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Il governo dei Nobili a Napoli: Autonomismo, decentramento, partecipazione governativa dei Seggi cittadini. (terza parte)

Posted by on Set 14, 2017

Il governo dei Nobili a Napoli: Autonomismo, decentramento, partecipazione governativa dei Seggi cittadini. (terza parte)

……..Lo stesso cercò, pure, il sostegno di Don Tiberio Caraffa, duca di Bisignano e maestro di campo del battaglione di Napoli, perché “compassionevole e della plebe amico(16). Altri nobili, invece, si attivarono per far rientrare la sommossa, avanzando “larghe promesse…o con ampie concessioni scritte”, come nel caso del principe di Satriano, di Bisignano e di Montesarchio.

Tra l’altro, su questa vicenda dell’aggravio fiscale, anche i seggi presero posizioni discordanti. Secondo il citato studioso Bisaccioni, i sedili di Nido e Capuana si mostrarono attivamente contrari alle nuove imposizioni, pur rimanendo fedeli al viceré, duca d’Arcos. Questa fedeltà fu così riconosciuta nei capitoli del 7 settembre, postumi ai moti, allorquando si sancì l’interdizione dalle cariche pubbliche al solo patriziato di Porto, Montagna e Portanuova per la loro partecipazione ai moti. E’, inoltre, utile per meglio comprendere la posizione politica oligarchica della nobiltà partenopea, citare la “Regale Repubblica” di Napoli, sorta posteriormente al tumulto tra la fine del 1647 ed il 1648 sotto la protezione del re di Francia [Lo studioso Conti(17) riferisce dell’esistenza di vari bandi emessi, tra l’ottobre 1647 e l’aprile 1648, dal “Fidelissimo Popolo” napoletano, di cui quello datato 17 ottobre 1647 riguarda l’appello ai vari regni per combattere la Spagna.
Altro del 22/24 ottobre cita la costituita repubblica per la quale “questo Regno Repubblica, acciò niuno Re, Monarca o Regulo possi havere altra pretensione”.  Al duca di Guisa fu conferita carica di “Generale dell’armi” della repubblica e “Difensore della sua libertà”. Tutti questi bandi repubblicani e spagnoli hanno costituito la fonte documentaria dell’opera realizzata da J.Howell(18).] e della di lui fedele guida, Enrico di Lorena duca di Guisa.

Tale governo fu formato da tre senatori per il popolo e tre per la nobiltà [ I senatori del Popolo furono: Agostino Mollo, Gennaro Annese, Vincenzo D’Andrea; i nobili: Diomede Carafa, Cesare da Bologna, il principe FrancescoFilomarino di Roccadaspide(19). ], oltre a due senatori (un popolare, un nobile) per ogni provincia (per un totale di 24 senatori).
La scelta dei circa 30 senatori della Repubblica(20) rispettò il principio di pari uguaglianza tra nobiltà, popolo e province. In un editto di quel tempo si accenna alle Province, sollecitate nell’invio di rappresentanti a Napoli “per trattare per commune beneficio”, così come ai seggi cittadini tali da essere trattati “come nell’antichi tempi.. quelli Nobili, che producono le loro nobili attioni, o in virtù, o in arme”. Pertanto, l’ordine nobiliare del regno (feudatari e patriziato cittadino) si dovette equilibrare per rappresentanza numerica e funzioni con l’ordine popolare, rinunciando anche a prerogative secolari (la gestione fiscale) e ridimensionando la propria sfera d’influenza(21).
Ai nobili sarebbe rimasto, in modo formale, il tradizionale comando degli eserciti e delle ambascerie (già affidato a Francesco Toraldo, principe di Massa), mentre ai popolari il controllo economico della condotta della guerra per il tramite del “provveditore generale” (Vincenzo D’Andrea). Costui si rivelò “uomo che per valore d’ingegno, e per altezza di mente e vigor d’animo nell’eseguire quel che intraprendeva, era senza dubbio il primo fra’sollevati; il quale aborrendo ogni sorta di dominio, si aveva dato a credere di erigere la città ed il regno in repubblica” (22).
Tale Serenissima Real Repubblica di Napoli si ispirò al “modello classico di Roma repubblicana” con i suoi equilibri tra ceti sociali e tentò di emulare la contemporanea repubblica olandese “delle sette province unite”. Questa sorta di repubblica popolare, su modello federale-rappresentativo con suoi incaricati provinciali e cittadini, si formò su un’unità di intenti tra popolo e nobiltà volta al raggiungimento dell’indipendenza dalla Spagna ed alla salita di un proprio re, godente della protezione della corona francese. Questo progetto rivoluzionario, comunque, sfumò per il ritiro dei nobili, consapevoli del sopravvenuto disimpegno del sovrano francese verso l’impresa bellica partenopea, nonché per il manifesto disaccordo popolare nell’accettare una nuova regnanza(23).
Inoltre, l’immagine troppo radicale e violenta di una repubblica popolare fece indebolire le alleanze interne ed esterne, contrarie ad un governo, sempre più spostato sul versante del popolo minuto, nonché antimonarchico, antiassolutista e rivoluzionario sanguinario. Simile repubblica, ove il popolo si sostituiva al sovrano con la minaccia di sottrarre i beni ai legittimi possessori per interesse privato (esproprio repubblicano per pubblica utilità), sollevò grandi timori tra vari esponenti compartecipi della società locale e di altri stati. Comunque, già il 16 luglio, nella solenne ricorrenza della Madonna del Carmine, il tumulto era rientrato con l’assassinio del pescivendolo Masaniello, le cui spoglie furono poi sepolte nella chiesa del Carmine, oltre allo sterminio dei suoi fedeli collaboratori. Nei mesi successivi, infine, fu sedata definitivamente ogni altra forma di lotta, proseguita dal Toraldo, l’Annese ed il Guisa(24).
Ben altro sviluppo ebbe, invece, la rivolta aristocratica del 1701 in Napoli, nota alle cronache col nome del suo principale protagonista, il principe di Macchia, D. Gaetano Gambacorta. Questa congiura scoppiò nel periodo in cui si aprì la questione successoria alla morte dell’imperatore Carlo II d’Asburgo e si profilò il passaggio della corona spagnola con i suoi domini ad un principe francese, Filippo di Borbone duca d’Angiò. A Napoli, in tale epoca, andò ad affermarsi un partito di aristocratici, capitanati da Tiberio Carafa principe di Chiusano, che ispirati da “un vago ideale autonomistico(25)  fecero un primo tentativo di delegittimare il vicerè, duca di Medinaceli, per contrapporgli il potere delle piazze e del corpo degli Eletti.
I congiurati, che si affiancarono al Carafa furono: il duca Francesco Spinelli di Castelluccia, Giuseppe Capece, Francesco e Bartolomeo Ceva Grimaldi duca di Telese, Savero Rocca dei marchesi di Vatolla, Malizia Carafa, Giambattista di Capua principe della Riccia, Cesare d’Avalos, marchese del Vasto, Francesco Gaetani principe di Caserta, Carlo ed Antonio Evoli dei duchi di Castropignano, Francesco Chassignet barone di Lisola ed altri nobili, sostenitori del partito asburgico-autonomista(26). Costoro, difatti, approfittando della contesa successoria tra i Borbone e gli Asburgo, tentarono di stringere un’alleanza con l’imperatore d’Asburgo, dell’ausilio del conte di Lamberg e del cardinale Grimani. Assicuratisi dalla loro parte la guarnigione militare di Castel Nuovo, nonchè influenti gruppi popolari, i congiurati spedirono a Vienna D. Giuseppe Capece per definire gli accordi di alleanza con il suddetto imperatore, Leopoldo I.
Si affiancarono ai congiurati altri valenti sostenitori, quali il principe di San Severo, Carlo di Sangro, Gaetano Gambacorta principe di Macchia che fu nominato “Generalissimo”. Gli eletti napoletani, invece, rimasero fedeli al viceré Medinaceli, il quale continuò a governare secondo le disposizioni della Spagna. I nobili cospiratori, ottenuto l’avallo imperiale sulle concessioni ed una promessa d’intervento armato tramite il principe Eugenio di Savoia, programmarono, quindi, la presa di Castel Nuovo, della chiesa di S. Lorenzo e del mercato, agendo con scorribande e saccheggi tra il 22 ed il 23 settembre 1701(27).

Ettore d’Alessandro di Pescolanciano

fonte

nobili-napoletani.it

 

 

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