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Il governo dei Nobili a Napoli: Autonomismo, decentramento, partecipazione governativa dei Seggi cittadini. (seconda parte)

Posted by on Set 12, 2017

Il governo dei Nobili a Napoli: Autonomismo, decentramento, partecipazione governativa dei Seggi cittadini. (seconda parte)

Alcuni anni prima, tra l’altro, nel 1535-36, passando l’imperatore Carlo V per Napoli, furono accolte le proteste dei principali esponenti dell’aristocrazia cittadina verso il governo autorevole ed energico di detto viceré Pietro de Toledo, per il quale se ne chiedeva la destituzione dalla carica.

Il viceré, non solo fu confermato, ma si acuirono con maggior durezza i rapporti con le rappresentanze del Regno, del Parlamento, delle città e degli eletti, causa anche l’intensificarsi del prelievo straordinario (donativi), in seguito alle delibere di varie assemblee(9).
In proseguo, con l’accendersi dei moti del 1547 contro il tribunale dell’Inquisizione spagnola [L’imperatore Carlo V ordinò al vicerè di introdurre “l’inquisizione a modo di Spagna” che fu presentata dal Breve apostolico a mezzo di editto, affisso “alla porta del Duomo”.
La reazione della città fu immediata tanto che “minacciò il vicario dell’Arcivescovo”. Gli eletti “riunirono i nobili ed i popolani..e si decise di mandare una deputazione – tra cui vi era Antonio Grisone – dal vicerè Pietro di Toledo” che calmò gli animi con promesse ingannevoli.
Al secondo tentativo del 21 maggio di riaffissione dei “cedoloni” sull’Inquisizione, il popolo corse alle armi “col suono della campana di S.Lorenzo”, raccogliendosi in piazza S. Agostino.
”I nobili allora mossi dal comune pericolo si riunirono a’ plebei loro diedero il nome di fratelli, e fecero con loro causa comune
(10).
Il viceré Toledo raccolse circa tremila spagnoli nei castelli per soffocare nel sangue la rivolta scoppiata nell’urbe. La situazione precipitò quando tre “algozzini”(sbirri) del Tribunale della Vicaria furono attaccati da un gruppetto di giovani nobili, intenzionati a liberare un prigioniero accusato dall’Inquisizione. Il vicerè Toledo li fece arrestare e “ne fece scannare tre in pubblico” (Fabrizio d’Alessandro, Antonio Villamarino, Gio. Luigi Capuano) da uno schiavo moro nella piazza di Castelnuovo.
Subito dopo, il Toledo cavalcò impavido per la città con uno stuolo di spagnoli a segno di sfida, nello sdegno di tutta la cittadinanza. Il popolo con i nobili si unirono nell’associazione detta Unione” (retta da Cesare Mormile, il priore di Bari, l’Eletto Giovanni Di Sessa) per contrastare il viceré, organizzando ambascerie presso l’imperatore Carlo V e fortificazioni difensive in S. Maria la Nova ed a Monteoliveto.
Numerosi furono i cruenti combattimenti contro gli spagnoli, tanto da costringerli a ritirarsi nei castelli. Per evitare il precipitare delle contestazioni, Carlo V decretò l’abolizione dell’Inquisizione, garantendo promesse di amnistia, poi non rispettate.
Tra i giustiziati vi furono Giovanni Vincenzo Brancaccio (11).], si presentò, nuovamente, l’unione tra ceto nobiliare e popolare. Alla guida della rivolta si pose, ancora una volta, un Sanseverino, dichiaratosi acerrimo nemico del Toledo. Scoppiarono in città violenti tumulti di piazza, che videro così uniti i rappresentanti delle piazze aristocratiche con il popolo contro le truppe spagnole, a causa degli esemplari castighi inflitti dal viceré. Detto principe Ferrante Sanseverino ed altri patrizi si offrirono, poi, alla causa rivoluzionaria quali ambasciatori presso l’imperatore Carlo V, che però confermò l’obbedienza al governo vicereale.
Questo nuovo episodio di difesa e salvaguardia dei princìpi di indipendenza ed autonomia politica, goduti dalla schiatta napoletana e dalla rispettiva città, si concluse con sanguinosi processi, una pesante ammenda da pagare e varie condanne…..

ltro tentativo di rivendicazione indipendentista fu quello relativo ai tumulti per il “mancamento del pane” nel maggio 1585. La causa scatenante fu un’imprevista carestia di grano, le cui riserve erano state esportate in grande quantità in Spagna per volere del re.
Gran parte degli eletti, il prefetto dell’annona ed i sindaci proposero di fronteggiare la crisi, diminuendo la materia prima nella panificazione, pur mantenendo inalterati i prezzi. Vi si oppose l’eletto del Popolo, Giovan Vincenzo Starace, ritenendo tale proposta una manovra speculativa basata su una frode alimentare, che avvantaggiava le categorie dei feudatari-latifondisti, dei commercianti, panificatori e bottegai. I disordini contro gli spagnoli portarono alla morte straziante del suddetto eletto per mano dello stesso spietato popolo, preoccupato per la crescente situazione di disagio. In questo tumulto la nobiltà tentò di “calmare” il popolo, cercando -su consiglio governativo- di persuaderlo dal compiere atti vandalici e violenti, nonostante l’offesa subita dal viceré in una festa cittadina, ove i posti più onorevoli furono riservati agli spagnoli(12). Questo episodio di cruenta contestazione, rispetto a quelli passati, contro il governo complice del viceré, Pietro Giron duca di Ossuna, vide quali principali protagonisti i diversi settori della borghesia cittadina, accorta al bisogno di riforme e di equiparazione al rango dei nobili [Tra gli incolpati, protagonisti della ribellione, il droghiere Gianlionardo Pisano, la cui casa in piazza della Sellaria fu rasa al suolo e vi fu “piantato un epitaffio di marmo..ed alquante finestrine, con alquante finestre, con le graticole di ferro, vi fe’ metter dentro più di venti teste, con molte delle mani di quei miseri, che furono per tal causa impiccati” (13) ].
Questa classe media emergente si rese altrettanto complice nella rivolta politica di Masaniello del 1647, per rivendicare una riforma nell’ordinamento amministrativo cittadino “tutto sbilanciato a favore del patriziato urbano raccolto nei seggi nobili(14). L’esplosione popolare si manifestò con il tentativo governativo di imporre nuove tasse, tra cui il dazio sul consumo della frutta, il cui casotto fu dato alle fiamme in piazza Mercato nella notte dell’Ascensione (6 giugno 1647). Il pescivendolo Masaniello si trovò a capo delle scorribande e degli assalti successivi contro i simboli ed i rappresentanti delle gabelle, ricevendo sostegno da vari ispiratori, come Giulio Genoino, rappresentante dei gruppi nobiliari antispagnoli, nonché dagli “occulti conspiratori” (15).

Ettore d’Alessandro di Pescolanciano

fonte

nobili-napoletani.it

Napoli - Piazza San Gaetano Gli stemmi dei Sedili o Seggi di Napoli sulla facciata ingresso Museo Opere di San Lorenzo e Scavi, già sede del Tribunale di San Lorenzo.

Napoli – Piazza San Gaetano
Gli stemmi dei Sedili o Seggi di Napoli sulla facciata ingresso Museo
Opere di San Lorenzo e Scavi, già sede del Tribunale di San Lorenzo.

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