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DUE SICILIE: TUTTI GLI ERRORI DEL PROF. JOHN A. DAVIS

Posted by on Mar 2, 2017

DUE SICILIE: TUTTI GLI ERRORI DEL PROF. JOHN A. DAVIS

Nel catalogo della mostra “Fergola, lo splendore di Un Regno, esposta a Palazzo Zevallos di Napoli, fino al 2 aprile (cfr. LN 107/16 due-sicilie-nei-quadri-di-fergola-lo-splendore-del-regno-in-mostra lo studioso americano John A. Davis, docente di Storia moderna italiana all’University of Connecticut, firma un breve saggio introduttivo (“Salvatore Fergola e Napoli all’epoca di Ferdinando II”).

Davis, per anni schierato con la storiografia risorgimentale e crociana, ha rivisto in maniera piuttosto netta i cliché storiografici su una presunta arretratezza economia del Regno delle Due Sicilie in un libro del 2006 “Naples and Napoleon: Southern Italy in the Age of the European Revolutions” (Oxford University Press, 2006, trad. It. “Napoli e Napoleone. L’Italia meridionale e le rivoluzioni europee (1780-1860)”, Rubettino, Soveria Mannelli 2014) contestando a Croce ed alla storiografia idealistica di aver costruito a tavolino una storia del Sud pre-unitario per giustificare l’arretramento economico ed il sottosviluppo determinati dall’unificazione.

Nel saggio sul ritrattista della corte borbonica Salvatore Fergola (1796-1874) però, Davis, dopo alcuni di riconoscimenti ai primati industriali e tecnologici dei Borbone di Napoli ripropone gli schemi ideologici e le categorie (reazione-progresso, protezionismo-liberismo, modernità-arretratezza) dello storiograficamente corretto e, quello che è ancora peggio, lo fa sulla base di una serie di dati sbagliati.

Lo studioso ed esperto di trasporti navali e ferroviari Lucio Militano, autore di “Le ferrovie delle Due Sicilie (Editoriale Il Giglio, Napoli 2013) elenca in questo articolo tutti gli errori di Davis.

(di Lucio Militano ) Quanto scrive John A. Davis nel saggio “Salvatore Fergola e Napoli all’epoca di Ferdinando II” nel catalogo della mostra “Fergola Lo splendore di un Regno” contiene alcune discutibili affermazioni nella parte delle considerazioni tecniche e di sviluppo industriale.

Il giudizio sul regno di Ferdinando II viene diviso nella parte antecedente al 1848 di speranze liberali e progresso generale (positiva) e quella successiva (negativa) caratterizzata da “reazione”, oscurantismo, terrore poliziesco, decadenza e immobilismo assoluti, tant’è che – secondo l’interpretazione di Davis, persino Salvatore Fergola, borbonico coerente anche dopo l’annessione (vedere il suo autoritratto del 1864 con la Croce da Cavaliere di Gran Croce del Real Ordine di Francesco I), avrebbe preconizzato con il dipinto che rappresenta l’esplosione delle caldaie della pirofregata Carlo III nel 1857, la meschina fine del Regno. È una interpretazione piuttosto fantasiosa, infatti incidenti di tal genere erano assai frequenti in tutte le marinerie del mondo.

Senza esprimermi sugli aspetti squisitamente storici analizzati da Davis, mi sarei aspettato qualcosa di più originale dato il tema della mostra ed il valore accademico di chi scrive; ma sui Borbone continua inesorabile il ripetitivo giudizio sommario. Sì, qualcosa fecero, ma in fondo erano “retrogradi”, “reazionari”, isolazionisti, protezionisti e restii ad imboccare la via del progresso come l’assai più civile e moderno Regno Sabaudo. Il sovrano borbonico – secondo Davis – sarebbe stato talmente “retrogrado” da avere causato la chiusura dell’agenzia della banca Rothschild a Napoli , mentre Davis pone fra i primati del Regno l’apertura, nel 1823, della prima filiale della banca in Italia.

Nessuno storico ufficiale ha mai spiegato come mai questo Regno, che lo studioso piemontese Alessandro Barbero definisce addirittura “derelitto, fosse così florido, ricco, industrializzato tanto da costituire per il Piemonte, fortemente indebitato con la banca Rothschild e sull’orlo del collasso economico, il boccone più ghiotto di una politica espansionistica e guerrafondaia che aveva in Cavour la sua pedina migliore.

La risposta è in Giacinto de’ Sivo: “Il commercio era solido, e forse destava gelosia e invidia; operosa era la marina mercantile: nuove cale, nuovi porti, nuovi fari, nuovi bacini da raddobbo, nuove fortificazioni di difesa sorgevano sulle nostre coste”.

Discutibile è l’affermazione di Davis sul preteso immobilismo rispetto all’innovazione tecnologica ed industriale che vi sarebbe stato nel Regno dopo il 1848.

Ecco alcuni fra i molti eventi ampiamente documentati negli archivi:

 1848-1856

Trattati di commercio e navigazione con: Stati Uniti d’America, Regno Unito, Francia, Russia, Regno di Sardegna, Regno di Danimarca, Impero asburgico, Regno di Prussia, Paesi Bassi, Impero Ottomano, Granducato di Toscana, Stato Pontificio, Citta Anseatiche, Regno di Spagna, Regno di Svezia e Norvegia, Granducato di Mecklemburg-Schwerin. Vengono varati 177 nuovi bastimenti d’altura grazie ad una politica di incentivi agli armatori che determinarono un ulteriore sviluppò della cantieristica.

1850

Ampliamento del Polo Siderurgico di Mongiana, che raggiunse la produzione di 4.000 tonnellate/anno di ottima ghisa, “è di tal pregio da non temere il confronto con quella di Bofort, inoltre si vogliono dire bellissimi i saggi d’acciaio di cementazione che nulla lasciano a desiderare”, scrive de’ Sivo. Varo di tre unità a vapore militari; varo del vascello Monarca da 3.360 tonnellate, nascita della “Società anonima per la navigazione dei piroscafi con helice”, avvio della regolare navigazione a vapore con le isole partenopee e pontine.

1851

Inaugurazione della prima linea telegrafica che entro il 1860 collegherà tutto il Regno, nasce a Napoli la “Società Calabro Sicula per la navigazione a vapore.

1852

Nasce la società di navigazione “Sicula transatlantica”, viene inaugurato a Napoli il bacino di raddobbo, primo vapore in ferro, il Mongibello; nascita dello stabilimento navalmeccanico di Guppy & C. nasce a Napoli la Compagnia di navigazioneGiacomo Close”.

1853

Lo stabilimento metalmeccanico di Pietrarsa raggiunge l’apice della sua capacità produttiva impiegando 700 operai; esposizione internazionale a Napoli; nasce a Napoli la Compagnia  “Giuseppe Cianelli & C “ che armava vapori ad elica ed in ferro.

1854

Primo viaggio a New York del vapore Sicilia della “Sicula transatlantica”; varo di due unità a vapore militari.

1855

Nascita dello stabilimento navalmeccanico di Macry & Henry, già Zino & Henry; Regio decreto di concessione per la costruzione della ferrovia Abruzzese-Romana, Regio decreto di concessione per la costruzione della strada ferrata delle Puglie.

1856

Inaugurazione della tratta Nola-Sarno della Regia Strada di Ferro Governativa, varo della pirofregata Tasso da 1.330 tonnellate; partecipazione all’esposizione mondiale di Parigi, nasce a Napoli la Compagnia di navigazione  “Lettiero Ricciardi, con vapori ad elica.

1857

Completamento del piano fari lungo le coste del Regno con il sistema Fresnel, nasce a Napoli la Società di navigazione  “Governativa Messaggiera Marittima”.

1858

Realizzazione preso la Pattison & Guppy delle locomotive speciali per la tratta Nocera-Cava dei Tirreni; inaugurazione del traforo fra Sarno e Sanseverino della Regia Strada di Ferro Governativa; inaugurazione della tratta Nocera-Cava dei Tirreni della Ferrovia Bayard, nasce a Napoli la “Compagnia di navigazione a vapore delle Due Sicilie.

1860

Inaugurazione della tratta Cava dei Tirreni-Vietri sul Mare della Ferrovia Bayard, installazione di caldaie tubolari e macchina alternativa a vapore da 450 Cv con propulsione ad elica del vascello Monarca, già costruito e predisposto per tale operazione.

La consistenza della Marina Mercantile del Regno delle Due Sicilie, nel 1860, raggiunge 3.515 unità con una stazza totale di 285.000 tonnellate. È la prima tra gli Stati preunitari.

1861

Inaugurazione della tratta fra Sarno e Sanseverino della Regia Strada di Ferro Governativa. L’annessione era già avvenuta, ma il materiale rotabile, l’armamento e le opere civili erano state già realizzate nel programma ferroviario del Regno. Di tricolore c’erano solo le coccarde sulla locomotiva.

E ancora, Davis si meraviglia del fatto che le industrie tessili non fossero documentate nelle opere di Fergola e lo giustifica con lo scarso interesse ufficiale per una tecnologia poco appariscente e con le implicazioni sociali. In verità, quell’industria era già un primato fortemente consolidato del Regno fin dai tempi di Ferdinando IV con l’insediamento di San Leucio. È ovvio che navi e ferrovie, dal punto di vista rappresentativo, fossero più interessanti di anonimi edifici protoindustriali in cui si svolgeva il processo di lavorazione tessile. È vero, erano presenti fabbriche di stranieri nell’area salernitana, prevalentemente svizzeri, attratti da una favorevole politica fiscale . Ma quegli imprenditori stranieri presto si radicarono nel territorio e vi restarono definitivamente.

Lo studioso americano parla di fallimento dello sviluppo della rete ferroviaria dopo gli entusiasmi iniziali, ma le date e gli avvenimenti sopra riportati smentiscono tale affermazione.

Lo scarso e disarmonico sviluppo della rete ferroviaria postunitaria al Sud dopo oltre 150 anni dall’annessione, dimostra che la vera crisi dei trasporti e delle vie di comunicazione venne dopo, quando la tecnologia era in grado di risolvere facilmente le questioni legate alle difficoltà orografiche.

Secondo Davis, il ferro proveniente da Mongiana era “di qualità scadente”, ma è un’affermazione smentita dallo stesso storico liberale Raffaele De Cesare, che scrive nel suo “La fine di un Regno” : “Avevano rotaie di bontà inarrivabile, perché ottenute, laminando le canne dei fucili”. I fucili venivano proprio da Mongiana.

Nel 1860 la consistenza della flotta mercantile velica d’altura delle Due Sicilie era di oltre 650 unità. Il numero non tiene conto dell’armamento siciliano, stimabile in altre 200/300 unità, tutte costruite e tenute in efficienza dalla cantieristica locale, navi con prestazioni concorrenziali rispetto a quelle nordamericane ed inglesi, che commerciavano con quasi tutti i paesi del mondo. Ciò contraddice con la stagnazione descritta da Davis per la difficoltà di approvvigionamento di materie prime. Legname e canapa erano ampiamente disponibili nel Regno.

È opportuno ricordare che nei commerci sulle grandi rotte oceaniche la vela restò incontrastata sovrana fino all’inizio dell’XX secolo in tutte le marinerie del mondo. Non a caso, il periodo è chiamato l’età d’oro della vela.

Nei riferimenti alla storia del Monarca, poi, vorrei sperare che vi sia stato un errore nella traduzione dall’inglese dell’articolo di Davis, che sarebbe comunque imperdonabile in una pubblicazione del genere.

Davis scrive: “solo nel 1858 vi furono installate turbine a vapore”. Errore grossolano! La tecnologia delle turbine a vapore era di là da venire. La prima nave sperimentale con apparato di propulsione di tal tipo è del 1884 e solo nella prima decade del 1900 comparvero le prime navi con turbine a vapore sia militari che mercantili.

Più difficile pensare ad un errore di traduzione riguardo a quest’altra affermazione di Davis “Intorno al 1860 la monarchia borbonica aveva la marina più grande in Italia, ma solo tre delle sue navi da guerra erano a vapore. In realtà, ed il dato è facilmente verificabile, erano ben 27 suddivise fra Fregate, Corvette, Avvisi e Rimorchiatori.

Assai discutibile è anche questo passaggio dello studioso americano: “la flotta mercantile era impegnata per lo più nel commercio lungo le coste, non negli scambi internazionali”.

Erano numerose, invece, le Compagnie di navigazione dotate di navi a vapore che svolgevano regolari trasporti postali, di persone e merci fra i molti porti del Regno, quelli degli altri Stati preunitari, e del Mediterraneo. Quanto all’approvvigionamento di carbone, non era quel grande problema che Davis sostiene sia stato per il Regno delle Due Sicilie). Inoltre documenti dell’epoca testimoniano regolari e frequenti traffici di velieri di altura regnicoli coni Stati Uniti, Russia, America Latina, Nord Africa, Regno Unito, Francia, Isole Scandinave, Estremo Oriente.

Nel noto testo di Lamberto Radogna, Storia della Marina Mercantile delle due Sicilie (1734-1860) (Mursia, Milano 1982) tuttora insuperato per quantità di dati e precisi riferimenti alle fonti, le numerose, frequenti e regolari navigazioni dei velieri delle Due Sicilie sono ampiamente e dettagliatamente documentate.

Cito a caso: “nel triennio 1845-47 la bandiera delle Due Sicilie fu in testa fra quelle dei vari stati italiani nei porti nordamericani, con 48 approdi di tonnellate 14.023, seguita da quella sarda con 13 approdi di tonnellate 3.246”; “nel 1842 il brigantino Emilia Celestina era stato il primo bastimento in arrivo a New York da San Pietroburgo passando al Nord della Scozia, lo stesso bastimento si distinse nel 1844 in una traversata Napoli-New York in soli 42 giorni, record imbattuto fino al 1860 (…) “nel 1857 uscirono dal porto di Napoli 317 bastimenti di real bandiera verso porti francesi, 191 per porti inglesi, 156 per porti sardi, 308 per altri porti del Mediterraneo”.

Esisteva ovviamente il piccolo cabotaggio che serviva ben 125 porti ed approdi secondari, ma è forse elemento di arretratezza privilegiare le vie del mare?

Infine, al 31 dicembre 1860 la flotta a vapore delle Due Sicilie contava 22 unità per una stazza complessiva di 5.446 tonnellate, mentre quella piemontese ne contava 35 per 5.854 tonnellate. Le nostre navi erano più grandi, con una media di 247 tonnellate per unità contro 168. Questo dato dimostra le migliori caratteristiche alla navigazione di altura e capacità di carico dei vapori delle Due Sicilie.

Non va dimenticato che nel 1848 e negli anni successivi la politica espansionistica franco-inglese nel Mediterraneo, alla quale il Regno delle Due Sicilie si opponeva in nome della sovranità ed indipendenza degli Stati, aveva deciso la fine dei Borbone di Napoli utilizzando le mire del Piemonte avido di risorse finanziare e di estendere a tutta la penisola i suoi confini.

Il Regno delle Due Sicilie fu sottoposto a forti pressioni destabilizzatrici dell’ordine pubblico, ritorsioni, campagne stampa false e denigratorie, attentati, tutti elementi che non favoriscono l’innovazione, e lo sviluppo di tecnologie e industriali, che pure vi furono.

Per Davis, il contributo al catalogo della mostra su Fergola (“Fergola, lo splendore di un Regno”, Marsilio, Venezia 2016) era una bella occasione per fare chiarezza su un Regno che, come tutti, ha avuto luci ed ombre. Ma è stata un’occasione persa. In questo caso si è voluto evidenziare solo le ombre.

Infine, una domanda ai curatori del catalogo: non esistevano storici e studiosi nel mondo accademico meridionale che avrebbero potuto trattare l’argomento? Almeno il sospettato errore di traduzione delle turbine a vapore sarebbe stato evitato…. (LN109/17).

lettera napoletana

fonte editoriale il giglio

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