Alta Terra di Lavoro

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DON LIBORIO ROMANO – IL BOIA DELLE DUE SICILIE

Posted by on Ott 25, 2017

DON LIBORIO ROMANO – IL BOIA DELLE DUE SICILIE

Il ritratto di questo personaggio, l’essenza del traditore tipo, per giunta sembra successivamente anche pentito, è quello di un uomo abbastanza vanesio, inconsapevole di quello che faceva e vagamente idealista. Un personaggio esemplare, dunque, per essere adoperato dagli invasori piemontesi per compiere atti devastanti all’interno dello stesso governo duosiciliano. Da evidenziare che fu proprio lui che consacrò definitivamente l’intreccio politica-delinquenza nel Sud, i cui effetti sono ben visibili ancora ai nostri giorni, come ci mostra la scoperta fatta a Napoli il 20 ottobre scorso di una loggia massonica che cospirava con la camorra per condizionare la vita politica. Il dramma di quei tragici giorni in cui si determinò la fine delle Due Sicilie fu che gli avvenimenti si svolsero in una atmosfera di incredulità da parte della dirigenza delle Due Sicilie. Incredulità abbastanza comprensibile perché i tradimenti erano talmente evidenti da far quasi credere non fossero reali. Del resto la politica estera delle Due Sicilie era sempre stata di stretta neutralità, rivolta soprattutto al benessere interno, per cui la ingiustificata aggressione da parte di uno Stato straniero era, per quella dirigenza, del tutto impensabile e, quindi, nulla era stato preparato per fronteggiare il terribile evento dell‘invasione piemontese.

 

 IL CANTO DEL CIGNO DELLE DUE SICILIE

Il mese di maggio 1860 – la tempesta politica, non inattesa, si avvicinava con lugubri rimbombi – fu l’ultimo mese in cui lo Stato Due Sicilie, sovrano da ben otto secoli, si illuse di poter pensare al proprio destino ancora in modo autonomo, come risulta dal seguente piccolo esempio che La Civiltà Cattolica (Serie IV, vol. VI, pag. 610) ci ha tramandato: “Una legge del 15 Febbraio ultimo ordina l’esecuzione del trattato soscritto a Costantinopoli il 19 Aprile 1859 e ratificato colà stesso il 14 Gennaio di quest’anno, per la congiunzione delle linee telegrafiche dei due Stati, mercé lo stabilimento di un filo elettrico sottomarino da Otranto a traverso l’Adriatico a Vallona, da cui il Sultano s’impegna a stabilire una linea telegrafica fino a Costantinopoli ed a Scutari d’Albania e Cattaro, dove si uniscono le linee telegrafiche dell’Austria; con una terza linea da Costantinopoli stessa alla frontiera di Russia presso Ismail. Intanto in Aquila, Colonnella ed Isernia sono state inaugurate con gran pompa nuove stazioni del telegrafo elettrico“. Di lí a poco, con i famosi “mille”, “tutti generalmente di origine pessima e per lo piú ladra; e tranne poche eccezioni con radici genealogiche nel letamaio della violenza e del delitto” (parole di G. Garibaldi pronunciate il 5 dicembre 1861 nel Parlamento di Torino) e poi con 23.000 regolari piemontesi, travestiti, da sud e 40.000 da nord sostenuti da Inghilterra e Francia, l’invasione nordista capeggiata dal Piemonte avrebbe seppellito l’antico Reame sotto un inferno di fuoco e di sangue e di corruzione, da cui, ancora dopo 140, la nazione duosiciliana non riesce ad avere sollievo.

 

È L’ORA DEL TRADIMENTO

E’ l’ora tenebrosa del tradimento: l’ammiraglio nemico Persano, che a bordo della sua nave ancorata nel porto di Napoli dispone di una cassa di circa un milione di ducati, distribuisce denaro a piene mani e riesce a corrompere quasi tutta l’ufficialità della marina duosiciliana: “possiamo ormai far conto sulla maggior parte dell’officialità della regia marina napoletana” cosí costui scrive al Cavour. E ancora: “Gli Ufficiali Napoletani son pure devoti alla politica di V.E. ed a me. Conservo corrispondenza con quelli di Napoli, non compromettente, ma tale però che ce li assicura senza fallo. Mi scrivono che se si tratta di venire sotto il mio comando son pronti quando che sia” (lett. n. 436, vol. 1°, Carteggio di Camillo Cavour, La Liberazione del Mezzogiorno) e nella lettera 553 del vol. II: “Gli Stati Maggiori di questa marina si possono dire tutti nostri, pochissime essendo le eccezioni“. E il 6 settembre 1860 se ne ebbe la vergognosa conferma. Gli ufficiali della flotta duosiciliana, illusi dall’idealismo suicida (e dal denaro), tradiranno in massa la loro Patria e il loro Re rendendo cosí il loro paese oggetto dell’altrui volontà. Questo sul piano Armata di Mare. E sul piano Armata di Terra? Allo stesso modo se non peggio. I traditori erano numerosi come i granelli di sabbia del mare: il generale Nunziante, lo zio del Re il conte di Siracusa plagiato dalla moglie savoiarda, l’altro zio il conte d’Aquila, entrambi fratelli di Ferdinando II, e poi intendenti, magistrati, tutti ad arraffare i luridi trenta denari che il Persano faceva scivolare nelle loro tasche, addirittura al conte di Siracusa era stata fatta baluginare la luogotenenza della Toscana: “Il conte di Siracusa si dimostra apertamente annessionista, e fa il liberale al punto da chiedermi lo salutassi colla bandiera allo stemma di Savoia e non col borbonico. Naturalmente gli resi gli onori con quello e non con questo (sic), ma le sue parole stanno, e le pronunciava ad intento di essere sentito dall’equipaggio, sicuro che poi io non l’avrei messo in una falsa posizione, per quanto Egli si trovi compromesso d’averne fin sopra gli occhi. Possiamo farlo agire se si vuole, m’istruisca su cotal punto, preme non perdere un momento. Peccato che non può montare a cavallo, trematiccio com’è, ché altrimenti se ne potrebbe tirare un gran partito. Si professa suddito di S.M. V. Emanuele II, solo Re degno di regnare sull’Italia. “V. Emanuele comandi e nessuno l’obbedirà piú sottomessamente di me” mi diceva, e ciò sempre da poter esser udito da alcuni dell’equipaggio. Gli feci travedere una Luogotenenza in Toscana; sorrise di compiacenza. “Il Re e il suo governo comandino, che m’han qui pronto a tutto”soggiunse, sebbene le mie parole fossero siccome gettate a caso ed avessero piú l’impronta del cortigianismo che non d’altro” (Persano a Cavour, dalla rada di Napoli, ibidem, n. 553). Con tale verminaio ai vertici dello Stato il destino del Reame era dunque segnato: guerra e stragi, fame, colera variante della peste, “doni” dei quattro cavalieri dell’Apocalisse, sarebbero stati di lí a poco endemici nel nostro pacifico Paese. La sua ultrasecolare storia volgeva ormai alla fine.

 

 

COME IL PIEMONTE SI PROCURA LE ARMI

La classe dirigente delle Due Sicilie, salvo poche eccezioni, sguazzava “come porci in brago” in un truogolo di marciume, gettando il nostro Paese in pasto ad un piccolo Stato, socialmente e politicamente arretrato, che scimmiottava il liberalismo inglese, ma ancora industrialmente cosí arretrato che nel 1860 aveva ancora bisogno dei macchinisti d’oltre Manica sia per le navi a vapore che per i treni, e che per dare un minimo di armamento al proprio esercito, raccattava fucili vecchio modello anno 1840 radiati dal governo francese: “Monsieur le Ministre, Je suis chargé de faire parvenir à l’Empereur par l’entremise de Votre Excellence les remerciments de mon Gouvernement pour la cession de 25.000 fusils rayés que S. M. a bien voulu accorder” (Signor Ministro, ho l’incarico di far pervenire all’Imperatore per il tramite di Vostra eccellenza i ringraziamenti del mio Governo per la cessione di 25.000 fucili rigati che S.M. ha voluto benevolmente accordare) (lettera n. 905 di Nigra, segretario della Legazione piemontese a Parigi, al ministro degli esteri francese Thouvenel in data 12 giugno 1860, Carteggio Cavour-Nigra). E poi ancora: “Le Gouvernement a acheté 6000 fusils à Marseille. Il est urgent qu’on donne de Paris ordre au Commandant de l’artillerie à Marseille de les mettre à la disposition de notre consul pour qu’on puisse les embarquer tout de suite” (Il Governo ha acquistato 6000 fucili a Marsiglia. E’ urgente che da Parigi si dia ordine al Comandante dell’artiglieria di Marsiglia di metterli a disposizione del nostro console perché si possa imbarcarli immediatamente) (Cavour a Nigra, n. 1081, 31 agosto 1860, stesso Carteggio). E ancora, in un febbrile dispaccio telegrafico (n. 1083) dello stesso Cavour a Nigra il giorno dopo: “Les fusils qui se trouvent à Marseille ont eté cédés par le gouvernement Français. La Legation a du recevoir pour les payer 184.000 francs, ils sont au nombre de 4.000 modéle 1840” (I fucili che si trovano a Marsiglia sono stati ceduti dal Governo Francese. La Legazione ha dovuto ricevere per pagarli 184.000 franchi, sono 4000 di numero, modello 1840). Addirittura con dispaccio 1120 del 18 settembre il Cavour è pronto ad acquistare 50.000 fucili non rigati: “Le Colonel Favé avait offert au mois de juin au Colonel Filippi 50.000 fusils 1840 non rayés; l’offre n’a pas été accepté. Nous l’accepterions maintenant avec reconnaissance. Voyez, si possible, Favé. Payment immédiat” (Il Colonnello Favé aveva offerto nel mese di giugno al Colonnello Filippi 50.000 fucili 1840 non rigati; l’offerta non è stata accettata. Noi l’accetteremmo immediatamente con riconoscenza. Vedete, se possibile, Favé. Pagamento immediato), fucili da pagare ovviamente con prestiti elargiti dalle banche francesi. Nelle righe che seguono focalizzeremo il nostro sguardo sul campione di quel verminaio, su colui che possiamo ben indicare come la personificazione del tradimento, il ministro dell’interno di Francesco II, l’uomo di Patú.

di: RIN, dal PeriodicoDueSicilie 07/2000

da: http://www.adsic.it/storia/don_liborio_romano.htm

 

fonte brigantaggio.net

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