Alta Terra di Lavoro

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E’ stato un napoletano a inventare gli Stati Uniti d’America

Posted by on Ott 13, 2017

E’ stato un napoletano a inventare gli Stati Uniti d’America

Si festeggia la Dichiarazione d’Indipendenza, la cui norma fondamentale fu ispirata al padre costituente Benjamin Franklin dal filosofo partenopeo Gaetano Filangeri

La passione civile di Filangieri l’aveva spinto a credere che la felicità dei popoli fosse raggiungibile attraverso il cambiamento delle leggi, la repubblica, la democrazia, la liberalizzazione delle istituzioni politiche e civili

a passione civile di Filangieri l’aveva spinto a credere che la felicità dei popoli fosse raggiungibile attraverso il cambiamento delle leggi, la repubblica, la democrazia, la liberalizzazione delle istituzioni politiche e civili

Per gentile concessione del mensile Monsieur in questi giorni in edicola, pubblichiamo ampi stralci dell’articolo di Stefano D’Anna «L’italiano sogno americano», dedicato alla Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti (4 luglio 1776).

L’America è in festa per il suo 237° compleanno, ma l’American dream mostra i segni dell’età e i guasti di troppi tradimenti.  (…) Il 4 luglio l’America si ferma per celebrare se stessa.(…) È l’Indipendence day commemorativo della storica Unanime dichiarazione d’indipendenza fatta, appunto, il 4 luglio 1776 dai 13 Stati, vero atto di nascita degli Usa. In essa, come un gioiello in uno scrigno, è contenuta la Dichiarazione dei diritti dell’uomo che sancisce il diritto alla vita, alla libertà e, per la prima volta nella storia dell’umanità, il diritto a perseguire la felicità. (…)

Ma l’elemento grandioso, per il quale dovremo per sempre essere grati agli Stati Uniti è l’affermazione di quel diritto al perseguimento della felicità mai prima sancito in alcuna Carta o Dichiarazione.  Chi ne è il padre? La Dichiarazione d’indipendenza ha un padre napoletano. Nell’ottobre 1999 era mio ospite nella casa di Monte San Quirico, nel verde della bella collina lucchese, un amico americano, un sociologo di Oxford. (..che mi diede, ndr)  una notizia straordinaria e per me completamente nuova: la Dichiarazione aveva avuto una precedente stesura che in quel punto cruciale recitava: «L’uomo ha diritto alla vita, alla libertà e alla proprietà». L’inserimento di quest’ultimo diritto (come disse il mio amico) era nato da una proposta di John Locke che, tuttavia, non aveva convinto Benjamin Franklin, il padre della Rivoluzione americana. Questi fece allora qualcosa di straordinario. Inviò una delegazione di due ambasciatori in Italia, con la bozza della Dichiarazione, l’atto di nascita di quella nuova nazione, e la missione di incontrare chi avrebbe saputo completarla.

Ero affascinato dagli insperati sviluppi di quella conversazione. Stavo percorrendo a ritroso la traccia che poteva condurre all’origine di quell’idea che avrebbe trasformato la felicità da concetto visionario, da chimerica aspirazione e wishful thinking, a diritto naturale, inalienabile e inviolabile dell’uomo e della ragione. (…) Stavo percorrendo il Nilo alla ricerca delle sue mitiche fonti. Avrei voluto conoscere i nomi di quei due ambasciatori e soprattutto chi fossero venuti a incontrare in Italia, chi secondo il loro presidente avrebbe avuto lo storico compito di sostituire l’espressione di Locke. (…).

Di lì a poche settimane, nel dicembre del 1999, dovetti recarmi a Napoli per attività legate alla creazione di un nuovo campus e al progetto di fondare una facoltà di Economia e Filosofia in collaborazione con l’Istituto di studi filosofici. In quell’occasione visitai Palazzo Serra di Cassano, sede dell’Istituto, che ospitava la mostra allestita per il bicentenario della Rivoluzione napoletana. Quella che fu chiamata «la rivoluzione dei filosofi» e che doveva condurre al martirio un’intera classe intellettuale tra le più colte e illuminate d’Europa.

(…). Appresi che quel palazzo era rimasto chiuso per 200 anni, dal giorno in cui il giovane figlio, rampollo dell’antichissima e nobile famiglia Serra, fervente seguace delle idee repubblicane, cadde martire di quella repressione. In quelle ampie sale stupendamente decorate mi sembrò che ancora echeggiassero le parole di Gaetano Filangieri, il Platone di Napoli, e gli ideali repubblicani che infervorarono quegli uomini e donne che avevano giurato di voler vivere liberi o morire. Tra le opere esposte m’impressionò uno dei quadri che rappresentava un condannato dal volto nobile, lo sguardo sognante e, alle sue spalle, il boia. Senza il particolare del capestro tra le mani di quest’ultimo sarebbero sembrati una coppia di amanti. In quella sola opera mi sembrò racchiuso il destino dei martiri, dei visionari d’ogni tempo, l’eterna lotta tra individuo e moltitudine, e l’emblema della fine di quel sogno di libertà che recise il fiore della cultura napoletana ed europea. Provai una vertigine del pensiero.

Fu in quell’occasione che incontrai Gerardo Marotta, l’avvocato-filosofo che insieme ad altri intellettuali napoletani aveva fondato l’istituto, 25 anni prima. Mi ricevette tra i suoi tesori: isole, arcipelaghi di libri che nelle stanze più ampie formavano le pareti di inestricabili labirinti dove mi aggiravo seguendolo e ascoltando i cento progetti che aveva per il suo istituto. Discussi con lui l’idea di fondare insieme una facoltà per economisti-filosofi che sarebbero stati al timone delle imprese del futuro. Quando gli dissi del mio interesse per le radici filosofiche della Costituzione americana, mi fece dono di un libricino, appena edito, ultima pubblicazione dell’Istituto: un omaggio a Gaetano Filangieri e alla sua opera La scienza della legislazione. Quella sera stessa ne divorai il contenuto. Non potevo crederci. In quelle pagine c’era l’informazione che cercavo. Dagli archivi del Museo Filangieri, tenuti blindati fino a quel momento, era emerso che Franklin aveva inviato il testo della Costituzione degli Stati Uniti a Gaetano Filangieri usando due intermediari di suggestivo valore simbolico: Luigi Pio, diplomatico napoletano a Parigi, sostenitore di Robespierre, e l’abate Leonardo Panzini che aderì alla Repubblica e ne fu rappresentante presso il Direttorio. Meravigliosamente, le tessere di quel mosaico stavano trovando il loro posto.

Allo scadere esatto di due secoli, nel Palazzo Serra di Cassano, mi veniva rivelato quel prezioso segreto. In quelle stanze erano risuonate le idee che ora ritrovavo in quelle pagine. I due frammenti di quella storia rimasti separati per centinaia di anni, come i due pezzi di un amuleto, ora si riunivano proiettando una luce abbagliante. Ora sapevo che l’idea del diritto alla felicità era nata dall’intelligenza e dalla passione civile di Filangieri, una delle voci più alte della coscienza europea. Fu lui l’ispiratore, il legislatore-filosofo, il padre della Rivoluzione che non vide a causa della sua morte prematura. Benjamin Franklin l’aveva ricevuta da lui e incastonata, come un gioiello, insieme al diritto alla vita e alla libertà, in quella Unanime dichiarazione dei tredici Stati Uniti d’America. Tra «l’uomo ha diritto alla felicità», coniato da Filangieri, inserito nel testo della Dichiarazione, e «l’uomo ha diritto alla proprietà», proposto da Locke, passano eternità.

L’ascesa che gli Usa conosceranno tra le nazioni della terra, la capacità di assimilare uomini d’ogni nazione, attirati dalla libertà, trovano origine in quel granello di immortalità. Da qui si sviluppa l’economia e la potenza degli Stati Uniti. Il Diritto alla libertà diventa più americano della bandiera a stelle e strisce e l’espressione più alta dei principi e della missione di quel Paese. Filangieri, idealista e geniale giurista, muore nel 1788, a 35 anni. La sua opera in sei volumi La Scienza della legislazione subito tradotta in tedesco, poi nelle maggiori lingue europee e in russo, gettò una lama di luce sul buio di quella fine secolo di oppressioni. Essa fu il manifesto e accese la miccia della rivoluzione del ’99. Quando, a seguito di questa, la moglie con i suoi due figli dovette riparare a Parigi fu ricevuta da Napoleone che le mostrò il posto d’onore che La Scienza della legislazione occupava sul suo tavolo di lavoro. La passione civile di Filangieri l’aveva spinto a credere che la felicità dei popoli fosse raggiungibile attraverso il cambiamento delle leggi, la repubblica, la democrazia, la liberalizzazione delle istituzioni politiche e civili.

In realtà la felicità non può essere data, trasmessa, insegnata. È una conquista intima, individuale. Può avvenire solo qui e ora. Non possiamo essere felici ieri, non possiamo essere felici tra un mese o un anno. La felicità è la consapevole decisione di quest’istante… infinito, irripetibile. Concludo con una notizia che mi ha fatto riflettere.

L’istituto di Gerardo Marotta, diploma d’onore del Parlamento europeo, definito dall’Unesco nel 1993 «senza pari al mondo», ha chiuso i battenti nell’agosto scorso per mancanza di fondi. Ha dovuto abbandonare il Palazzo di Serra Cassano per morosità e i suoi 200mila volumi sono finiti in un capannone. Sic transit gloria mundi.

di Stefano D’Anna

pubblicato nel 2013 da liberoquotidiano.it

 

ps= chissà se qualcuno scrive una replica per chiarire definitivamente la figura del Filangieri che è tirato per la giacchetta da troppe parti

 

 

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