Alta Terra di Lavoro

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I problemi del Sud e la questione identitaria di Fiorentino Bevilacqua

Posted by on Set 24, 2019

I problemi del Sud e la questione identitaria              di Fiorentino Bevilacqua

Il Sud della Penisola ha dei problemi noti a tutti, Meridionali, Padani e non solo.

Sulla soluzione di questi problemi, appuratene le origini storiche, e tutto quello che da esse è seguito fino ad oggi, qui da noi ci sono, mi sembra di capire, due diverse linee di pensiero.

La prima linea di pensiero. Secondo gran parte del mondo revisionista (revisionismo che porta, ma non necessariamente, ad essere Borbonici, Neoborbonici, Duosiciliani etc.  – ma si tratta di termini ancora non ben definiti –), non ci può essere riscatto dalla situazione attuale, se non attraverso il recupero dell’Identità di Popolo (anche questa molto “variegata” e da definire meglio).

Sembra impossibile, agli assertori di questa tesi, il vero riscatto, senza il recupero della propria identità di Popolo.

L’altra linea. La soluzione ci può essere, invece, anche non recuperando l’identità di Popolo o attraverso un suo recupero annacquato, sembrano suggerire le soluzioni più “laiche”, politiche o aspiranti tali.

La demarcazione tra queste due linee è diventata ancora più evidente da quando è nato il Movimento di Pino Aprile (M24A) e, prima ancora, da quando il Movimento 5 Stelle ha intercettato parte del malcontento degli abitanti del Sud.

Resta fermo il fatto che, non identificando le vere cause dei problemi (sia storiche che attuali), non ci possa essere vera soluzione (“Chi sbaglia storia, sbaglia politica”, scriveva Giovanni Cantoni).

Talvolta, gli identitari sostenitori della prima linea di azione, tacciano di impazienza (o, addirittura, di tradimento) i sostenitori della seconda, quella “laica”, quella del “pur di risolvere i problemi più impellenti e per evitare che, a quelli che già ci sono, se ne aggiungano altri, partiamo anche se, in quanto a identità, c’è ancora molto da fare, masse da educare, increduli da convincere, dubbiosi da confortare”.

L’impazienza, leggiamo, è lo “stato d’animo di chi è insofferente per cosa che lo irriti o molesti o di chi è ansioso per il desiderio o l’attesa di cosa che tarda”1.

Chi ha qualcosa che lo disturba, lo irrita e che non è più capace di sopportare, tollerare, facendo finta di niente, qualcosa che, comunque, non gli causa “danno”, è già definibile impaziente.

Chi, invece, è in una situazione che gli causa nocumento, è ovviamente irritato, quindi è già definibile impaziente, ma a questa impazienza se ne aggiunge un’altra, legittima, logica: quella di veder eliminata quanto prima la causa dello stato di sofferenza. Costui, è impaziente due volte e la seconda impazienza è più motivata, se vogliamo, più intensa e meno … contestabile della prima.

Ovviamente, anche chi non sta “male”, può avere ansia di cambiare (per stare ancora meglio, in questo caso) e, dunque, è definibile impaziente.

Ma in un meridionale che ha scoperto le cause storiche e recenti del suo stato, sono presenti entrambi i tipi di impazienza, che si continuano, se vogliamo, l’uno nell’altro: egli non può non essere irritato e insofferente per lo stato attuale di cui ha scoperto le cause e, poi, come è giusto che sia, desidera cambiare questo stato tanto da diventare ansioso che ciò avvenga.

Il desiderio di cambiamento, però, può essere vago o intenso, a seconda delle condizioni reali di chi lo prova.

Un signore (duosiciliano, neoborbonico, meridionalista che sa la storia etc) alle soglie della pensione, o già a riposo dal lavoro, o ancora al lavoro in modo sicuro, stabile, garantito, può anche sentirsi irritato, insofferente senza provare l’ansia che cambi ciò in cui, comunque, egli ha una buona “nicchia”2; colui che, invece, non avendo una posizione attuale e/o futura stabile, per sé o per i suoi figli, è irritato sì, ma anche necessariamente e obbligatoriamente ansioso (a meno che il naufragare in questo mar non gli sia dolce) di vedere realizzato il cambiamento da cui si aspetta il miglioramento sostanziale di cui ha bisogno.

Questo secondo tipo di impazienza, è riscontrabile anche fra coloro che non sanno, ma soffrono per una situazione pesante, negativa, di cui, però, ignorano le cause storiche e attuali.

Ai primi (impazienti perché irritati, ma con buona nicchia), si può chiedere di pazientare, di calmare la forse poca ansia di cambiamento che hanno; ai secondi no.

Questa differenza, credo fondamentale, dovrebbe indurre un Identitario (qualunque cosa di preciso ciò significhi) ad essere … paziente nei confronti degli “impazienti da ansia di cambiamento”, quelli, cioè, che sono disposti a mettere temporaneamente in secondo piano la ricerca e la diffusione dell’identità storica, sociale, culturale pur di vedere risolti i problemi da cui sono afflitti.

In questa ottica, anche in questa ottica, le iniziative di tipo laico, poco identitarie, sono accettabilissime.

L’alternativa? Il voto di chi ha bisogno alla lega nordista, la preghiera con il Rosario in mano etc.

È come in una ricostruzione post bellica: bisogna fare, agire, costruire e ricostruire e c’è poco tempo per le sottigliezze ideologiche. È vero: c’è pur sempre chi cerca di incanalare questa attività in un filone anziché in un altro…ma è un rischio che bisogna correre in una situazione come quella attuale in cui la ormai ristretta, risicata coperta, viene tirata ancor di più sulle gambe del più forte.

Due post di questa mattina riassumono bene, a titolo di esempio, il momento attuale.

Il primo riporta l’encomiabile impegno di Domenico Iannantuoni per la chiusura del museo Lombroso; il secondo, quello di Saverio De Bonis, tratta del ventilato proposito governativo di togliere le agevolazioni sul gasolio agricolo, del conseguente aggravio dei costi dell’agricoltura e del necessario impegno affinché ciò non avvenga.

Ecco: nella vita di un meridionale di oggi (per cosciente o meno che sia della vera storia) sono necessarie entrambe le cose.

Questo, secondo me, giustifica la nascita e l’appoggio anche a movimenti che vogliono agire sul piano più prettamente politico.

In caso contrario potremmo apparire, quanto meno, come quei medici del proverbio, quelli che erano intenti a discutere al capezzale dell’ammalato che, intanto, si aggravava.

Certo, sarebbe auspicabile che il recupero dell’identità e l’azione politica si fondessero in un unico soggetto. Ma i Movimenti Identitari o Revisionisti di oggi sono decine e decine, ognuno convinto della propria linea e geloso della propria autonomia.

Non si vede, in essi e per ora, un unico moto unificatore (al posto dei due, tre noti) che è il primo passo per un’azione politica, comune e di sperabile successo.

Dunque?

Chissà che un movimento laico, poco identitario, non possa rappresentare anche una spinta all’unificazione delle forze non laiche.

Una sorta di sasso che, lanciato in uno stagno, finisce per generare onde anche in quello vicino.

Fiorentino Bevilacqua

24/09/2019

………………………………………… 

  1. http://www.treccani.it/vocabolario/impazienza/
https://it.wikipedia.org/wiki/Nicchia_ecologica

1 Comment

  1. dopo aver letto l’approfondita analisi di comportamenti, a mio avviso al momento attuale un primo passo verso l’obiettivo finale, che è la felicità di un popolo, può essere l’affermazione delle autonomie regionali che è argomento di cui si parla non solo al nord… lo dico da veneta indipendentista convinta e sempre comunque fiduciosa… caterina ossi

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