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Don Placido Baccher de Gasaro e il Sabato privilegiato

Posted by on Apr 9, 2016

Don Placido Baccher de Gasaro e il Sabato privilegiato

grazie al contributo dell’istituto delle due Sicilie metto a vostra conoscenza un articolo di napoliternos.it  a firma di Eugenio Donadoni su importanti insorgenti del 1799, i fratelli Baccher.

Don Placido Baccher de Gasaro e il Sabato privilegiato

 

Un’antica e inconsueta tradizione napoletana, una grande festa liturgica e di popolo: il Sabato Privilegiato, una solennità religiosa ancor oggi molto sentita dai napoletani, una festa per così dire “mobile” che cade il primo sabato dopo il 30 dicembre sin dal 1826, anno in cui la Madonnina di Don Placido fu incoronata dal Capitolo Vaticano e dichiarata Protettrice di Napoli. Ma forse è il caso di raccontarne un po’ la storia, senza molte pretese scientifiche, solo per inquadrare l’argomento. Uno degli episodi più noti della Repubblica Napoletana del ‘99 è quello di Luisa Sanfelice e della congiura dei Baccher. La figura della Sanfelice ha colpito più volte la fantasia di famosi personaggi, da Alessandro Dumas a Gioacchino Toma e, ultimamente, i fratelli Taviani che ne hanno tratto uno sceneggiato televisivo piuttosto romanzato. Luisa de Molino Sanfelice fu uno dei miti della rivoluzione napoletana, ma in realtà è stata un’eroina solo per caso. Le fu infatti attribuito il merito di aver fatto scoprire la congiura dei Baccher – il che in buona sostanza è vero – ma fu solo … per amore e non per amor di patria. La Rivoluzione napoletana fu voluta da un ristretto gruppo di intellettuali illuminati, nobili e borghesi e in realtà non fu mai veramente sentita dal popolo, i famigerati “lazzari”, da sempre fedeli sudditi dei Re di Napoli, e la sua breve vita fu possibile solo grazie al sostegno delle truppe francesi.

In questo contesto venne ordita, ad opera dei fratelli Baccher de Gasaro, una congiura controrivoluzionaria tesa a rovesciare la repubblica e a riportare sul trono i Borbone. Per sfuggire ai giacobini Ferdinando IV si era rifugiato a Palermo da dove aveva incaricato il Cardinale Fabrizio Ruffo di riconquistare la Capitale con l’aiuto delle popolazioni rimaste fedeli. Ma, grazie alla Sanfelice, la congiura fu scoperta e tutti i congiurati incarcerati, primi tra tutti i fratelli Baccher. Dopo un processo a dir poco sommario il 13 giugno del 1799, il giorno prima dell’ingresso del Ruffo a Napoli, furono fucilati in Castel Nuovo Gennaro e Gerardo Baccher de Gasaro, entrambi ufficiali borbonici, mentre riuscirono a salvarsi altri due fratelli, Camillo (poi divenuto generale e padre della mia bisnonna) e Placido. Quest’ultimo, di appena sedici anni, durante la permanenza in carcere fece voto alla Madonna di dedicarle tutta la vita qualora fosse riuscito a salvarsi dal boia.

Promessa mantenuta: Placido nel 1806 divenne sacerdote secolare e ben presto rettore della chiesa del Gesù Vecchio in via Giovanni Paladino nel cuore della vecchia Napoli. Forse per la potenza della famiglia, ma soprattutto per la sua vita esemplare, don Placido divenne molto noto a Napoli, una vera e propria istituzione. La sua chiesa era frequentata da moltissimi aristocratici, popolani, borghesi, commercianti e spesso anche dalla corte. I sermoni del sacerdote erano “vangelo” ed in molti lo consideravano quasi un santo. Si parlava sempre più frequentemente della sua Madonnina e delle grazie che riusciva ad ottenere dalla stessa. Sicuramente oggettiva la testimonianza di Luigi Settembrini, noto miscredente ed ateo: “Dal pulpito don Placido arringava la folla che in delirio collettivo urlava e piangeva allorquando il Cristo a cui don Placido si rivolgeva annuiva muovendo la testa”. Per Settembrini il Crocefisso era regolato da fili che venivano manovrati con grande abilità dal sacerdote; in realtà tale Cristo è ancor oggi custodito nella chiesa di Sant’Orsola a Chiaia e non presenta alcun segno di manomissione né, tantomeno, la presenza di fili o strani meccanismi interni. Vuoi per l’antica gratitudine, vuoi perché davvero meritorio, spesso Re Ferdinando II si recava con la Regina e con la corte nella basilica del Gesù Vecchio in visita al reverendo creando, sempre a detta del Settembrini, una situazione davvero imbarazzante: “l’incontro avveniva nel centro della Basilica, il re e don Placido si inchinavano reciprocamente incerti se dovesse prevalere la maestà o la santità”. I rapporti con la Real casa erano tali che non di rado don Placido rimproverava anche i reali. Un esempio per tutti: la Regina Madre Maria Isabella fu biasimata pubblicamente per la sua condotta scandalosa; i seguaci di don Placido temevano le reazioni della corte, ma il giorno dopo l’accaduto la stessa regina si recò da don Placido per ottenere il perdono dei propri peccati.

Devotissimo alla Madonna Immacolata, egli stesso con lo scultore Luigi Ingaldi costruì quell’effige che fu incoronata nel 1826 dal Capitolo Vaticano. Ed è proprio da quell’anno che, senza interruzioni, il primo sabato dopo il 30 dicembre è dedicato alla Madonnina di Don Placido, Protettrice di Napoli. Persino il pontefice Pio IX il 9 settembre 1849 si recò al Gesù Vecchio per venerare personalmente questa immagine nonché per conoscere don Placido e verificarne la santità. La tradizione del “sabato privilegiato” continua ancor oggi nonostante siano trascorsi quasi due secoli; sembra che il tempo si sia fermato e, nonostante la chiesa sia stata da sempre priva di campane, tutti accorrono numerosi, anzi numerosissimi, oggi come ieri, dall’alba al tramonto. Di generazione in generazione ci si tramanda questo culto ed è un continuo flusso di fedeli che si recano a venerare la Madonnina e la tomba di Don Placido. La folla quasi diventa calca soprattutto durante la santa Messa che viene celebrata ogni anno dal Cardinale Arcivescovo di Napoli. La figura di don Placido è ancor oggi molto amata dai Napoletani ed è anche all’attenzione del Vaticano ove è in corso una causa di beatificazione che, se si dovesse concludere positivamente, contribuirà non poco a quel processo di rivalutazione della storia del Regno di Napoli e dei suoi protagonisti, spesso, a torto, volutamente ignorati o, peggio, deliberatamente denigrati.

Eugenio Donadoni

 

LA STORIA NEGATA – La congiura dei Baccher: le condanne

Il giorno prima dell’arrivo delle truppe di Ruffo furono condannati a morte  (quando ormai era illegittimo e inutile) i responsabili della congiura dei Baccher. Furono fucilati Gerardo Baccher (30 anni, tenente di cavalleria), Gennaro Baccher (32 anni, ufficiale della Real Contatoria di Marina), Ferdinando La Rossa (30 anni, Ufficiale del Banco di Sant’Eligio), Giovanni La Rossa (26 anni, impiegato in Sant’Eligio) e Natale D’Angelo (46 anni), con un “supplizio crudele perché nelle ultime ore del governo, senza utilità di sicurezza ed esempio”, come ammise lo stesso Colletta (1).
“Furono giustiziati con barbara maniera perché loro si diedero poche ore di cappella e furono menati due tre volte nel luogo dove volevasi eseguire la sentenza” che poi si eseguì “come in segreto sotto un arco di scala” dal lato della cappella di Santa Barbara all’interno del cortile del Maschio Angioino (2): la lapide sepolcrale dei Baccher e degli altri martiri dei giacobini, che era presso la stessa cappella, in seguito “fu cancellata da mano ingiusta”. Gli atti di morte furono pubblicati sul libro dei defunti XV ed ultimo della Parrocchia Palatina di Santa Barbara nella quale i condannati furono sepolti (3).
Nelle ore successive furono fucilate anche altre “undici persone della minuta plebe” e ci sarebbe stata una carneficina se ci fosse stato più tempo (4). Una sorella dei Baccher, Angela Rosa, scrisse al medico napoletano Domenico Cotugno chiedendogli dei farmaci per il suo parto “difficile e pericoloso” seguito alla fucilazione dei fratelli: “si era decretato di far morire nella notte il mio caro padre, li restanti fratelli con tutti li compagni carcerati ed sterminare ancora tutte e due le nostre intiere desolate famiglie  fino alli gatti…” (5).
Il vecchio don Vincenzo Baccher, all’arrivo dei francesi nel 1806 fu ancora perseguitato e mandato in esilio presso il forte di San Carlo a Finestrelle da dove ritornò solo dopo il rientro di Ferdinando a Napoli nel 1815 (6).

1)      Pietro Colletta, Storia del Reame di Napoli, ed. Napoli, 1970, vol. II, p. 84.
2)       Mario Battaglini, Atti, leggi e proclami ed altre carte della repubblica napoletana, Napoli, 1983, p. 399 (viene riportato un articolo del Monitore)
3)      Ludovico De La Ville Sur-Yllon, La chiesa di Santa Barbara in Castelnuovo, in “Napoli nobilissima”, II, 1893, pp. 119, 173.
4)      Domenico Ambrasi, Don Placido Baccher, Napoli, 1979, p. 37 (l’Ambrasi riporta un’affermazione del Marinelli).
5)      Domenico Cotugno, Lettere e scritti autografi, Sezione Manoscritti della Biblioteca Nazionale di Napoli, fondo San Martino, n. 122.
6)      D. Ambrasi cit., p. 35.

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