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I femminielli, il terzo sesso, Napoli e la tolleranza

Posted by on Giu 8, 2018

I femminielli, il terzo sesso, Napoli e la tolleranza

“Nell’isola di Sicilia son molti effeminati, et io ne viddi uno in Napoli di pochi peli in barba o quasi niuno; di piccola bocca, di ciglia delicate e dritte, di occhio vergognoso, come donna; la voce debile e sottile non poteva soffrir molta fatica; di collo non fermo, di color bianco, che si mordeva le labra; et insomma con corpo e gesti di femina.

 

Volentieri stava in casa e sempre con una faldiglia [crinolina], come donna attendeva alla cucina et alla conocchia [a filare]; fuggiva gli omini, e conversava con le femine volentieri, e giacendo con loro, era più femina che l’istesse femine; ragionava come femina, e si dava l’articolo femineo sempre [parlava sempre di sé al femminile]: trista me, amara me; et il peggio era, che peggior d’una femina sopportava la nefanda Venere”

Quella riportata è la prima descrizione, in forma scritta, di un femminiello e risale al 1586. La ritroviamo nella “Fisionomia” di Giovan Battista Della Porta

A Napoli ed in generale nel meridione, il terzo sesso ha sempre trovato albergo. Partenope, città dalla storia millenaria, città della Magna Grecia, non l’ha mai negato, dando sempre per scontato che esso è nella natura umana ed è connaturato alla sua storia. Per i Greci, l’ermafrodito era il culmine della meraviglia perché figlio della bellezza, rappresentata dalla dea Afrodite e del dio Ermes, messaggero degli dei e grande amante. Dunque, anche l’omosessuale ha in sé un che di magico che si trasmette nella cultura dei secoli successivi. Tuttavia, vi è di più, a Napoli il terzo sesso è sempre stato non solo tollerato  ma rispettato nel suo ruolo e mostrato senza pudore. Il femminiello è una figura molto presente nei quartieri popolari. Famosissima è la tombola dei femminielli o Tombola Vajassa. Ai femminielli veniva attribuito il dono di portare fortuna, tant’è che venivano posti nelle loro braccia i bambini appena nati come augurio di buona sorte. Durante alcuni particolari tipi di tombolate, gli uomini venivano esclusi dal gioco. Potevano assistere dalla porta o dalla finestra del vascio ma non potevano partecipare al gioco che era riservato alle donne ed ai travestiti. Proprio al femminiello viene affidato il compito di tirare i numeri e di interpretarli, attraverso la smorfia, in una sequela di scene divertenti e sboccate che formano una storia. La figura del travestito è molto presente anche nel folklore popolare, infatti lo ritroviamo nelle tammurriate che si tenevano dopo la visita al santuario della Madonna dell’Arco che, ancora oggi, si svolge ogni lunedì di Pasqua.

Anche la chiesa era tollerante nei confronti del terzo sesso. Un racconto molto suggestivo è quello legato al culto della Madonna di Montevergine o Mamma Schiavona. Si narra che nel 1200, con in corso una violenta bufera di neve, due omosessuali furono scoperti e, per punizione, legati ad un albero, coperti di lastre di ghiaccio. Mamma Schiavona intervenne e con un raggio di sole fece sciogliere il ghiaccio, salvando i due amanti. Da quel giorno, durante la Candelora, le coppie di gay e lesbiche si recano in pellegrinaggio al Santuario di Montevergine per chiedere la benedizione della Madonna e poi, partecipano alla parte pagana della festa, ovvero alle tammurriate ed alle danze.

Il femminiello era sempre ben integrato nel suo quartiere. A volte veniva preso in giro bonariamente ed affettuosamente ma solo per provocare la sua caustica reazione, cui seguiva sempre una divertente battuta a tono. Anche il termine ricchione con cui spesso venivano e vengono chiamati i femminielli è un termine assai antico e per nulla dispregiativo, ha infatti origine spagnola. Fu introdotto, all’inizio del Cinquecento, nella lingua napoletana e deriva dalla  parola orejones, con la quale si indicavano gli omosessuali che, tra gli Inca, si facevano forare ed allungare i lobi delle orecchie come segno distintivo.

Napoli, dunque, che non ha conosciuto né il ghetto né l’Inquisizione, pratica invece un rito ancestrale chiamato la Figliata d”e femminielli, descritta da Curzio Malaparte ne “La Pelle” e nell’omonimo film di Liliana Cavani. Il rito è ancestrale perchè richiama alle antiche pratiche per propiziare la fertilità e la fecondità. Il femminiello non solo inscena la gravidanza ma tutte le dinamiche del parto, interpreta ore ed ore di travaglio, accompagnato dalle litanie di chi assiste. Infine, dà alla luce un figlio di pezza dalle forme falliche, simbolo di fertilità,  accolto con grande gioia dalle donne presenti che offrono dolci in segno di giubilo ai visitatori.

Nell’opera famosissima di Roberto De Simone, La gatta Cenerentola, i femmenielli hanno ruoli di grande importanza. Tra le scene più importanti si ricordano il rosario dei femmenielli ed il suicidio del femminiello.

Altra pratica in uso a Napoli, fino agli anni ’50 del secolo scorso, è il finto matrimonio tra femminielli, con tanto di abiti da cerimonia per gli “sposi”, celebrazioni, invitati e banchetti. La prima testimonianza scritta di uno di questi matrimoni è narrato dallo storico Giovanni Romeo, autore di “Amori proibiti. I concubini tra Chiesa e Inquisizione. Napoli 1563-1656”. Nell’opera si racconta che i primi due matrimoni tra persone dello stesso sesso noti fino a quel momento, furono celebrati a Napoli nel 1591, tra quattro uomini che facevano parte di una Accademia religiosa nella quale questo tipo di amore “proibito” veniva vissuto liberamente.

Per quanto riguarda la repressione di questi comportamenti in età moderna, bisogna ricordare che le leggi sull’omosessualità vigenti nel Regno delle Due Sicilie erano di gran lunga più illuminate di quelle del Regno di Sardegna. Il codice penale al tempo dei Borbone, di omosessuali e omosessualità non faceva alcuna menzione. Condannava diffusamente, con diversi articoli, i reati sessuali quali stupro, sevizie, ratto, violenza su minori, oltraggio al pudore e simili ma non faceva alcun riferimento al sesso dei soggetti. E poiché tutto ciò che non è espressamente proibito è implicitamente permesso, ne consegue che i rapporti tra persone dello stesso sesso consenzienti, erano leciti. Nel codice penale dell’”illuminato” Regno di Sardegna l’omosessualità era considerata un crimine vero e proprio ed era punito dall’articolo  425. Nel 1860, quando fu il momento di estendere il codice penale piemontese al meridione appena conquistato, si scelse di tenerne fuori l’art 425. Evidentemente sembrò incompatibile coi costumi delle popolazioni meridionali, per le quali la pratica era del tutto normale tanto che nessuno nei secoli era riuscito ad estirparla. E così si giunse ad uno straordinario paradosso: la pratica omosessuale fra adulti consenzienti era un crimine a Torino ma non a Napoli, a Milano ma non a Bari, a Bologna ma non a Cosenza, a Cagliari ma non a Palermo. E questo doppio regime durò dal 1860 fino alla promulgazione, nel 1889, del codice Zanardelli creando al sud una sorta di “isola felice” per il terzo sesso

fonte

http://briganti.info/i-femminielli-il-terzo-sesso-napoli-e-la-tolleranza/

 

Foto 2 e 3 di Luciano Ferrara

 

 

 

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