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Forse i mali di oggi cominciarono più di due secoli fa… anche in una città periferica come Militello, Sicilia (parte sesta)

Posted by on Ago 5, 2017

Forse i mali di oggi cominciarono più di due secoli fa… anche in una città periferica come Militello, Sicilia (parte sesta)

37.             Le ragioni degli unitari

Purtroppo, i contrasti tra Palermo e Napoli non erano finiti con l’accordo tra Florestano Pepe ed il principe di Villafranca. Lo si scoprì, quando a novembre i termini di quella specie di armistizio arrivarono in parlamento.

“Si vuol spezzare l’unità del Regno delle Due Sicilie” insorse il deputato Gabriele Pepe.

“E’ vero!” confermò il deputato Matteo Imbriani.

Molti deputati volsero lo sguardo sul deputato Vincenzo Natale, che aveva già chiesto ed ottenuto di parlare.

La sua dote più apprezzata era il tono di voce sempre pacato, cosa che rendeva piacevole ascoltarlo. Fra l’altro, era noto il cordiale incontro che in Sicilia c’era stato tra lui e Florestano Pepe. Quindi, ci si aspettava un invito alla moderazione.

Ma, ci fu una sorpresa.

“Dico subito” esordì Vincenzo, “che nego la corona civica, sia alla città di Palermo, sia al generale Florestano Pepe. Con la nostra capitolazione (tale la definisco io) a Palermo, come ha già detto il deputato Gabriele Pepe, è stata spezzata l’unità del regno ed infranta la sua costituzione. Propongo, in aggiunta, che si nomini una commissione d’inchiesta che indaghi su quei fatti. Ribadisco, una volta per sempre, che la Sicilia al di là del Faro è parte della nazione, e parte non piccola, non ultima, non ignobile. Lo Statuto di tutto il Regno, quello soltanto, deve garantire i diritti individuali del cittadino e quelli di tutti gli abitanti della mia isola!”

38.             La difesa del territorio

A coclusione dell’intervento parlamentare in cui aveva ribadito le sue convinzioni unitarie, Natale tirò fuori il fazzoletto, per asciugarsi un fastidioso sudorino al collo.

Guardò i colleghi. C’era un silenzio che si tagliava a fette.

“Come può esserci, dunque” riprese a dire, “un proclama col quale militarmente si fa la requisizione di 300.000 ducati sopra la città di  Palermo, fra un brevissimo corso di giorni? Chi in forza della Costituzione ha il diritto d’imporre contribuzioni o chiedere prestiti? Lo ha forse il potere esecutivo? No. Questo è un sacro diritto soltanto della rappresentanza nazionale!”

Fece un’altra pausa, per osservare la reazione dei colleghi.

In quel momento pensò che la carboneria passava dalla congiura al governo.

“Quanto poi possa essere giusta la distribuzione, voi lo ravvisate dallo stesso proclama. Tutte le botteghe, tutte le entrate delle case sono gravate smisuratamente; e forse in quella tale casa una famiglia si ricovera, che manca del pane, e che non può covrire la sua nudità per le rapine sofferte. Con tutto ciò, se non paga prontamente, è condannata a pagare due volte.”

Si asciugò di nuovo il collo. Ormai, egli dominava l’assemblea.

Vide Gabriele Pepe, che gli sorrideva con amicizia. Vide tutti gli altri pendere dalle sue labbra.

“Io non intendo graziare i rivoltosi di Palermo dall’obbligo delle spese di una guerra provocata. Ma, un tale esame deve conoscerlo il Parlamento, e le spese devono gravitare su de’ concitatori della insurrezione, su di coloro che la fomentarono, ed a cui giovava; e non mai su quella gran parte de’ cittadini, che animati da giusti sentimenti resisterono alla violenza de’ furibondi, si armarono, e batteronsi sintanto che, per effetto de’ loro sforzi, l’armata poté entrare nella città, ed impadronirsi de’ forti. Si indaghi, invece, su qual è lo stato generale dell’isola, si controlli che vi regni la tranquillità. Si chieda quali ricerche sono state fatte intorno alle cause ed agli autori della rivolta. Si facciano conoscere tutte le azioni di quel periodo in Sicilia, da qualunque funzionario e per qualsiasi titolo siano venute!”

39.             La questione del nome da dare al Regno

Il 7 novembre arrivò in Sicilia, come comandante in capo del corpo di spedizione, il generale Pietro Colletta, il quale, più che per le virtù militari, lasciò poi gran traccia di sé come storico.

“Il primo atto che pretendo da voi” disse senza tanti complimenti ai primari di Palermo, “è che giuriate fedeltà alla costituzione spagnola.”

Il 19 novembre i rivoltosi dovettero giurare e furono indette le elezioni per il parlamento nazionale a Palermo e provincia.

Cominciò, così, una specie di resistenza passiva, dato che i deputati eletti si rifiutarono di andare a Napoli.

Dove, frattanto, continuava l’attività del parlamento. C’era, per esempio, da trattare la questione relativa al nome da dare al Regno.

“Col convertire” sostenne il deputato Vincenzo Natale, a nome della maggioranza dei deputati, “l’attuale denominazione di tutto il Regno in quella di Regno dell’Italia Meridionale si confonderebbe il presente linguaggio diplomatico, e susciterebbesi la gelosia delle potenze poco disposte a nostro favore. Le parole non sono né belle né brutte, se non per quanto esprimono le cose, o buone o cattive; ma servono a denotare gli oggetti; e quando ciò comunemente non si ottiene, manca il profitto essenziale del linguaggio. Come mai si vorrebbe pretendere che i nostri contadini, ed altri idioti, che è quanto dire la gran massa della Nazione, riconoscessero i vecchi nomi de’ Bruzii, de’ Lucani, de’ Messapii, e non si meravigliassero più tosto di tali nomi ignoti, non sapendo nemmeno sospettare che potessero appartenere a loro?”

40.             Contrasto tra Vincenzo Natale e Matteo Imbriani

La ribellione palermitana, fra gli altri guai, mise in gravi difficoltà anche i deputati siciliani leali al nuovo ordine carbonaro.

Le rivelò un contrasto sul numero della rappresentanza siciliana nell’Assemblea Permanente, il cui compito era detenere il potere legislativo nel periodo tra un’elezione e l’altra del parlamento. Secondo la costituzione spagnola, le province d’oltremare (cioè, la Sicilia) avevano diritto a tre rappresentanti; ma, non mancò chi, come il deputato Matteo Imbriani voleva dargliene soltanto due.

“I siciliani” disse Imbriani, “fino a questo momento non hanno contribuito al nuovo ordine di cose, se non con danni e rovine!”

Si votò, quindi, la modifica della costituzione. Quarantadue deputati votarono per portare a due i rappresentanti della Sicilia, venticinque per lasciarli a tre.

A quel punto, prese la parola il deputato Vincenzo Natale:

“Voi avete modificato la costituzione, senza tener conto che per ogni sua modifica è necessario il voto dei due terzi del parlamento.”

Matteo Imbriani si levò prontamente:

“Il deputato Natale ha una memoria tanto corta da aver già scordato ch’egli stesso ha sostenuto la necessità di poter apportare le opportune modifiche costituzionali con la semplice maggioranza assoluta e non col voto dei due terzi…”

“Non la mia memoria corta me lo ha fatto scordare” rispose Natale. “Ma, il vostro egoismo napoletano, ancor più devastante del separatismo palermitano!”

Vi fu un applauso da parte dei deputati Francesco Strano e Paolino Riolo; ma, la votazione per appello nominale che seguì all’intervento confermò la scelta di due rappresentanti in tutto per la Sicilia.

41.             Vincenzo Natale e Pietro Colletta

Fu il generale e storico Pietro Colletta colui che seppe meglio mettere in evidenza la natura della lotta politica di Vincenzo Natale, scrivendo:

Altre leggi, proposte dal deputato Natale, abolirono la feudalità di Sicilia; non essendo bastati fino al 1821 gli esempi de’ più civili regni, e la pazienza de’ tempi e i costumi dei signori, e la stessa costituzione dell’anno ’12, e parecchi decreti degli anni ’16 e ’17. Quella feudalità, cessata molte volte nel nome, non mai ne’ possessi, era finalmente per le nuove leggi distrutta, le stesse che sotto i re Giuseppe e Gioacchino operarono tra noi la piena caduta del barbaro edificio.

Ed, in effetti, il filo rosso che unì le posizioni politiche di Vincenzo Natale potrebbe essere individuato nell’aver favorito il passaggio da un concetto feudale della ricchezza ai nuovi valori individualistici, con tutto il conseguente dinamismo dell’imprenditoria, del commercio e delle professioni.

Questo impegno si tradusse nell’idea di allargare il mercato, il che contrastava con qualsiasi indipendentismo. Al contempo, però, vedeva la necessità di un’autonomia gestionale, per rompere i lacci che impedivano quella che oggi si chiamerebbe un’economia liberista.

“Ho appoggiato la proposta” egli scriveva al padre, con chiara coscienza, il 6 dicembre 1820, “di istituire un supremo tribunale di giusttizia o cassazione in Sicilia. Le mie argomentazioni hanno preso forza dal fatto che il mare separa la nostra terra dalla capitale. Ho chiesto pure al Ministero delle finanze di vedere la possibilità di una diminuzione dei gravami fiscali.”

 

Salvatore Paolo Garufi

fonte

blog. ilgaruficolori

militello

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