Alta Terra di Lavoro

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DUE VALOROSI PROTAGONISTI DEL NOSTRO TERRITORIO: FRA’ DIAVOLO E GIOACCHINO MURAT.

Posted by on Feb 29, 2016

DUE VALOROSI PROTAGONISTI DEL NOSTRO TERRITORIO: FRA’ DIAVOLO E GIOACCHINO MURAT.

continua la bellissima ed entusiasmante esperienza dei seminari al liceo classico carducci di cassino e continua anche la volontà degli studenti di voler  lasciare una traccia giornalista e come è già successo dopo il primo SEMINARIO anche questa volta hanno preparato un articolo che L’INCHIESTA ha con piacere pubblicato, di seguito il testo degli alunni e alla fine l’articolo in pdf originale…………………………..

DUE VALOROSI PROTAGONISTI DEL NOSTRO TERRITORIO: FRA’ DIAVOLO E GIOACCHINO MURAT.

Nell’incontro del mese di gennaio dei Seminari Storici tenuti dall’Associazione Identitaria “Alta Terra di Lavoro”, il presidente dell’Associazione Claudio Saltarelli e il giornalista e scrittore Ferdinando Riccardi si sono occupati di un periodo successivo al 1799, quello dei primi anni del XIX secolo, soffermandosi in particolar modo su due figure di spicco, Fra’ Diavolo e Gioacchino Murat. Fra’ Diavolo, al secolo Michele Arcangelo Pezza, nacque ad Itri (LT) nel 1771 da una modesta ma dignitosa famiglia di mercanti di olive. Qui crebbe con grande spensieratezza e vivacità, fin quando non si ammalò gravemente a cinque anni, cosicché la madre fece un voto a San Francesco di Paola, secondo cui il piccolo Michele avrebbe indossato, fin quando non si fosse consumato, un saio da frate nel caso fosse guarito. Michele guarì e fu così soprannominato “Fra Michele” e in seguito “Fra’ Diavolo” a causa del suo carattere vispo, che mantenne per tutta la vita. Infatti non essendo interessato agli studi, né al commercio delle olive, fu mandato a lavorare in una scuderia, dove si innamorò della figlia del padrone, il quale non accettava di buon grado l’unione dei due. Quest’ultimo tese così un agguato a Michele, che, però, uccise sia il padre e sia lo zio dell’amata e fu costretto a fuggire venendo in contatto con numerosi briganti. Nel 1797 si decise a chiedere che la sua pena fosse commutata in servizio militare e finì così in Sicilia dove a causa dell’arrivo delle truppe del generale Championnet vi rimase solo poco tempo rispetto ai tredici anni stabiliti. Così, dopo una serie di peripezie, Michele, ritornato ad Itri, organizzò una dura opposizione popolare all’arrivo dei Francesi, che però riuscirono a saccheggiare il paese e uccisero molti abitanti del luogo, tra cui il padre di Michele, che giurò così vendetta agli invasori. Fra’ Diavolo decise quindi di non arrendersi e partecipò a tutti i tentativi di rivolta antifrancese, ottennendo il controllo sulle vie di comunicazione anche attraverso alcuni stratagemmi, come far travestire alcuni suoi uomini con gli abiti di Fra’ Diavolo per depistare le indagini di chi voleva catturarlo. La sua azione fu talmente efficace che venne notato da Ferdinando IV che lo nominò capitano e dopo poco Fra’ Diavolo partecipò alla liberazione di Roma, dove però ci fu una inaspettata diffidenza nei confronti delle masse e lo stesso Michele fu incarcerato a Castel Sant’Angelo da Diego Naselli, generale dell’esercito napoletano, che non sapeva che Michele era ora un colonnello di fanteria e non più un semplice brigante. Michele fuggendo poi di notte e facendosi ricevere da Ferdinando IV fu infine scarcerato e ricompensato dal re. Napoleone mise dunque a capo di Napoli il fratello Giuseppe Bonaparte, che non riuscì a catturare, nonostante i numerosi tentativi, Fra’ Diavolo, che insieme all’inglese Sidney Smith aveva intenzione di ripetere l’impresa dell’Esercito della Santa Fede. Michele però, rimasto con pochi uomini, non riuscì più a contrastare i Francesi e decise quindi di sciogliere la sua compagnia per dare a tutti la possibilità di mettersi in salvo. Vagò per giorni e giorni fin quando non fu catturato a Baronissi il 1º novembre e giustiziato per impiccagione in piazza del Mercato l’11 novembre. Il suo corpo venne lasciato molte ore sotto lo sguardo di tutti, come monito alla popolazione. La figura di Fra’ Diavolo resistette alla prova del tempo, non solo grazie alla sua vita avventurosa, ma anche grazie a vari scrittori e in particolar modo a Victor Hugo, figlio del colonnello Hugo che aveva incontrato e affrontato Michele Pezza. La figura di Gioacchino Murat è poi altrettanto importante ed interessante. Egli è un grande esempio della dinamicità sociale che caratterizzò il periodo napoleonico, in quanto, figlio di un albergatore e destinato alla carriera ecclesiastica, ma amante della vita mondana, si arruolò nei “cacciatori delle Ardenne”, poi nel 12º reggimento dei cacciatori a cavallo, unità di cavalleria che reclutava uomini valorosi. Si distinse presto e per coraggio e per istruzione, ma nel 1789 venne espulso per insubordinazione e tornò nella casa della sua famiglia. Si arruolò poi nuovamente e, entrato nell’esercito rivoluzionario, divenne rapidamente ufficiale. Nel 1795 sostenne Napoleone a Parigi contro l’insurrezione lealista e fu determinante per la vittoria contro i Turchi e il colpo di Stato del 18 brumaio 1799. Napoleone gli permise allora di sposare sua sorella minore Carolina Bonaparte. Egli era un grande combattente e comandante di cavalleria e pur non rinunciando alle proprie opinioni, fu con Napoleone in tutte le campagne, svolgendo un ruolo fondamentale. Infatti più volte il suo coraggio anche nelle avversità e le sue potenti azioni di cavalleria avevano risolto situazioni difficili a favore dei Francesi e si era guadagnato così la stima di Napoleone che nel 1808, dopo che il trono sottratto ai Borbone si era reso vacante per la nomina di Giuseppe Bonaparte a re di Spagna, lo nomina Re di Napoli, dove il nuove re, soprannominato “Gioacchino Napoleone”, fu ben accolto dalla popolazione, che ne apprezzava il bell’aspetto, il carattere pugnace, il coraggio fisico e i suoi tentativi di porre riparo alla miseria del popolo, ma venne invece detestato dal clero, poiché iniziò la soppressione degli ordini religiosi nel regno di Napoli ed in particolare dell’ordine dei domenicani, con la conseguente confisca di tutti i loro beni, la conversione dei conventi ad altro uso, spesso militare, e il passaggio delle loro chiese al clero diocesano. Murat fondò inoltre il Corpo degli ingegneri di Ponti e Strade e la cattedra di agraria nella medesima università, avviò opere pubbliche di rilievo come il ponte della Sanità, via Posillipo, nuovi scavi ad Ercolano, il Campo di Marte a Napoli e l’illuminazione pubblica a Reggio di Calabria, il progetto del Borgo Nuovo di Bari, il riattamento del porto di Brindisi, l’istituzione dell’ospedale San Carlo di Potenza nel resto del Regno, attuò una efficace repressione del brigantaggio e introdusse , il Codice Napoleonico, che, tra le varie riforme, legalizzò, per la prima volta nella penisola, il divorzio, il matrimonio civile e l’adozione, cosa che non venne accettata di buon grado dal clero, che perse la facoltà di gestire le politiche familiari. La nobiltà invece gradì le cariche e la riorganizzazione dell’esercito sul modello francese, che dava la possibilità di ottenere molti riconoscimenti e di fare carriera. I letterati apprezzarono la riapertura dell’Accademia Pontaniana e l’istituzione della nuova Accademia reale, mentre i tecnici l’attenzione data agli studi scientifici e industriali. Gli unici malcontenti forse provenivano dai commercianti, ai quali il blocco imposto ai commerci di Napoli dagli inglesi rovinava gli affari, blocco contro il quale lo stesso Murat tollerava e favoriva il contrabbando, il che costituiva un’ulteriore ragione per accordargli il favore popolare. Nonostante il suo nuovo ruolo di re, egli partecipò attivamente e sempre con grandi successi alle campagne napoleoniche. Fu grazie alla sua irruenza che Murat, incaricato di guidare l’avanguardia dell’esercito napoleonico, invase Mosca e giunse al Cremlino. Risalgono a questo periodo i primi negoziati con gli austriaci, influenzati dai consigli della regina Carolina, donna intelligente e molto ambiziosa. Tornò comunque a fianco di Napoleone in tempo per combattere a Dresda ed a Lipsia, dopo di che lasciò l’armata. Giunto a Milano, Murat fece sapere all’ambasciatore austriaco di essere disposto a rompere l’alleanza con Napoleone e nel gennaio del 1814 veniva firmato un trattato di alleanza fra Austria e Regno di Napoli. La notizia giunse a Napoleone, che rimase incredulo e amareggiato, ma Murat, di fronte alla scelta di perdere quel Regno che aveva faticosamente costruito e rimesso finanziariamente in piedi dopo il breve regno di Giuseppe Bonaparte, diplomatico per niente avveduto, non aveva potuto fare altro e scelse il tradimento, dato che in realtà anche i suoi rapporti con lo stesso Napoleone, che lo considerò sempre un “vassallo”, si erano ormai incrinati da tempo. Murat però temeva una ripresa di potere da parte dei Borboni sui territori del suo regno e così invase lo Stato Pontificio e mandò dei suoi rappresentanti a Vienna per protestare contro il comportamento degli austriaci nei suoi confronti pur volendo rispettare gli accordi con quest’ultimi, che risposero immediatamente con una dichiarazione di guerra e un’alleanza con Ferdinando I delle due Sicilie. Infine il trattato di Casalanza sancì la caduta di Murat e il ritorno dei Borboni sul trono. In seguito Murat, dopo la disfatta di Tolentino e l’emissione del suo proclama di Rimini dedicato agli Italiani, che chiamò alla rivolta contro i nuovi padroni (ed è per questo che viene considerato da alcuni una sorta di primo “risorgimentale”), commise una serie di errori che lo portarono alla disfatta definitiva, errori dovuti molto probabilmente a influenze esterne e congiure contro la sua persona. Infatti , dopo aver salutato per l’ultima volta sua moglie e i suoi figli, partì, costretto da suoi cortigiani, per la Francia per andare a combattere con Napoleone e raggiunse così Cannes, ritrovandosi a vagare a lungo per la Provenza, sperando di essere richiamato da Napoleone, il quale non solo non lo richiamò, ma gli impose di tenersi lontano da Parigi; lo stesso Bonaparte riconoscerà in seguito di aver commesso un grave errore non riprendendo Murat con sé, poiché in moltissime occasioni successive e nella stessa battaglia di Waterloo Murat avrebbe potuto riportare la vittoria e i successi desiderati. Venuto a conoscenza della disfatta napoleonica a Waterloo ed avendo Murat una taglia sulla testa, messa a disposizione dal marchese di Rivière, un uomo che Murat stesso aveva salvato dal patibolo, il re di Napoli si rifugiò in Corsica, dove fu presto circondato da centinaia di suoi partigiani. Dopo aver atteso per troppo tempo i passaporti provenienti dall’Austria per poter raggiungere la moglie Carolina a Trieste e avendo false notizie sul malcontento dei napoletani, fu convinto ad organizzare di fretta, per riprendersi il regno di Napoli, una spedizione di circa 250 uomini. Gioacchino aveva intenzione di sbarcare nei dintorni di Salerno ma, dirottato da una tempesta in Calabria e tradito dal capo battaglione Courrand, sbarcò nel porticciolo di Pizzo. Qui fu arrestato e fatto rinchiudere nelle carceri del castello e durante il processo fu decisa per lui la condanna a morte, poiché egli si era “macchiato” di atti. Murat anche questa volta, come sempre del resto, si comportò coraggiosamente e chiese di scrivere l’ultima lettera alla sua amata Carolina e ai suoi amati figli, che si erano nel frattempo posti sotto la protezione inglese, e volle confessarsi e comunicarsi prima di essere giustiziato. Di fronte al plotone d’esecuzione si comportò con grande fermezza, rifiutando di farsi bendare e pare che le sue ultime parole siano state: « Sauvez ma face — visez mon cœur — feu!» », « Risparmiate il mio volto, mirate al cuore, fuoco! ». Era il 13 ottobre del 1815. Dopo essersi sbarazzato di un così pericoloso rivale, Ferdinando di Borbone insignì Pizzo del titolo di “fedelissima” e concesse al generale Nunziante il feudo e il titolo di Marchese di San Ferdinando di Rosarno. Il suo corpo venne sepolto nella Chiesa di San Giorgio, in una fossa comune e fu avvolto da alcuni soldati rimastigli fedeli in un panno nero che ha reso possibile la sua identificazione oltre al test del DNA. Sono ben lieta di aver assistito ad un seminario storico dedicato in parte anche a Gioacchino Murat, prozio della mia trisavola Filomena Murat e dunque mio avo e personaggio storico di significativa importanza non solo a livello locale, ma anche nazionale ed internazionale e ringrazio nuovamente Claudio Saltarelli e Ferdinando Riccardi per la loro disponibilità nella divulgazione di importanti nozioni sulla nostra storia.

 

VERONICA PASTORE, IV E

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