sangue, noto simbolo infernale.

Il cenone prevede, infatti, un menù a base di pesce, le cui carni sono notoriamente libere da spiriti maligni. Meno rigida è la tradizione del consumo di salsicce suine.

I piatti a base di carne sono in ogni caso consentiti, ma nel rispetto di due specifiche regole: che siano preparate dopo la nascita del Bambino Gesù (dopo la notte del 24 dicembre) e che provengano da animali che forniscono carni bianche non sanguinolente (polli, conigli e tacchini). La preparazione della minestra maritata, preparata con l’impiego di diversi tipi di carni e di verdure, costituisce eccezione a tale regola, in quanto connessa all’antica usanza di consumare tutte le scorte alimentari presenti in casa prima della venuta del nuovo anno.

Ecco spiegata l’abbondanza di pesce e frutti di mare che rappresentano una benevola presenza, in quantocollegate all’elemento vitale per eccellenza, l’acqua.

Una nota a parte merita il capitone, una grossa anguilla di mare, la cui preparazione prevede il suo taglio a pezzi ed è proprio tale operazione che presuppone l’azione simbolica di scindere il tempo nel tentativo di poter arrestare il presente e poter controllare poi il futuro. Il rituale preparatorio è abbastanza cruento ed anche se ne sarete testimoni i tranci del malcapitato pesce appena tagliate continuano a muoversi vive, non potrete assolutamente disdegnarne l’assaggio di un boccone: ne và del vostro futuro!

Tutte le pietanze a base di semi sono comunemente elementi di contatto con i morti. Questo lo si puo’ vedere anche in alcune preparazioni rituali per il giorno dei defunti, ed in questo senso tradizionalmente si fa riferimento alla cultura gastronomica funeraria, ancora in uso in buona parte del nostro Sud, dove in concomitanza di funerali si preparano minestre a base di lupini.
Ancora la frutta secca (pinoli, mandorle, castagne, noci e nocciole) rappresenta cibo magico e funerario per eccellenza: al loro interno è possibile rinvenire, secondo racconti e fiabe popolari, doni o creature sovrannaturali.

Anche i dolci a base di miele e zucchero mischiati a frutta secca (torroni, paste di mandorla, raffioli, susamielli, ecc.) si ricollegano alla tradizione dei dolci che si preparano in occasione della festività del 1° novembre. L’uso di lasciarli a tavola, a pranzo finito, favorisce la visita notturna dei cari estinti, i quali proprio in tale periodo sono più disponibili ad apparire in sogno e dare ai parenti più prossimi i numeri della Cabala.
Infine il dolce natalizio più famoso, gli struffoli: alla pari del capitone ripropongono la simbologia del serpente cosmico tagliato a pezzi, nel tentativo di segmentare il tempo per poterlo poi nuovamente investire.

Spiega Roberto De Simone che la “minestra maritata” caratterizzata da grande varietà di verdure e carni, tipica del pranzo natalizio, è da mettere in relazione a una antica prescrizione culturale che impone il consumo totale di tutte le riserve di cibo in attesa del rinnovamento annuale. In quanto tale essa è una pietanza di rito anche del Capodanno e dei banchetti nuziali. “Metafora del tempo che viene fatto a pezzi per essere rigenerato può essere considerato il classico capitone natalizio. E poi ancora i frutti di mare, che rimandano all’elemento primordiale, l’acqua, a cui ebbero origine tutte le cose”. Poi il Maestro si sofferma sui cibi caratteristici dei defunti che, in comunione sacrale, possono essere consumati anche dai vivi. “Da antiche fonti collegate al mondo pagano sappiamo che molti cibi graditi ai morti possono essere costituiti dai semi. Olte il melograno, frutto esemplare in tal senso, pietanze a base di fave e lupini, consumate in periodi particolari, rappresentano evidentemente dei cibi funerari: alimento a base di semi è anche tutta la cosiddetta frutta natalizia come mandorle, noci, nocciole, castagne, pinoli. Il senso infero di questi frutti si evince dal fatto che a essi, come leggiamo nella favolistica popolare, sono attribuiti straordinari poteri magici. Ad esempio da una noce, da una castagna o da una nocciola escono per incantesimo oggetti preziosi o creatuire straordinarie ed è tradizione che nei pinoli natalizi si ritrovi la manina di Gesù Bambino, avendolo la madonna nascosto in quel frutto per sottrarlo ai soldati di erode. Con ingredienti a base di mandorle, di miele e di zucchero – continua De Simone – sono confezionati i classici dolci natalizi – raffioli, torroni e confetti, pasta di mandorle o pasta reale Si ha inoltre notizia di una particolare pietanza ritenuta assai gradita ai defunti che una volta veniva confezionata a Napoli con zucchero, confetti e paste morbide detta appunto la papparella dei morti… rappresentativo della tradizione natalizia è anche il sesamello o susamiello, confezionato con fichi secchi e odorosi semi di sesamo: ingredienti che riconducono al mondo degli inferi. Un tempo v’era inoltre il rito di lasciare i dolci natalizi e la frutta secca a tavola anche dopo che si era sparecchiata la mensa, quasi dovessero rimanere a disposizione delle anime vaganti di notte”.

Al tempo fatto a pezzi, spiega invece Claudio Canzanella in “Razzullo e la Sibilla”, oltre che il capitone ci riportano anche gli struffoli, ricavati da pasta frolla spezzettata. “In alcune case tale dolce viene preparato in occasione del Capodanno. Anche la ‘nferta, cioè la questua natalizia che si faceva in passato da poveri e bisognosi casa per casa, simboleggiava i poveri del presepe, la questua che i morti fanno presso i vivi”.

Lucilla Parlato

struffoli

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