Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Figli delle nebbie vs Figli del sole

Posted by on Dic 19, 2016

Figli delle nebbie vs Figli del sole

<< In Regione Lombardia le donne pugliesi accolte a Milano dalla scritta “Terun”>>.

<<Tifosi del Foggia cacciati dallo stadio Bentegodi di Verona. Africa! Terroni di merda!>>.

<< Violenza no stop. Aggrediti a Verona perché figli del Sud>>.

<< Non siamo mica a Napoli, qui siamo a Trieste>>, l’ultima uscita sui rifiuti del sindaco di Trieste Roberto Di Piazza (M O –Unione Mediterranea, 7 dicembre 2016).

Titoli del genere(di cui quelli citati non sono nemmeno i più eclatanti), non sempre riportati dalla stampa con il rilievo che il caso avrebbe richiesto; episodi di becero razzismo che investono un popolo intero, ma che attirano l’attenzione solo di poche persone che, sentendosi offese in maniera del tutto gratuita, ne diffondono la conoscenza, dando loro il risalto negato da chi ne aveva il dovere, sia dal punto di vista professionale che da quello deontologico.

La costante e squallida monotonia con cui si ripetono episodi del genere si perpetua nell’indifferenza e nel disinteresse anche di quella parte della nazione investita proprio della responsabilità di tutelare la dignità di tutti i cittadini e per colpa della quale esistono ancora tante “questioni” come l’ormai famosa “Questione meridionale”. Gli episodi che la cronaca porta alla nostra attenzione non sono, purtroppo, delle semplici goliardate su cui si potrebbe anche chiudere un occhio, ma un leit-motiv , una costante del pensiero nordista non molto dissimile da quello del Ku Klux Llan degli Anni Venti nei confronti dei non-white, Tanto per dirne una, secondo tale pensiero “parlar male di Napoli fa cultura”! Questo “parlar male”, però, non è una semplice chiacchiera da salotto come potrebbe erroneamente indurre a ritenere il “fare cultura”, ma è diventata una vera e propria forma mentis che, a motivo di tutte le bugie e le calunnie escogitate e messe in pratica da oltre un secolo e mezzo e tuttora in atto, hanno coinvolto tutti i settori della vita civile(scuola, istruzione, politica, informazione, economia, ecc.). Per questo motivo, oggi ci troviamo a vivere una situazione in cui tutte le brutture, le negatività e i disvalori sono caratteristiche peculiari di una sola parte della popolazione, mentre virtù, positività e bravura sono patrimonio dell’ altra parte:quella che cainamente si presentò nelle nostre terre sotto le mentite spoglie di fratelli e che ancora oggi, invece, non smette di mostrarsi nella sua vera essenza. Per dare una spiegazione a tale fenomeno, non è necessario scomodare alcuna “testa d’uovo”, perché essa si offre spontaneamente, senza ambiguità e fraintendimenti, agli occhi di tutti, parlandoci non di un’Italia a due velocità, come spesso viene fotografata la nostra nazione, ma addirittura di due Italie completamente differenti fra di loro, geograficamente, caratterialmente e culturalmente, ad onta della tanto decantata e sbandierata unificazione. Ci parla di due etnie diverse, che nessuna operazione (anche cruenta) è riuscita ad amalgamare:una, che ha il profitto e il calcolo per religione e l’economia per legge morale;l’altra, disinteresse, apertura verso tutti e spontaneità in ogni aspetto della vita sociale.

Tempo fa, per trovare una spiegazione sul perché, anche in testi che avrebbero dovuto essere imparziali, venisse definita “borbonica” ogni cosa o attività mal funzionante o degna di disprezzo e perché io, etnicamente parlando, dovessi considerarmi inferiore ad un connazionale del nord, scoprii, invece, che alle masse non era stata offerta la fotografia, ma il negativo della situazione nazionale. Allora, anche per questa circostanza vorrei intraprendere lo stesso viaggio a ritroso per dimostrare l’infondatezza di questo pensiero aberrante e di questa presunta superiorità di una parte della nazione sull’altra.

Nella storia dell’evoluzione umana è notorio che le zone costiere, insieme ad una maggiore esposizione al pericolo di incursioni e devastazioni, sono sempre state favorite dalla loro posizione anche negli scambi commerciali e culturali, che hanno fatto loro raggiungere in anticipo un più progredito grado di civiltà sulle zone dell’entroterra e, ancora di più, su quelle montane.

Così, tanto per cominciare, il più antico insediamento di forme di vita(sito di macellazione e bivacco) risalente a 730.000 anni fa è stato ritrovato – guarda caso –nella regione campana, nell’alto bacino del Volturno (1), e le più antiche tombe di pietra o “megaliti” trovate in Europa furono costruite – per quanto riguarda l’Italia – in Puglia e in Sicilia intorno al 1500 a. C. (2 – 3).

Tra il 5000 e il 4000 a. C. si ebbero le prime colonizzazioni della Puglia e della Sicilia da parte di popolazioni provenienti da est. (2 – 3), mentre intorno all’anno 3000 a. C. si registra la fondazione di colonie fenicie in Sicilia. Inoltre, già dall’età del ferro(II-I millennio a. C.)” le popolazioni italiche aprono proficui rapporti con il Vicino Oriente, soprattutto nel territorio centrale e meridionale e nelle isole, dove si presentono gli influssi fenicio e greco. Le aree settentrionali restano, invece, relativamente isolate dai contatti con le grandi culture storiche”.

Tra il 750 e il 550 “la maggior parte dell’Italia Meridionale e della Sicilia meridionale e orientale pullulano di colonie … Città come Crotone e Sibari nell’Italia meridionale e Siracusa e Agrigento in Sicilia divennero immensamente potenti” tanto che sibarita divenne sinonimo di persona amante del lusso, dei piaceri più raffinati. Sempre a Crotone, più o meno nello stesso periodo, Pitagora (quello del famoso teorema) aprì una scuola filosofica e contemporaneamente nell’odierna desolata ed arretrata Lucania un certo Parmenide ed un certo Zenone, insieme ad alcuni amici come Senofane, Empedocle, Archita di Taranto, Ecfanto di Siracusa e Gorgia da Lentini, fondavano la grande Scuola filosofica di Elea. Lungo le coste, intanto,e nell’immediato entroterra si affermavano e progredivano luoghi città come Pompei, Ercolano, Stabia, Neapolis, Puteoli, Cuma, Baia, Capua … E qui, per non tediare eccessivamente, ci fermiamo e, saltando a pie’ pari duemila, tremila anni di storia,ci portiamo:

all’anno 960 d. C. quando la storia della letteratura, che diverrà poi italiana, con la “Carta di Capua”, registra il più antico documento scritto in volgare;

all’anno 1100, che vede, a Salerno, la nascita della prima università europea di medicina;

all’anno 1224, anno di fondazione dell’università di Napoli;

all’anno 1250 circa, che vede fiorire alla corte di Federico II e del figlio Manfredi la cosiddetta “Scuola Siciliana”, che offre anch’essa delle “primizie” alla letteratura italiana, con la prima lirica d’amore e l’invenzione del sonetto. La Scuola, aperta a poeti e rimatori anche di altre parti d’Italia, come Arrigo Testa (aretino), Jacopo Mostacci(pisano), Percivalle Doria(genovese), favoriva incontri e scambi culturali tra dotti dell’occidente cristiano e sapienti del mondo islamico: geografi, giuristi, teologi, scienziati, filosofi. “Per opera loro(dei “Siciliani”)penetrarono tra noi e si acclimatarono, schemi metrici, raffinatezza ed artifici di espressione … e si promosse la formazione di una lingua letteraria che fosse vincolo unitario fra scrittori di varie parti d’Italia … La Scuola Siciliana dimostrò la sua vitalità trapiantandosi in Toscana dove molti rimatori continuarono i modi e le forme della nostra prima lirica” (4). In Toscana, solo un poco più tardi – ma comunque dopo – tra il 1280 ed il 1310, si sviluppò la Scuola del “dolce stil novo”.

Come si vede, il meridione d’Italia, fin dalle età più lontane della storia umana non ha alcunché di cui vergognarsi, ma piuttosto potrebbe dire di essersi incamminato sulla via del progresso civile molto prima di chi sbandiera una superiorità che non trova sostegno in nessuna fase della storia … Questo, ovviamente, fino al fatidico 1860 d. C.!

Forse l’analisi più giusta, ma certamente le parole più belle su questa spiacevole situazione di “disunità nazionale”, è quella fatta da un turista vicentino di Arzignano, di cui, per sua tranquillità, trascrivo solo le iniziali(F. G.), e di cui riporto solo qualche frase, pur se devo confessare che con grande gioia avrei voluto riproporre tutta la lettera. Ebbene, questo turista dice:<<Dove abito io, nella provincia di Vicenza, Napoli e i napoletani non sono ben visti. Eppure il sottoscritto da Napoli e dai napoletani ha ricevuto solo momenti di gioia … Che strano, a volte mi chiedo come fanno ad attaccare una città così bella che ha ancora un cuore, che sa ancora emozionarsi … Sicuramente l’invidia!>>.

Allora, smettiamola una buona volta di esprimere giudizi spocchiosi e arroganti e cerchiamo veramente di trovare fra le nostre diverse storie elementi che possano servire ad unirci piuttosto che a dividerci. Al termine di questa mia, per rimarcare ancora una volta, le differenze che ci distinguono, ma che potrebbero rivelarsi utili per unirci, vorrei far notare che da noi “parlar male del Nord in genere non fa cultura” e che per ripagare della stessa moneta i “fratelli” nordisti non rivolgiamo preghiere a San Gennaro per far esondare il Po, l’Adige, il Piave, il Tagliamento … o per invocare qualche altra terribile sciagura per annientare la parte della nazione causa di tutti i nostri mali e della disastrata condizione economica e sociale che ha voluto e continua a destinarci.

Sicuramente la nostra plurimillenaria storia ci ha resi refrattari anche all’invidia ed alla cattiveria.

Castrese Lucio Schiano

15 dicembre 2016

 

1 Comment

  1. Excellent.

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