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DON LIBORIO ROMANO – IL BOIA DELLE DUE SICILIE (sesta parte)

Posted by on Nov 8, 2017

DON LIBORIO ROMANO – IL BOIA DELLE DUE SICILIE (sesta parte)

DON LIBORIO SALE DI GRADO

Il giorno 14 luglio il cav. Federico del Re, Ministro dell’Interno e della Polizia generale nel governo costituzionale, dà le dimissioni, al suo posto viene nominato Liborio Romano. Nell’assumere la carica egli pubblica un manifesto in cui dichiara tra l’altro: “…chiamato dall’augusto Sovrano al ministero dell’interno e della polizia, troverò nella costanza del volere, nella lealtà dei principi, nei lumi degli onorevoli uomini miei compagni, e soprattutto nella confidenza del paese, la forza sufficiente per condurre, in modo conforme all’altezza dei tempi e con impulso vitale, un ministero destinato a coordinare nei limiti dei poteri costituzionali ed in mezzo al sagace andamento della pubblica tranquillità la macchina dell’amministrazione civile alle nuove maniere di reggimento. Agevolatemi quindi del vostro concorso, affinché alla prontezza ed efficacia delle intenzioni, rispondano pronti e durevoli effetti; alle antiche speranze di una vita politica forte ed italiana, ne consegua il celere raggiungimento…”. Questo documento, mai forse finora preso in considerazione da chi ha studiato l’attività politica del Romano, fa capire senza ombra di dubbio in che direzione costui si sta movendo. E’ fin troppo chiaro che, da quel posto di grande autorità, egli sta inviando precisi messaggi all’ala liberale oltranzista completamente votata alla causa piemontese. Cosí egli continua: “Intanto vi annunzio che il ministero va a completarsi con nomi a voi noti per fermezza di carattere ed amore verso la patria comune. Appena integralmente costituito darà il programma della sua condotta, per indi mettersi indeclinabilmente sul cammino, a cui meta siede la pubblica prosperità, il risorgimento, l’onore, la grandezza della nazione“. Sembrano parole di Cavour.

UN ALTRO CHE TRAMA

Anzi, proprio in quei giorni avvengono contatti tra il Romano e il conte piemontese, tramite un altro individuo, che, a chiamarlo traditore, si dice poco: Niccola Nisco. Costui, nel gran marasma conseguente alla costituzione, ritorna a Napoli e s’incontra col vecchio compare di bagordi liberaleschi. Che cosa si siano detto non si sa, il Romano nelle memorie (postume) non ne parla, né ne parla il Nisco, si sa solo che al Nisco fu affidato un messaggio orale per il Cavour, messaggio che, se non fosse stato compromettente, sarebbe stato messo per iscritto. Una cosa è comunque certa, da quel momento Cavour può fare assegnamento su don Liborio.

L’ALTO TRADIMENTO SVELATO

Ecco come il Cavour segnala la cosa al Nigra: “Mr. Nisco étant allé faire une course à Naples, s’est trouvé en relation directe avec Liborio Romano, son ancien ami, et le Général Nunziante. L’un et l’autre l’ont chargé de messages pour le Roi et pour moi; le premier s’est contenté de communications verbales, le second n’a pas reculé davant l’invitation d’écrire une lettre qui le ferait fusiller si elle était publiée… Liborio, Nunziante, et Persano combineront ce qu’il y a à faire pour qu’un mouvement ait lieu, auquel participeraient le peuple, l’armée et la marine (Il sig. Nisco, andato a fare una corsa a Napoli, s’è trovato in relazione diretta con Liborio Romano, suo vecchio amico, e il Generale Nunziante. L’uno e l’altro l’hanno incaricato di messaggi per il Re e per me; il primo s’è contentato di comunicazioni verbali, il secondo non ha indietreggiato davanti all’invito di scrivere una lettera che lo farebbe fucilare se venisse pubblicata … Liborio, Nunziante e Persano organizzeranno ciò che è da fare perché abbia luogo un sommovimento, a cui parteciperebbero il popolo, l’armata e la marina) (lett. 1022 del 1° agosto, Carteggio Cavour – Nigra). Si intuisce chiaramente dunque il fine del Romano, il motivo del messaggio al primo ministro piemontese, a che cosa era disposto. Ed ecco la lettera di risposta a don Liborio; essa, per ovvii motivi di segretezza, è piú sfumata: “Preg. Signore, Mi valgo del ritorno a Napoli del Barone Nisco per ringraziarla del gentile messaggio che per mezzo suo mi mandava. Fu per me di gran consolazione e conforto il veder confermato per prova diretta l’alto concetto che io mi era formato del suo illuminato e forte patriottismo e della sua devozione alla causa per cui combatto da tanti anni ed ella sofferse molto. Nel posto eminente ch’Ella occupa, colla influenza immensa ch’Ella esercita sui suoi concittadini, la S.V. può fare del gran bene all’Italia ed Ella lo farà. Ond’io nutro fiducia di potere fra breve salutarla come uno di quei grandi Italiani, mercé la cui opera la pace di Villafranca, reputata sulle prime fatale alle nostre sorti, segna invece il piú splendido periodo del Rinascimento italiano. Ho l’onore ecc. ecc.. (lettera 1019, ibidem). Merita di essere riportato al riguardo quanto ne dice il Ghezzi, giacobino unitarista sfegatato, laudatore sperticato delle gesta di don Liborio (libro citato, pag 123) quindi una fonte non sospetta: “Lettera di stile raffinatissimo: apparentemente non si chiede nulla al ministro di Francesco II. A chi non sappia i precedenti può anche sembrare che si tratti di un normale scambio di cortesie tra due eminenti personalità politiche: invece vi è qualcosa di piú grave. Lusingandone l’amor proprio, ricordandogli le passate sofferenze e quindi le passate colpe della dinastia che ora serviva, propone a Liborio niente altro che il tradimento...”. Ma Cavour sfondava una porta aperta. L’uomo, il ministro del governo costituzionale, era già ai suoi piedi. Aveva dunque ragione Ferdinando II a farlo imprigionare nel 1848 dopo il sanguinoso 15 maggio.

fonte

brigantaggio.net

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