Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

I luoghi della memoria – 9

Posted by on Ott 11, 2017

I luoghi della memoria – 9

NOTA : Prima di parlare dell’ultima serie di giochi dobbiamo rettificare il vocabolo in vernacolo riportato sotto il gioco dello Stecco nella sabbia. Il termine esatto, infatti, non è ‘a mozzarella (latticino), bensì ‘a mozzarella ossia piccola mazza o bastoncino.

 

PALLA AVVELENATA      Anche se, in linea di massima, il gioco non aveva connotazioni di sesso, esso era tacitamente considerato come gioco riservato più alle ragazze, mentre i ragazzi gli preferivano il gioco del calcio, che non ha bisogno né di presentazione né di spiegazioni. Per realizzare il gioco occorreva solo una palla, dato che un muro dove farla rimbalzare non era difficile da trovare. Con la conta o con qualunque altro sistema si individuava il primo battitore. Questi lanciava la palla contro il muro e contemporaneamente chiamava per nome uno dei partecipanti che gli stavano intorno. Il chiamato doveva afferrare la palla che il primo battitore aveva fatto rimbalzare contro il muro, mentre tutti gli altri giocatori cercavano di allontanarsi  il più  possibile . Nel momento in cui il chiamato era riuscito ad entrare in possesso della palla gli altri giocatori non avevano più la facoltà di fuggire e dovevano rimanere immobili come statue. Il detentore della palla  poteva avanzare di tre passi e lanciarla contro una delle statue, cercando di colpirla; questa, però, senza spostarsi con i piedi ,  ma con semplici movimenti di torsione o flessione, poteva tentare di non farsi colpire . Qualora non ci fosse riuscita, veniva eliminata e costretta ad abbandonare il gioco. In questo modo tutti i venivano eliminati uno ad uno, e vinceva chi rimaneva per ultimo

LA CAVALLINA –   Era, forse, il gioco più diffuso, perché per metterlo in essere era sufficiente solo un invito. Trovate le persone disponibili, ne veniva designata una che si metteva con la schiena curva e le mani sulle ginocchia. Il resto della comitiva, a turno, con una breve rincorsa e poggiando le mani sulla schiena del giocatore chino, gli saltava sulle spalle come se fosse un quadrupede.    Di questo gioco esistevano diverse varianti: quella detta “spagnola” (pochi giocatori a circa 5 metri di distanza l’uno dall’altro e tutti rivolti in avanti anziché essere posizionati di lato), quella del “cavallo pazzo” (pochi giocatori a circa 10 metri di distanza l’uno dall’altro. Quando chi si trovava chino veniva saltato dal compagno, si alzava, gli saliva sulle spalle e a cavalluccio si faceva portare verso il compagno successivo), la variante “simultanea” dove tutti, appena effettuato il salto, anziché mettersi proni in attesa di essere saltati, saltavano, dando origine ad una struttura in continuo movimento.

UNO, MONTA LA LUNA Per le molte analogie col precedente, questo gioco potrebbe addirittura considerarsi una sua ulteriore variante.     Mediante la conta o altro sistema, veniva scelto chi doveva stare sotto. Questi si metteva piegato con le mani appoggiate sulle ginocchia e gli altri concorrenti gli saltavano addosso lateralmente. Tutto il gioco comprendeva una serie di quindici salti e ad ogni salto si dovevano pronunciare alcune frasi e si dovevano compiere alcuni gesti. La serie si apriva con tre salti normali (cioè senza compiere alcuna azione) e con i saltatori che pronunciavano in successione le frasi : “Uno, monta la luna”; “Due, monta il bue”, “Tre, la figlia del re”. Dopo il terzo salto e la terza frase, i salti successivi, accompagnati da frasi ad hoc, prevedevano una sculacciata a chi stava chino, un calcio nel sedere, poggiare i pugni anziché il palmo della mano sulla schiena di chi stava sotto, la raccolta di qualche oggetto sistemato in precedenza al di là della persona che veniva saltata, ecc. Al quindicesimo salto si doveva rimanere in cerchio vicino al saltato, perché, quest’ultimo, per liberarsi e non andare di nuovo “ sotto “, cercava di acchiappare uno qualsiasi dei compagni che andava a finire a sua volta “sotto“. Nel caso non fosse riuscito a catturare nessuno, andava di nuovo sotto ed il gioco ricominciava.

 

 UN, DUE, TRE … STELLA !!! –      Gioco riservato esclusivamente alle donne ed ai bambini più piccoli. Si designava col solito metodo della conta o con la recita di qualche filastrocca chi doveva andare sotto. La persona designata si piazzava ad una decina di metri di distanza dal gruppo, gli girava le spalle e dopo alcuni secondi, pronunziando la frase “Un, due, tre… Stella!!!”, si girava di scatto. Chi non riusciva a farsi trovare immobile, alla prima volta, veniva fatto mettere nelle ultime posizioni; alla seconda volta, veniva messo fuori. Queste penalità, però, non valevano solo per chi veniva sorpreso in movimento, ma anche per quelli che, con qualunque mezzo a disposizione (ma senza toccarli), chi stava “sotto” riusciva a far ridere, a far parlare o a fare qualunque cosa che perturbasse la condizione di immobilità delle “statue”.

GIROTONDO –      Classico gioco per i bambini più piccoli (quelli della scuola d’infanzia o dei primi anni delle elementari). Si svolgeva di solito nei cortili delle scuole e vi partecipavano sia bambini che bambine. Il gioco consisteva nel formare un grande cerchio umano,   tenendosi per mano. Ad un certo momento, all’avvio solitamente dato dalla maestra, i bambini cominciavano a girare in tondo sempre nello stesso verso, cantando la seguente filastrocca: “Giro, giro tondo casca il mondo, casca la terra, tutti giù per terra”,   alla fine della quale ognuno si doveva sedere velocemente per terra. Perdeva chi era l’ultimo a sedersi.

IL GIOCO DELLA SETTIMANA (Campana o Mondo) –

Anche questo era un gioco riservato esclusivamente alle donne. Guai a quel maschietto che fosse stato sorpreso a praticare questo gioco! Era meglio per lui cambiare quartiere! Era un  gioco di movimento che  richiedeva agilità ed equilibrio. Si giocava in  due o più persone, le quali dovevano munirsi  di un sasso non troppo grosso che dovevano  lanciare nelle caselle  del percorso secondo delle regole. A seconda delle caratteristiche del luogo, con dei gessetti o degli stili, si disegnavano o si incidevano a terra o su un marciapiede le caselle del gioco, tracciando al loro interno i numeri da uno a sette.

Regole del gioco:

  1. a) il giocatore doveva lanciare il sasso iniziando dal primo   giorno della settimana;
  2. b) il sasso lanciato non doveva toccare le linee di separazione delle caselle;
  3. c) chi saltellando toccava con il piede le linee di separazione delle caselle, doveva lasciare il proprio turno ad un altro giocatore;
  4. d) qualsiasi errore commesso dal giocatore o con il sasso riportava il concorrente al punto di partenza;
  5. e) vinceva chi per primo riusciva a raggiungere il settimo giorno della settimana e riusciva a tornare indietro senza commettere alcun errore.

I turni venivano stabiliti come per gli altri giochi.  Il concorrente che vinceva lanciava il sasso sul primo giorno della settimana, entrava dentro la casella, saltellando su un solo piede, si chinava a raccogliere il sasso e sempre saltellando tornava indietro senza toccare le linee delle caselle. La difficoltà aumentava man mano che si andava avanti  con i giorni della settimana. Ci voleva, infatti,  un’ottima mira per riuscire a centrare il quinto,  il sesto e il settimo giorno.

Era consentito riposare sui due piedi soltanto nell’ultima casella senza numero e nel caso di errore si ricomincia dal numero uno. Vinceva chi riusciva per primo ad effettuare tutto il percorso.

LE BIGLIE Erano delle sfere di vetro all’interno delle quali vi erano caratteristiche striature multicolori. Con esse si potevano fare dozzine di giochi diversi. Il più conosciuto era quello della buca.      Il gioco richiedeva una discreta mira e molta calma e  consisteva nel colpire le biglie degli avversari. Tutte le biglie che venivano colpite diventavano di proprietà di chi aveva effettuato il tiro. Per il diritto al tiro, però, bisognava far entrare la propria biglia in una buca  precedentemente preparata. All’inizio, a turno,  si tirava la propria biglia, colpendola con il pollice o l’indice, e si cercava di entrare in buca. Chi riusciva ad entrarvi poteva,  con un tiro successivo,  mirare alle altre biglie tirando la sua dal bordo della tana oppure verticalmente. Il giocatore si poneva presso una biglia avversaria qualsiasi e lasciva cadere la propria biglia dall’altezza del torace (Era un po’ come il lancio “a coppamano” di cui s’è detto a proposito del gioco delle “castelle”). Se riusciva a colpirla guadagnava la biglia avversaria e continuava il gioco, in caso contrario il gioco passava agli altri giocatori. Ad ogni tiro era consentito di spostare in avanti la propria biglia di una spanna.

 

LE CINQUE PIETRE   Per questo gioco occorrevano cinque sassolini, preferibilmente sferici. Dopo averli buttati per terra abbastanza vicini, stando seduti, se ne prendeva uno e lo si lanciava in aria e nel frattempo, con la stessa mano,  se ne raccoglieva un altro, poi si riprendeva al volo il primo e lo si metteva da parte. Lo stesso gesto andava ripetuto per ognuno degli altri sassolini (4 volte in totale). Al secondo giro si raccoglievano sia alla prima che alla seconda presa due sassolini alla volta,  sempre lanciandone uno in aria. Al terzo giro se ne raccoglievano alla prima presa tre a alla seconda l’unico rimasto per terra. Al quarto giro si raccoglievano,  in una sola presa, sempre lanciandone uno, tutti e cinque i sassolini. Al quinto giro si lanciavano in aria tutti i cinque sassolini e si dovevano riprendere sul dorso teso della mano. Quando si sbagliava a raccoglierli si passava ad un altro giocatore. Vinceva chi riusciva a completare il gioco senza uno sbaglio.

IL SALTO CON LA CORDA – Era un gioco all’aperto, rigorosamente riservato alle ragazze, che si poteva fare da soli o in compagnia. Se si era da soli, si prendeva con le mani una corda di circa due metri per le estremità e la si faceva roteare intorno a se stessi, o da dietro in avanti o viceversa. Quando la corda arrivava vicino ai piedi, per evitare di inciampare, si faceva un saltino e così via, e sempre più velocemente, per le volte successive. Se invece si era in molti, due concorrenti reggevano la corda e gli altri saltavano tutti insieme.

 

RUBABANDIERA – Giocatori : 11 o più di 11. Il campo di gioco doveva essere grande circa come un campo da tennis diviso a metà da una linea. Un prato andava benissimo, ma anche una strada. Con una conta si decideva chi dovesse fare il “porta bandiera” e poi si formavano due squadre (ogni squadra composta di almeno 5 giocatori). Il “porta bandiera” si metteva a un’ estremità della linea al centro del campo di gioco. Le squadre, invece, in fila l’una di fronte all’altra, distanti ognuna circa 15 passi dalla linea al centro del campo. Ogni giocatore aveva un numero, che cambiava a seconda della posizione occupata nella fila. Ad esempio: i primi della fila delle due squadre erano i numeri 1, i secondi, i numeri 2, e così via. Il “porta bandiera” teneva la bandiera (un fazzoletto bello grande) con il braccio teso e chiamava un numero a caso: due! I numeri 2 delle due squadre dovevano scattare in avanti, raggiungere la bandiera senza superare la linea che divideva il campo (altrimenti venivano eliminati) cercare di prendere la bandiera prima dell’avversario e tornare di corsa al proprio posto senza mai farsi toccare dall’avversario durante l’inseguimento. Conquistava un punto per la propria squadra chi riusciva ad impossessarsi della bandiera tornando al proprio posto senza farsi prendere. Se invece veniva raggiunto prima di mettersi in salvo, il punto veniva assegnato all’altra squadra. A questo punto i giocatori riprendevano il proprio posto nelle rispettive file e il “porta bandiera” chiamava un’altra coppia. Vinceva la squadra che raggiungeva per prima almeno 15 punti. Attenzione non bisognava toccare l’avversario prima che quest’ultimo avesse preso il fazzoletto in mano, pena la perdita del punto.

TAPPI – Il gioco dei tappi consisteva nel tracciare una pista per terra con curve e rettilinei posizionando all’inizio della pista dei tappi. Ogni bambino che possedeva un tappo aveva diritto ad un tiro ad ogni turno. Lo scopo era quello di arrivare primi al traguardo. Il tiro si effettuava spingendo il tappo con uno scatto dell’indice. Se il giocatore tirava il tappo al di fuori della pista si tornava indietro rincominciando dall’ultimo tiro effettuato.

SCUPIDU’ – In effetti non si poteva dire che lo scupidù fosse un gioco nel senso letterale della parola. Esso, infatti, era più un passatempo individuale, un po’ come l’uncinetto delle nonne. Consisteva in un semplice intreccio di fili di colore diverso, che, alla fine, davano un prodotto a sezione tonda o quadra. Si usavano dei cavi sottili di nylon, spago, corde delle sedie, cavi elettrici o telefonici, ecc. L’impiego finale era quello di servirsene come portachiavi o porta ciondoli.

 

Castrese L. Schiano

 

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