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Francesco Proto, l’Ultimo dei Napoletani: denunciò i massacri dei Piemontesi al Sud

Posted by on Mag 31, 2017

Francesco Proto, l’Ultimo dei Napoletani: denunciò i massacri dei Piemontesi al Sud

Francesco Proto Carafa nacque a Napoli il 22 marzo 1821 da Donato duca di Albaneta e da Clorinda Carafa, dalla quale ereditò il titolo di duca di Maddaloni. Come tutti gli aristocratici del tempo venne presto introdotto agli studi classici, nei quali si cimentò con passione e risultati eccellenti. Sviluppò un interesse particolare per le ricerche storiche ed, infatti, a soli 20 anni pubblicò la sua prima opera: una biografia del Cardinale Richelieu, controversa figura storica della Francia settecentesca.

Nel 1845 sposò la nobile inglese Harriett Vanneck, con la quale l’anno seguente ebbe un figlio, e partecipò a Napoli alla VII adunanza degli scienziati italiani. Il suo amore per l’erudizione e la cultura venne però presto soppiantato da un interesse ben più rischioso: alla fine del 1847 Proto prese parte ad alcune manifestazioni popolari volte ad ottenere il rilascio di una costituzione o, comunque, una svolta liberale da parte di Ferdinando II di Borbone.

Il giovane aristocratico venne arrestato e rilasciato nei tumulti che seguirono la protesta, ma venne rilasciato dopo pochissimo tempo. Abbastanza, però, per trasformare Proto in un grande sostenitore del processo che avrebbe unificato l’Italia. Quando, nel 1848, il sovrano concesse l’agognata costituzione, il letterato si arruolò nella guardia nazionale con il grado di maggiore, e prese parte al nascente comitato per la ‘crociata italiana’: un fallimentare progetto che avrebbe dovuto unire le monarchie costituzionali di tutta Italia in un unico grande regno.

Dopo questa breve parentesi iniziò la vera e propria carriera politica di Proto come deputato di Casoria nel Parlamento Napoletano: un’altra esperienza fallimentare dal momento che nel giro di pochi mesi l’esperienza costituzionale della Napoli borbonica si concluse nella repressione e, con essa, l’organo parlamentare. Il letterato traspose la sua esperienza nell’opera “La congiura dei baroni”, un’opera che sotto l’apparente ricerca storiografica denunciava i giochi di potere nella politica napoletana del tempo.

L’ennesima delusione portò Proto a prender parte ad un nuovo tumulto popolare il 15 maggio del 1848: questa volta fu costretto a fuggire all’estero per evitare il carcere e riuscì a tornare a Napoli solo cinque anni dopo, con la “grazia” del sovrano. Dopo il ritorno in città si dedicò quasi esclusivamente alla produzione letteraria: degno di nota il romanzo storico “La figlia dello Spagnoletto”, pubblicato con Le Monnier. Il resto delle opere di quel periodo fu composto da numerosi, quanto mediocri, drammi teatrali, spesso inscenati alla corte di nobili o avanti alla stessa famiglia reale.

Nel marzo del 1860 questioni politiche costrinsero ancora una volta Proto all’esilio: la polizia lo inquadrò come uno dei partecipanti ad una presunta congiura in favore di Luciano Murat, figlio di Gioacchino Murat. Tornò nel 1861 poco dopo l’ingresso di Garibaldi in città. Inizialmente, Proto fu più che favorevole al nuovo Governo: venne eletto deputato al Parlamento italiano. Con il discorso “Delle cose di Napoli” cercò anche di convincere Cavour a spostare la capitale a Napoli per combattere la corruzione imperante, a detta sua, sotto il regime borbonico.

Alla morte di Cavour, però, il neo-deputato cambiò radicalmente atteggiamento nei confronti dell’Italia unita. Il 20 novembre del 1861 Proto presentò una violenta ed accorata mozione in cui denunciava i metodi utilizzati dai piemontesi per occupare il Meridione e tutti i disagi relativi all’annessione, invocò una Commissione Parlamentare che indagasse sulla questione e risolvesse i problemi di ordine pratico e giuridico per evitare dislivelli con le zone occupate. Fu uno scandalo, i giornali di tutta la penisola ne parlarono e, dopo solo una settimana, il parlamentare fu costretto a dimettersi.

Hanno insanguinato ogni angolo del regno, combattendo e facendo crudelissima una insurrezione, che un governo nato dal suffragio popolare dovrebbe aver meno in orrore. Il governo di Piemonte toglie dal banco il danaro de’ privati, e del danaro pubblico fa getto fra i suoi sicofanti; scioglie le Accademie, annulla la pubblica istruzione.

Nessuno più avanzò una simile mozione. Oggi, il testo integrale è conservato a Roma, Archivio storico della Camera dei deputati. Dopo l’ennesimo fallimento tentò di entrare nelle grazie di Francesco II di Borbone, esiliato a Roma, e traspose la sua frustrazione in opere satiriche in cui denunciava e metteva alla berlina nascente stato: esempi sono “Il senato cattolico” ed “Il conte Durante” in cui, addirittura, fingeva un secondo viaggio di Dante attraverso la moderna Italia.

Tornato a Napoli venne tormentato da due gravi lutti: nel 1875 morì, a soli 29 anni, il figlio Carlo Alberto e poco dopo perse anche la moglie. Proto si rifugiò nella scrittura e produsse numerose opere storiche e teatrali che, però, incontrarono difficilmente l’apprezzamento della critica. Maggiormente apprezzati i suoi Epigrammi, che figuravano spesso sui quotidiani e venivano declamati nei salotti aristocratici. Salvatore Di Giacomo li raccoglierà e pubblicherà dopo la sua morte. Insieme a quest’ultimo ed a Benedetto Croce, Proto fondò la rivista “Napoli nobilissima”.

Restò sempre incredibilmente apprezzato nell’ambiente dell’aristocrazia napoletana, di cui divenne l’esponente più rappresentativo: fu anche testimone di nozze di Matilde Serao. Nel 1883 venne anche eletto eletto nella lista cattolica al Consiglio comunale di Napoli, ma manifestò scarso interesse nella carica e l’abbandonò dopo pochi mesi per dedicarsi esclusivamente ai piaceri mondani. Morì a Napoli il 25 aprile del 1892, a 71 anni. Sul Mattino del 28 aprile, nel suo necrologio, Achille Torelli lo definì “l’ultimo dei napoletani”.

Probabilmente il titolo va riferito al fatto che fosse stato l’esempio dell’aristocrazia della sua città: scostante, ma passionale, incapace ad adattarsi agli stravolgimenti politici, ma sempre pronta ad infiammarsi. A noi ed alla storia piace pensare che, invece, si riferisse al fatto che fu l’ultimo napoletano che, anche se per poco tempo, continuò a lottare contro le ingiustizie di un’Unità basata sul sangue del Sud.

Domenico Ascione

 

fonte vesuviolive.it

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