Alta Terra di Lavoro

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Gary Cooper di Alfredo Saccoccio

Posted by on Lug 9, 2019

Gary Cooper di Alfredo Saccoccio

   Gary Cooper entrò in cinematografia per pura combinazione. Lontano da casa, egli cercava lavoro, un lavoro qualsiasi. L’occupazione che gli venne offerta fu quella di fare il cavallerizzo  in uno spettacolo ippico, perché, pare, questa era l’unica cosa che, a quei tempi, Gary sapesse fare. Il resto avvenne per combinazione.

   Egli desiderava essere pittore. Da ragazzo disegnava alla buona i paesaggi che il Montana offriva alla sua vista e i cavalli che vi galoppavano.

   Il suo “eroe” preferito era Charles Russel, il “cow-boy” pittore, molto amico di suo padre. Era nato ad Helena e la casa dei suoi fu il solo mondo della sua infanzia. I suoi genitori erano venuti nel Montana da bambini, con i primi coloni, al sorgere della cittadina. Suo padre, Charles Cooper, Giudice alla Suprema Corte, nacque in Inghilterra. Venuto da fanciullo in America, rivide il paese natìo una sola volta, dopo cinquant’anni.

   La famiglia Cooper possedeva un modesto ranch, a Wolf Chek, a circa 30 miglia dalla città, e Gary vi passava il maggior tempo possibile. Suo fratello Arturo, di qualche anno più anziano di lui, gli insegnò a cavalcare e a tirare di fucile. Il suo più caro amico era Jim Galen, figlio di un collega di suo padre. Era della sua stessa età ed abitava in un ranch vicino al suo. Essi cavalcavano assieme per intere giornate e facevano lunghe partite di caccia su per le colline.Fu lui, parecchi anni dopo, a farlo entrare nel mondo del cinema.

   Proseguiamo per ordine. Gary aveva sei anni quando, assieme al fratello, fu mandato a studiare in Inghilterra. Vi rimase soltanto due anni e, al suo ritorno in America, fu vittima di un incidente automobilistico, in seguito al quale rimase qualche tempo fra la vita e la morte. Gary trascorse due anni di convalescenza al ranch del padre, al sole e all’aria aperta, poi riprese ad andare a scuola, ad Helena. Egli non fu uno scolaro modello. I libri di scuola gli servivano, durante le lezioni, più per disegnare dei pupazzi che per studiare.

   Dopo qualche anno, Gary fu mandato alle scuole superiori di Bezeman e qui  fu un migliore scolaro. Quei professori seppero ispirargli maggiore interesse allo studio e, riusvcito a diplomarsi, passò al “Grinnell College”, una scuola d’arte. Tornato nel Montana, non trova niente di meglio da fare che impiegarsi come autista  della linea di autobus del Parco Nazionale di Jellowstone. Iniziò, poco dopo, quella che credette essere la sua vera carriera, ossia cominciò a fare caricature e disegni per un giornale di Helena. Il suo sogno era quello di pter illustrare libri, far disegni per le grandi riviste e, infine, darsi alla vera e propria pittura.  Egli ammirava  moltissimo, ed erano oggetto del suo più attento studio, James Montgomery Flagg, Hiward Chandler Christy, disegnatori, a quei tempi, di moda, e tutti i paesaggisti.

   Abbiamo già accennato che l’entrare in cinematografia fu per lui una mera combinazione. Specificheremo ora che le cause furono tre : il suo amico di infanzia Jim Galen, i brutti tempi e una ragazza. Era, questa ragazza, una studentessa del “Grinnell College” e il sogno dei suoi anni giovanili. Quando  cominciò a disegnare per il giornale di Helena, Gary le parlò di fidanzamento. Essi non avevano un soldo, cosicché decisero di sposarsi non appena Gary avesse trovato un posto migliore, non appena avesse raggranellato qualche dollaro. I due erano d’accordo nel giudicare la cittadina di Helena troppo ristretta alle loro ambizioni. Perciò la ragazza lo spingeva a far fagotto e a cercare fortuna in una città più grande.Gary non era entusiasta della cosa : tutti i suoi amici vivevano ad Helena ed egli amava essere vicino al ranch di suo padre, ove si recava spesso per cavalcare e andare a caccia. Però gli argomenti della ragazza erano inoppugnabili, cosicché riuscì a persuaderlo. Il duo scelsero Los Angeles: Gary doveva partire solo e, ottenuto che avesse un buon posto, lei lo avrebbe raggiunto per sposarlo. A Los Angeles trovare un posto non fu tanto facile. Quotidianamente Gary faceva il giro delle redazioni di vari  giornali ad offrire  i suoi servizi di disegnatore, ma senza nessun risultato. Aspettando giorni migliori, Gary peregrinava, per due dollari al giorno, di porta in porta, in qualità di propagandista per uno studio fotografico.

   Più tardi  egli fece l’agente di pubblicità cercando avvisi reclamistici per i sipari dei teatri. Anche questo lavoro finì, come finì il suo poco denaro. Aveva le scarpe sfondate, era in arretrato di qualche mese con l’affitto della camera, quando un tale gli consigliò di fare la comparsa cinematografica. L’idea gli sembrò buona ; prese il coraggio a due mani e si presentò  alla Fox. Nell’ufficio comparse dello “Studio” Gary incontrò Jim Galen, che non aveva visto da anni. Quando Gary partì pe il “Grinnel College”, egli si era trasferito  a Notre-Dame  per tornare, poco dopo, disilluso, al ranch paterno. Aveva preso parte a qualche rodeo e si era fatto una certa fama come cavallerizzo e domatore di tori. Come molti altri “cow-boys” era entrato in cinematografia per figurare in quelle pellicole del West, che, a quei tempi, andavano per la maggiore.In quei giorni Jim aveva l’incarico di scritturare buoni cavalieri  per un film sulla guerra anglo-boera. Jim presentò Gary al regista assicurandogli che egli era uno dei migliori della “squadra del Montana”. E così Gary fu assunto.

   Lo vestirono da ufficiale boero e per tutta una giornata Gary galoppò, ventre a terra, assieme a ttanti altri, su e giù per una collina. Fu questa la più faticosa giornata di tutta la sua carriera di attore, ma gli procurò una scrittura fissa come comparsa. Gary lavorò in molti altri films, generalmente pellicole del West, ma il suo sogno era ancora di entrare in un giornale come disegnatore. In quei giorni gli pervenne una lettera della fanciulla che doveva sposare e per la quale si era traslocato a Los Angeles, in cui gli annunciava che aveva trovato il vero amore e che si era sposata con un commesso droghiere. Qualche mese prima, a tale notizia,  si sarebbe sentito spezzare il cuore, ma in quel lomento, nello stato d’animo in cui si trovava, la prese abbastanza tranquillamente e pensò che la ragazza era fatta più per il droghiere che per lui. Gary fece la comparsa  per circa un anno. Un bel giorno gli affidarono una parte in un film della lunghezza di 250 metri ! La ragione di tale fortuna fu solo la sua abilità nel montare a cavallo.

   Poco dopo egli interpretò la parte di Abe Lee nel film “Il fascino di Barbara Worth”. In questa parte Gary piacque ai dirigenti della Paramount, che lo convocarono allo “Studio”, dove firmò il suo primo contratto. Il giorno dopo egli  fu mandato a Sant’Antonio (Texas), dove la Paramount  “girava” il primo grande film  d’aviazione : “Ali”,in cui Gary interpretò la parte del “cadetto”. Da quel giorno molte cose gli sono accadute. La più importante è stata, naturalmente, il suo matrimonio con Sandra Shaw.Gary ha partecipato ad una spedizione di caccia grossa in Africa Orientale ; ha visitato,  più volte, l’Italia ;ha lavorato in più films di quanti egli ne avesse  visti, prima di arrivare ad Hollywood.

   Le pellicole da lui interpretate preferite erano: “Convegno d’amore”, “Desiderio”, “ I Lancieri del Bengala”, “E’ arrivata la felicità “, “La conquista del West”. Un film che lo entusiasmava era “Anime sul mare”, diretto da Henry Hathaway.

   Gary Cooper è stato molto fortunato. I primi giorni egli non amava né Hollywood né il cinematografo, Poi ha adorato ambedue. Ci si deve trascorrere molto tempo, ad Hollywood, prima di riuscire a capire la differenza fra la mitica Hollywood, che il mondo immagina e la vera, reale Hollywood.

   Tante sono le pellicole girate da Gary Cooper. Noi ne scegliamo solo sei : “Mezzogiorno di  fuoco” del 1952, di Fred Zinnemann, cineasta di origine austriaca, in cui l’attore interpreta la parte dello sceriffo Will Kane, che si accinge a sposare l’algida fidanzata quacquera Amy (Grace Kelly) e a lasciare le sue funzioni  da sceriffo , quando, in una stracca mattinata del giugno 1865, nel polveroso villaggio del Nuovo Messico, Hadleyville, giunge, con il treno del mezzogiorno,  l’efferato bandito Frank Miller (Ian MacDonald), spalleggiato da altri delinquenti, decisi ad uccidere l’uomo della legge, a suo tempo responsabile dell’arresto, pochi mesi prima, dello stesso Miller.Dilemma morale : occorre fuggire ed evitare il ricorso alla forza (la sua donna, quacquera rifiuta la violenza) o affrontare l’uccisore e i suoi tre accoliti ?  Quando egli deciderà di attendere i delinquenti, scoprirà la codardìa della cittadina.

   Tutto il racconto, condensato in ottantacinque minuti, è formato dalla richiesta infruttuosa dello sceriffo che non subisce che rifiuti fiacchi ed impauriti in risposta alle sue numerose richieste  di sostegno.  Il film si trasforma così in parabola politica, divenendo un apologo antimaccartista appena mascherato,, una critica dell’idea  di comunità. John Wayne aveva d’altronde dichiarato essere stato scioccato dal gesto finale dello sceriffo, che getta la sua stelletta nella polvere, dopo aver trionfato dei banditi.

   Prodotto da Stanley Kramer, specialista dei “films a tesi”, “Mezzogiorno di fuoco” soffre di uno stile pesante, del tutto determinato dal messaggio da assestare. Malgrado il volto di Gary Cooper, bello e già  contrassegnato dall’età, malgrado una musica stordente di Dimitri Tiomkin e una fotografia in bianco e nero sorprendente di Floyd Crosby, il film è vittima di un’ambizione che appesantisce più che non superi le figure imposte. E’, un poco più tardi, con opere firmate Robert Aldrich, Anthony Mann o Samuel Fuller, che il genere western perverrà, negli anni Cinquanta, ad una complessità più convincente.

   “Mezzogiorno di fuoco” è tuttavia divenuto, al di là di queste qualità reali o dei suoi difetti, una sorta di modello canonico del genere, un riferimento assunto. Talvolta negativamente.  Howard Hawks aveva dichiarato di aver realizzato “Rio Bravo” con l’idea di fare il contrario di “ High Noon”. “Per me un buon sceriffo non si metteva a percorrere la città, come un pollo di cui si è tagliata la testa, chiedendo aiuto”. Il film fu anche un riferimento per Sergio Leone. L’inizio di” C’era una volta il West”, quando i tre pistoleri attendono il treno che conduce l’uomo dell’armonica, riprende allungandola fino al burlesco una scena del film di Zinneman.  

    Il film è un classico western dalle colorature psicologiche (e ideologiche) palesemente definite. In un crescendo spasmodico di tensione e di paura, il racconto prima di intollerabile angoscia, poi, via via, disciolto in un progressivo epilogo (la solitudine dello sceriffo, l’ignavia della sleale comunità, la contrarietà della moglie Amy finalmente superate e sublimate dal cruento, vittorioso successo di Kane sui suoi nemici) tocca l’acme di un ammonitore, civilissimo apologo.

    Zinemann fu il realizzatore, un anno più tardi, del prestigioso “Da  qui all’eternità”, che raccoglierà una pioggia di Oscars (miglior film, migliore regia, migliore sceneggiatura, migliore fotografia, migliore attore non protagonista (Frank Sinatra) e  migliore attrice non protagonista (Donna Reed). 

   In “Maschere e pugnali” del 1946, diretto da Fritz Lang, che dal 1941 al 1943 aveva partecipato, in una maniera magistrale, alla propaganda cinematografics hollywoodiana contro il nazismo, Gary Cooper interpreta il ruolo di Alvah Jaspers, professore di fisica, inviato, alcuni mesi prima della fine della seconda guerra mondiale, in Svizzera dai servizi segreti per ritrovare i suoi antichi amici, che i nazisti costringono a lavorare alle loro ricerche atomiche. La messinscena, su soggetto di Albert Matz e di Ring Lardner Jr., future vittime della “caccia alle streghe”, non si lega che  all’essenziale. Ogni sequenza prende il senso di un meccanismo del destino.  Il film metteva in guardia, dopo Hiroshima, contro il pericolo dell’utilizzazione dell’arma nucleare. Però le ultime scene furono sostituite da una fine posticcia, che  deluse il regista.

   In “Sogno di prigioniero” di Henry Hathaway, del 1935, Gary impersona un celebre architetto, Peter, che ritrova nella seducente consorte del duca di Tower la sua compagna di giochi, l’eroina della sua infanzia, a cui aveva giurato eterno amore, lasciata, perché obbligato a abbandonare la Francia alla morte della madre. Una lacerazione brutale. Amore folle ritrovato e subito perduto.  Il destino li separa ancora: nella cella di una prigione, il gentleman romantico ideale, accusato della morte del duca, si consuma nel fondo di una prigione a vita, fin quando scopre che può comunicare tramite il sogno e riprendere con la sua amata il filo della loro passione. Egli continua ad incontrarla in sogno, fino a quando sono colti, entrambi, lo stesso giorno, da morte. Pellicola  ultraromantica e visionaria, che le fa meritare un posto nella storia del cinema. Di questa favola lirica,con sfumatura di fantastico, nell’era del tempo, André Breton scriverà :” E’ un film prodigioso, trionfo del pensiero surrealistico”.    

 “Dove la terra scotta” di Antony Mann, in cui Gary Cooper è un magnico cow-boy, su un argomento esile come un filo, l’intrigo corre con una tale disinvoltura che si tuffa, sin dalla prima immagine, nella magia del grande western di qualità.

   Un fuorilegge pentito è ripreso dal suo passato in occasione di un primo viaggio in treno, nel corso del quale  si fa attaccare da alcuni avventurieri. Abbandonato sui luoghi dell’attacco con Billie, la bella sciantosa dal cuore d’oro ( Julie London) e un baro da saloon (Lee J. Cobb), “L’Uomo dell’Ovest”  trova rifugio nella tana dei banditi che egli ha ben conosciuti…  La sorte dei tre compagni va stranamente a pesare l’una sull’altra, senza altra forma di avventura sentimentale.

   In partenza, si è colpiti dalla figura de “L’Uomo dell’Ovest” (1958), interpretato da Gary Cooper tre anni prima della sua morte : un cow-boy stanco che si vede discendere dalla sua cavalcatura nel cuore di una cittadina, con il solo pensiero di legare il proprio cavallo e di prendere qualche riposo nell’attesa del treno da prendere. Però è ormai impossibile dissociare il personaggio dall’attore. Si è colpiti dalla fatica e dall’invecchiamento in favore dei quali il volto e le attitudini di Gary Cooper sfumano nella psicologia del personaggio che egli interpreta. Egli approfitta senza motivo delle situazioni in cui lo pone Anthony Mann, nel vagone, per esempio, dove si vede il cow-boy magnifico durar molta fatica a sistemare la sua statura nello spazio striminzito dei sedili nuovi di zecca.

   L’assalto al treno, e i faccia a faccia  che si susseguono, si svolgono nel quadro classico di un’azione rigorosa e mirabilmente misurata, ma che non apporta niente di più all’intensità drammatica intessuta nella sensibilità stessa dei personaggi costantemente sotto la minccia dei legami che li lega e dei vasti paesaggi che li circondano. Le strade sono poco aperte, tanto l’ approccio strategico della violenz< è quasi più morale che fisica.

   Un western di stile in cui Gary Cooper accende i suoi ultimi fuochi di “Uomo dell’Ovest” che porta in lui la nostalgia di “Mezzogiorno di fuoco” di Fred Zinnemann, uno dei più grandi westerns di sempre.  Da rivedere, in copia nuova, sul grande schermo e in Cinema-Scope.     

   “Il giardino del diavolo” e  “La conquista del West” sono due pellicole ritenute dagli specialisti delle cime del genere western. Nel secondo film, firmato da Cecil B. DeMille,, girato nel 1936, si trovano particolarmente riuniti i personaggi di Calamity Jane e di” Wild” Bill Hickock, del generale Custer e di Bill Cody, cioè  la maggior parte di quelli che hanno contribuito a costruire la leggenda del Far West. La pellicola  ha un ritmo incalzante e parecchi colpi di scena.     

   Gary Cooper è ormai associato a questa leggenda. “Il Cavaliere del deserto”, “L’Uomo dell’Ovest”, “Mezzogiorno di fuoco” :  non si contano più i suoi ruoli da cow-boys taciturni e di sceriffi disincantati. Una cosa, però, è certa : debuttando nel cinema come cascatore negli anni Venti e recitando fino alla sua morte nel 1961, Gary Cooper è uno dei rari attori  che sia sopravvissuto al film muto. La sua carriera è eccezionale : 91 films e tre premi Oscar.  Ad eccezione di John Ford, tutti i grandi registi americani figurano nella sua filmografia.

  “Coop” non si è limitato al western. Egli ha saputo imporre il suo lungo profilo, i suoi silenzi sinistri, i suoi gesti rapidi e precisi in altri generi, dopo il film da avventure fino alla commedia. Gary è stato legionario in “Beau Geste” e in “Marocco”; volontario per la guerra civile di Spagna, del 1937, in “Per chi suona la campana”, celebre melodramma del mitico Hemingway;  pacifista convinto con “La legge del Signore”, conosciuto anche con il titolo “L’uomo senza fucile”,  e Sergente York. Infine, con l’ “Extravagant Mr. Deeds”, egli simboleggiò l’americano medio, integro, talvolta ingenuo, ma fermamente legato ai valori democratici.

   Questo attore non ebbe a forzare la sua natura per incarnare gli eroi fragili e stanchi. Timido e maldestro, fedele in amicizia come in amore, Gary Cooper non impressiona per la sua forza : egli commuove con le sue debolezze che impongono il rispetto. Prima di essere portato via dal cancro, all’età di sessant’anni, Gary si era convertito al cattolicesimo. “Il mondo ha perduto l’uomo più amato”, dirà allora Marion Morrison, alias John Wayne.

Alfredo Saccoccio

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