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Il dominio dei togati nelle Due Sicilie

Posted by on Apr 22, 2018

Il dominio dei togati nelle Due Sicilie

Perchè possiamo parlare d’un vero e proprio dominio dei togati nelle Due Sicilie?

Se la posizione geografica del Regno di Napoli aveva imposto alla Corona spagnola una duplice linea di governo, lasciando la gestione della periferia alla feudalità e la gestione del centro ai ‘legali’, può ben dirsi che la direzione politica fu affidata a pieno titolo agli uomini di toga.

L’ideologia e la tecnica giurisprudenziale servirono a ridurre il peso politico dell’aristocrazia e dell’antica Curia Regis, e nello stesso tempo a rafforzare l’assolutismo regalistico. La funzione svolta dai giuristi a Napoli fu spiccatamente politica, nel senso che fu utilizzato il ricco strumentario giuridico per seguire percorsi di gestione completamente autonomi dalle direttive regie.

A Napoli per la lontananza del re e della corte, i doctores e le grandi corti di giustizia procedevano senza controlli, autonomamente, e le garanzie giuridiche si avviavano a diventare inesistenti o meramente formali. Come era avvenuto già in Francia nel 1614, così a Napoli dopo il 1642 gli organi della rappresentanza cetuale, Stati generali e Parlamento, non furono più convocati. Il ‘popolo’, inteso in senso molto lato e in tutte le sue articolazioni, non venne proprio più sentito. Per gli alti magistrati napoletani, l’esercizio della funzione giurisdizionali divenne sinonimo di gestione del potere. Autorevoli giuristi quali, Matteo d’Afflitto e poi Vincenzo de Franchis, entrambi membri del Sacro Regio Consiglio, radicali: sostennero con vigore già nel secolo XVI, assunsero posizioni decise e il valore legislativo delle decisioni del supremo tribunale napoletano. Le delibere di quell’organo dovevano prevalere anche sulle prammatiche regie se si fosse riscontrato al riguardo un contrasto o un dubbio. Tale assunto trovava fondamento teorico in un’attività di permanente interpretazione autentica, in quanto i magistrati erano rappresentanti del sovrano.

L’atteggiamento riottoso dell’aristocrazia napoletana di fronte allo strapotere dei togati, le continue rivendicazioni cetuali e, fondamentalmente, il rifiuto delle istituzioni preburocratiche sorte con lo Stato moderno, furono situazioni che vennero sopite in via definitiva soltanto dopo la rivoluzione costituzionale del 1647-1648, più nota come la rivoluzione napoletana di Masaniello. Fu a seguito di quest’avvenimento che si confermò definitivamente il primato politico del ministero togato. Prima di tale evento, in verità, la situazione era cambiata.

Molti esponenti del ceto aristocratico cercarono di recuperare posizioni di potere, rinunciando ad una restaurazione cavalleresca ed inserendosi completamente nelle strutture della res publica dei togati.

Innanzitutto si dedicarono allo studio del diritto e divennero dottori. Fu l’estremo tentativo per l’aristocrazia napoletana di inserirsi nella gestione del potere.

L’operazione riuscì ma il possesso della competenza legale, requisito indispensabile per accedere ai vertici del potere, finiva per snaturare il ruolo stesso dell’aristocrazia e per, in ultima analisi, confermare, la crisi ormai matura del potere nobiliare all’interno del Regno di Napoli.

Autore articolo: Davide Alessandra

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