Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Eran Trecento, eran giovani e forti… ma tutti galeotti

Posted by on Apr 2, 2020

Eran Trecento, eran giovani e forti… ma tutti galeotti

“Me ne andavo un mattino a spigolare/quando ho visto una barca in mezzo al mare:/era una barca che andava a vapore,/e alzava una bandiera tricolore./All’isola di Ponza si è fermata,/ è stata un poco e poi si è ritornata;/s’è ritornata ed è venuta a terra;/sceser con l’armi, e noi non fecer guerra./ Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!…”.

Alzi il dito, anzi la mano, chi non ha riconosciuto i versi iniziali de “La spigolatrice di Sapri”, la lirica più nota di Luigi Mercantini. Essa descrive la drammatica impresa di Carlo Pisacane che concluse la sua ancor giovane esistenza (non aveva che 39 anni) in una brulla vallata del Cilento nel tentativo di suscitare un moto insurrezionale nel Regno di Napoli: erano i primi di luglio del 1857. Quella di Pisacane è una delle figure più fulgide dell’epopea risorgimentale. Basta, però, conoscere un po’ più a fondo la storia (non certo quella che la vulgata dominante per tanto tempo ci ha propinato) e leggere i documenti di archivio, per constatare come “non è tutto oro quello che luccica”. Ad iniziare proprio dallo stesso Pisacane. Figlio di una blasonata famiglia dell’aristocrazia napoletana, Carlo frequentò la “Nunziatella” diventando ufficiale borbonico. Il giovane aveva un debole per le donne che, a loro volta, impazzivano per la sua divisa. Tanta grazia di Dio, però, lo mise nei guai, anche perché iniziò a frequentare gli altrui talami. Una sera, mentre rincasava, fu assalito da un rivale geloso che a suon di coltellate lo ridusse in fin di vita. La sua forte fibra riuscì a fare il miracolo anche se fu costretto a fuggire da Napoli portandosi dietro l’amante. Iniziava così un lungo peregrinare attraverso parecchie città italiane ed europee. Si arruolò persino nella Legione Straniera andando a combattere in Algeria. Fino a che, un bel giorno, nel Canton Ticino, conobbe Giuseppe Mazzini di cui divenne consulente militare. Pur avendo concezioni diverse riguardo al progetto di unificazione nazionale, Pisacane fu attratto dalle teorie mazziniane e finì per sposare la sua politica insurrezionale. Di qui la messa a punto dello sbarco nel salernitano: era convinto, infatti, a differenza di Mazzini, che il fuoco della rivolta poteva e doveva partire dalle “derelitte e oppresse genti del meridione”. Il 25 giugno del 1857, con 24 compagni, Pisacane si imbarcò da Genova su un piroscafo diretto in Sardegna. Appena al largo costrinse il comandante a fare rotta su Ponza dove giunse nel primo pomeriggio del 27. Ed è proprio qui, nella piccola isola dell’arcipelago pontino, estremo lembo della provincia di Terra di Lavoro, che l’impresa di Pisacane consumò il suo aspetto meno eroico. Dopo aver disarmato con l’inganno l’esigua guarnigione borbonica (aveva fatto innalzare sul pennone della nave non il tricolore, come “canta” il poeta, ma una bandiera rossa attestante un guasto meccanico), gli insorti tentarono di guadagnare la fiducia degli isolani che, invece, spaventati (molti si rifugiarono nelle caverne credendo di trovarsi di fronte ai pirati), finirono per restare indifferenti se non ostili. Qualcosa, però, bisognava fare per sbloccare la situazione. Si pensò, allora, di aprire le porte del carcere e di dare la libertà ai 1.800 reclusi i quali erano, in gran parte, ladri, assassini e delinquenti comuni. Gli effetti furono devastanti. I galeotti sciamarono indisturbati sull’isola mettendo tutto a ferro e a fuoco. Poi, come Dio volle, quella lunga notte di terrore finì. Pisacane, intanto, presi 300 di quegli energumeni (gli altri non avevano voluto saperne di seguirlo), si imbarcò sul “Cagliari” e salpò alla volta di Sapri dove sbarcò il 28 giugno. La popolazione locale, ancora una volta, rimase fredda di fronte ai ridondanti proclami di Pisacane, Nicotera e compagni. Nel frattempo gran parte dei detenuti se la svignò. Pisacane non si dette per vinto e decise di marciare verso Napoli con ciò che rimaneva della sua eterogenea masnada. Il primo luglio, a Padula, fu intercettato da una colonna dell’esercito borbonico e nello scontro perse la metà dei suoi effettivi. I superstiti cercarono riparo nel Cilento ma, giunti nei pressi di Sanza, furono massacrati proprio da quei contadini che avevano sperato di sollevare. Pisacane, ferito e deluso, decise di togliersi la vita con un colpo di rivoltella: ciò almeno secondo la versione ufficiale. Sono in molti, invece, a sostenere che sia rimasto ucciso durante la baruffa. Falcone fece altrettanto mentre Nicotera, che dopo l’unificazione sarà Ministro degli Interni, fu catturato, processato e condannato a morte. In seguito la pena gli venne commutata nel carcere a vita. Si chiuse, così, in maniera ingloriosa, l’avventura di Pisacane. Un’avventura maldestra, iniziata male e finita peggio come, del resto, tutti i “moti mazziniani”. Certo il giovanotto era dotato di buon coraggio e di una certa intraprendenza, doti non disgiunte da una robusta dose di incoscienza e di ingenuità. Fu davvero eroica la sua impresa? Al di là della mitizzazione dell’evento è lecito nutrire più di qualche dubbio. Una cosa, però, è certa: a Ponza non fece davvero una gran bella figura. E così quando qualche anno fa, era il 2007, il sindaco pensò bene di celebrare il 150° anniversario dello sbarco di Pisacane, non tutti gli isolani indossarono il vestito della festa e parteciparono alla cerimonia. In gran parte, anzi, la disertarono. Il ricordo di quel giorno infausto, tramandato di generazione in generazione, evidentemente era ancora presente nella mente degli abitanti della splendida perla del mar Tirreno. Ecco un’altra pagina poco conosciuta del nostro Risorgimento che non si deve aver timore di raccontare.  

Fernando Riccardi

fonte http://www.linchiestaquotidiano.it/news/2019/12/20/eran-trecento-eran-giovani-e-forti-ma-tutti-galeotti/30107

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