Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Historia Regni ci regala informazioni storiche e culturali…nostre

Posted by on Feb 11, 2017

Historia Regni ci regala informazioni storiche e culturali…nostre

L’importanza di un itinerario preistorico

L’importanza di un itinerario turistico preistorico è purtroppo sottovalutata dalle istituzioni e ciò finisce con relegare il grande patrimonio archeologico in un lacerante stato di abbandono e disinteresse.

Proveniente dai continenti d’Africa e d’Asia, il primo ominide, noto come Homo Sapiens, ha lasciato numerose testimonianze della sua attività di caccia e raccolta, ma è l’arte rupestre la sua grande manifestazione culturale e sociale. Arrivato nel Sud Italia alla fine dell’ultima glaciazione, la sua presenza è oggi occasione di scoperta e meraviglia. E’ infatti possibile tracciare un grande itinerario fatto di musei, collezioni, incisioni, rilievi e dipinti che testimoniano la predisposizione dell’essere umano all’espressione artistica già agli albori della storia, dall’età della pietra a quella del ferro.

In Abruzzo questi cacciatori trovarono zone a loro adatte, rivi, torrenti, alti declivi e montagne verdi con buoi, cavalli, cervi e cinghiali. Qui edificarono numerosi villaggi di cui oggi resta qualche traccia; in quello di Ripoli, all’interno di una capanna di frasche intonacata con argilla, è stata trovata una sepoltura con un uomo che giace in posizione rannicchiata con lo scheletro di un cagnolino. Interessanti in territorio abruzzese sono anche la Grotta Graziani nel Parco Nazionale, la Grotta di Ciccio Felice e la Grotta Afra vicino Avezzano dove sono stati trovati numerosi utensili e moltissime schegge di rifiuto; come tacere poi di Alfedena e dei suoi ritrovamenti: un’enorme necropoli con più di 1500 tombe e migliaia di reperti funebri. E’ parso evidente agli studiosi che l’homo sapiens praticasse un seminomadismo spostandosi nelle località montane per periodi brevi e ritornando in pianura con la cattiva stagione. Si stima che questo modo di vivere il territorio proseguì per circa cinquemila anni. Spostandoci lungo la linea appenninica, tra i ritrovamenti paleoantropologici più importanti d’Europa incontriamo il giacimento paleolitico di Isernia La Pineta, in Molise. Qui l’homo aeserniensis, nomade o seminomade, completamente all’oscuro su sistemi agricoli e pastorizia, si muoveva in gruppi composti di non più di venti individui vivendo di caccia. I ritrovamenti sono tutti nel Museo Paleolitico di Isernia, sito nel complesso di Santa Maria delle Monache, compreso un dente da latte di un bambino di cinquecentottantaseimila anni fa. Ancora ci muoviamo lungo l’Appennino giungendo in Campania, nella Grotta di Pertosa, dove sono stati rinvenuti arnesi tipici del mondo pastorale come frullini e bollitori di latte.

Prestiamo la nostra attenzione alla Puglia, dove il manico di utensile ricavato da un femore umano ritrovato a Molfetta fece stupire il mondo scientifico, alla Basilicata, con una visita al Museo Civico Archeologico di Latronico che conserva resti di industrie litiche e su osso, ceramiche dell’età del rame e del neolitico, ed alla Calabria, dove è possibile ammirare le pitture rupestri nella Grotta del Romito di Papasidero, che raffigurano due esemplari di bos primigenius, bovidi incisi nella roccia dodicimila anni fa probabilmente durante un rituale.

In Sicilia si segnalano i villaggi di Megara Hyblaea e di Stentinello, ma anche la Grotta di San Teodoro, dove sono state rinvenute cinque tombe in cui erano stati inumati uomini del paleolitico medio e inferiore con accanto collane di canini di cervi, ma non è l’unico eccezionale ritrovamento nell’isola. Ancora ricordiamo, sul lato nord del Monte Pellegrino alla periferia di Palermo, la Grotta dell’Addaura presenta incisioni molto più complesse di immagini umane non schematizzate ed animali. Singolare è il fatto che il volto degli uomini raffigurati è spesso coperto da una maschera a forma di uccello. Sembrano ballerini-uccello partecipi ad un rituale. Preziose sono anche le incisioni rinvenute nella Grotta di Niscemi con cerbiatti, bovini e cavalli, è però nell’arcipelago delle Egadi, precisamente nelle Grotte dell’isola di Levanzo, che sono stati trovati i più bei reperti del paleolitico di tutta Italia: incisioni e pitture d’uomini e d’animali con una resa visiva incredibile come l’equus hydryntinus, un cavallo dal testone posato su un collo sottile, le zampe corte e sottili, le orecchie piccole e tese.

Una rete di siti potrebbe tutelare e restituire grotte, villaggi e ritrovamenti al loro contesto sociale proteggendole dalla fragilità e dal degrado, soprattutto potrebbe creare dei collegamenti infrastrutturali che valorizzerebbero ogni sito in una organica proposta turistica. Purtroppo è una prospettiva molto lontana.

grotta del romito

 

La cripta di San Felice a Nola

La cripta di San Felice a Nola è testimone di uno dei più forti legami tra una comunità ed il suo santo protettore in Campania. Sebbene la principale devozione dei nolani sia rivolta a San Paolino, l’attaccamento verso San Felice si mostra con lunghe processioni ed affettuose preghiere ed, a quanto pare, è ricambiato con sorprendenti miracoli. Il più celebre accadde il 26 aprile 1872: durante un’eruzione del Vesuvio, la statua di marmo del santo, oggi nella villa comunale, si contorse levando una mano verso la colata lavica ed arginando la nube di ceneri e lapilli che si muoveva in direzione della città.

Questo miracolo però non è l’unico né il più grande.

Il 15 novembre d’ogni anno, infatti, dopo la processione con un busto settecentesco del santo, un prodigio si registra nella cripta: un liquido rugiadoso, detto “manna”, fuoriesce da una fessura del muro oltre il quale è seppellito San Felice. La manna è raccolta in un calice per il suo potere taumaturgico e concesso ai fedeli gravemente ammalati. Il miracolo si ripete anche l’8 dicembre: i fedeli affollano la cripta per vedere la manna sgorgare dal sepolcro di San Felice ed il miracolo è accolto come segno di benevolenza divina.

La cripta è il luogo di sepoltura del protovescovo Felice che subì il martirio nel 95 d.C. ed oggi appare nelle forme della ricostruzione successiva all’incendio del 1861. L’antica struttura è però ben descritta da Ambrogio Leone nel 1514 come “una cappella sotterranea dedicata a San Felice, la quale è coperta da una volta, che poggia sopra file di colonne… Nel lato occidentale di questa cappella vi è un altare e sopra l’altare è collocata una lastra marmorea diritta, bucata e attraversata da un piccolo calice d’argento, dal quale cade scorrendo a gocce un certo liquido quando massimamente incalza il gelo invernale. Questo liquido è chiamato manna e si pensa che sia un umore stillato dal santo, il cui corpo giace nel pozzo. Questo infatti si apre a tergo della lastra marmorea e scende in profondità”. La produzione di tale liquido è un fenomeno abbastanza diffuso tra le tipologie di miracoli. Sebbene chiamato “manna”, esso non ha nulla a che fare con la manna biblica. Si tratta di acqua pura il cui aspetto sorprendente è la produzione che si ripete ad intervalli originandosi da sepolcri o da ossa di santi.

Nel 1577 Papa Gregorio XIII elevò ad altare privilegiato quello della cripta: i defunti per i quali si celebra la messa godono, pertanto, dell’indulgenza plenaria. Indagini archeologiche hanno dimostrato che il luogo di culto sorge in un’area già insediata in epoca romana da una domus, utilizzata dai primi cristiani per pregare nel I secolo d.C., alla quale apparteneva la parete con la lastra marmorea del miracolo. I ruderi, inglobati nella basilica paleocristiana di IV-V secolo, vennero incorporati dalla Cattedrale nel Cinquecento. Più tardivo, probabilmente del XV secolo, è l’affresco raffigurante San Felice in trono ed in atto benedicente. Agli inizi del XX secolo venne realizzato il reliquiario d’argento e ottone che custodisce il calice con cui si raccoglie la manna. Sul lato destro dell’abside, infine, è posto un bassorilievo proveniente dalla cappella della famiglia Cesarini, raffigurante la Madonna con il Bambino tra i Santi Giacomo Apostolo e San Michele Arcangelo, mentre sulla parete orientale, è collocato un bassorilievo marmoreo del XIII secolo raffigurante Cristo tra gli Apostoli.

Autore Angelo D’Ambra

Foto historiaregni.it

 

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