Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

I giorni della guerra nel Basso Lazio

Posted by on Lug 19, 2017

I giorni della guerra nel Basso Lazio

I tragici avvenimenti dell’ultimo conflitto bellico mondiale arrecarono alle popolazioni aurunche ed ausone indicibili lutti e tormenti nelle carni e nello spirito. Tutti i centri del Basso Lazio, olim Terra di Lavoro, vennero terribilmente bombardati e qualcuno di essi quasi raso al suolo.

Dalla pianura del Garigliano 12.000 cannoni investirono, con fuoco sistematico, quasi incessante, le città ed i paesi posti sulle circostanti, nei quali erano annidati i tedeschi, mentre dal golfo di Gaeta le artiglierie navali, a lunga gittata, colpivano, senza soste, le immediate retrovie del fronte. Intere squadre aeree angloamericane scaricarono, senza risparmio, tonnellate di bombe e di spezzoni incendiarii al fosforo.

Il cielo oscurato dagli aerei

Il cielo, in alcuni giorni, era come oscurato da stormi di aerei, di quadrimotori, che si succedevano senza tregua, terribili, come angeli vendicatori. Erano bombardieri pesanti, del tipo “Fortezze volanti” e “Liberator”; bombardieri medii, “Marauder” e “Boston”; cacciabombardieri di scorta, “Lightning”, “Thunderbolt” e “Spitfire”. Gli aerei della RAF, sigla di Royal Air Force, denominazione dell’aviazione militare britannica, giungevano dall’Inghilterra, scaricavano i loro grossi proiettili, ad alto esplosivo, sulla città, proseguivano fino al Nord Africa, dove si rifornivano di altre bombe, da sganciare, nel viaggio di ritorno, su case ed edifici, che si trasformavano in trappole mortali per i civili.

L’esito di questi bombardamenti fu disastroso per molti centri aurunci, soprattutto per Formia e per Itri, i cui abitanti assistevano, il più delle volte, dalle montagne vicine al crollo delle loro abitazioni.

Formia distrutta dalle bombe

Nella città tirrenica i bombardamenti aerei provocarono la distruzione di grandi edifici, soprattutto nelle zona prossima al mare, seminando cumuli di macerie e sangue. Il tragico bilancio di morte si compendia in pochi, scarni e quanto mai significativi dati: 954 vittime, di cui 584 per mitragliamento e per scoppi di mine, 317 per infermità, mentre 53 persone furono fucilate dai tedeschi. Però le sterili cifre non rappresentano per intero il martirio della popolazione formiana.

Questo inferno per la città mamurrana era dovuto al fatto che essa costituiva un nodo stradale di notevole rilevanza strategica, con l’Appia e la direttissima Roma-Napoli, per le truppe germaniche operanti nel Meridione d’Italia. Per le paurose distruzioni, il glorioso gonfalone di Formia, la quale fu occupata il 18 maggio 1944, dal 338° reggimento americano, fu decorato di medaglia d’oro al valore militare, avendo sopportato, nei terribili mesi d’assedio, il maggior numero di morti, dopo la Città Martire di Cassino. Al labaro di Formia fu conferita, come da D. P. R. 16 gennaio 1961, la medaglia d’argento al valore civile, con la seguente motivazione: “Sopportava, con intrepido coraggio e fiero comportamento, ripetuti, violenti bombardamenti che distruggevano la maggior parte del centro abitativo e uccidevano numerosi suoi figli. Teneva, nei confronti del nemico ed eroico contegno, mai piegando nella sua fede in un’Italia migliore”. Nonostante le enormi distruzioni (85% del nucleo abitato), Formia è risorta dalle sue ceneri, novella fenice, legittimando pienamente il suo motto “Post fata resurgo” contenuto nello stemma civico, ideato dal barone Pasquale Mattej nel 1865.

La liberazione di Gaeta

Un notevole tributo di sangue dovette pagare anche Gaeta, liberata, come Itri, il 19 maggio, dal 91° squadrone di esplorazione della 85a Divisione, la cui popolazione ebbe 249 vittime tra militari, marittimi e civili. Il centro tirrenico subì, a causa dell’importanza della base navale e della sua posizione strategica, la distruzione per il 100% delle opere pubbliche e per il 76% delle case; distruzione dovuta ai bombardamenti dal Garigliano, dal cielo e dal mare, che si accanirono contro di essa, per otto mesi, quasi senza sosta.

A Gaeta fu conferita la medaglia d’argento al valore civile, con decreto del Presidente della Repubblica, del 15 febbraio 1961, con la seguente motivazione: “Sopportava con dignitosa fierezza ripetuti, violenti bombardamenti aereo-navali che arrecavano gravi distruzioni agli abitati e uccidevano numerosi suoi figli. Subiva stoicamente crudeli rappresaglie del nemico invasore, mai piegando nella sua fede in un’Italia migliore”.

La nave-officina Quarnaro, cannoneggiata lungamente dai tedeschi, si rovesciò, il 22 settembre 1943, su un fianco e bruciò nel porto di Gaeta, quasi a rinnovare la mitica pira di Caieta, la nutrice di Enea. L’unità venne affondata assieme a pescherecci.

La cittadina di Itri: un cumulo di macerie

La guerra si abbatté, devastatrice, anche su Itri, che dovette subire furiosi, martellanti bombardamenti dall’aviazione alleata, nei quali trovarono la morte 279 persone, con 27 dispersi, procurando lutti e dolori alla popolazione, oltre che rovine nell’abitato.

Itri, uno dei capisaldi più importanti dei tedeschi, fu investito, il 12 dicembre 1943, da violenti bombardamenti da parte degli Alleati (56 aerei e 14 navali, dalla flotta alleata, al largo di Gaeta, che bombarda le vie di comunicazioni tra le divisioni tedesche che combattono in prima linea e le retrovie), che si abbatterono sulle case, sul ponte di San Rocco, sulla chiesa ricettizia dell’Annunziata, sulla stazione ferroviaria, ma soprattutto su un mulino, di proprietà di Francesco Paolo Mancini, che crollò paurosamente procurando molti morti. Allo sganciamento del micidiale carico di bombe, seguirono mitragliamenti a bassa quota, specie sulla via Appia, con l’obiettivo di colpire gli automezzi tedeschi.

Erano le ore 15 del 12 dicembre 1943. La popolazione itrana sopportò con fierezza le continue distruzioni e le tragiche perdite di vite umane. Tra le molte vittime, vi furono anche persone di Gaeta e di Formia, venute a farsi macinare un po’ di grano. Di quei bombardamenti, ce ne dà una testimonianza l’ins. Felice Fargione nell’opuscolo dal titolo “Comune di Itri”: “Un pallido sole di fine autunno inonda il paese circondato da un pauroso silenzio. Alcuni uccellacci volano bassi e il cane abbaia sull’uscio di una vecchia casa, quasi a preannunciare una grave sciagura. Nel cielo un ronzìo minaccioso lascia capire che gli aerei sorvolano Itri. La morte si presenta inesorabile e inaspettata. Ancora un bombardamento; ma questa volta un violento bombardamento a tappeto si abbatte sulla città e in alcuni punti, di tante case non rimane che qualche troncone di muro. Al mulino madri, figli, spose si stringono intorno all’uomo anziano, mentre le robuste mura si sgretolano sotto l’infuriare della bufera. Dalle porte e dalle finestre entrano folate di polvere che rendono l’aria irrespirabile; poi un colossale frastuono e le urla disperate dei feriti. L’uragano cessa e gli aerei si allontanano rombando lungo la via Appia per portare altrove la distruzione e la morte. Sulla città sconvolta piomba un grande silenzio interrotto soltanto da fievoli lamenti: sono i sepolti vivi che si spengono senza che nessuno possa aiutarli”.

Alfredo Saccoccio

 

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