Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Il Matese e le storie dei briganti dall’Evo antico al XIX secolo

Posted by on Lug 28, 2016

Il Matese e le storie dei briganti dall’Evo antico al XIX secolo

domani pomeriggio a San Gregorio Matese comincerà la tre giorni dedicati al brigantaggio e che è diventata una tappa fissa di importanza notevole. Dopo Cerreto Sannita, Casalduni, di seguito un importante studio di Rosario Di Lello

Il Matese e le storie dei briganti dall’Evo antico al XIX secolo

Il territorio è stato interessato dal fenomeno ancor prima dell’Unità d’Italia: molto, ma molto prima.

E tutti sanno, inoltre, che il vocabolo brigantaggio definisce, comunemente, l’organizzazione, l’attività, la vita, dei briganti; col termine brigante è stato designato colui il quale, indotto da cause di differente natura, ha agito di solito in gruppo, vivendo alla macchia e attentando alla incolumità e ai beni altrui.

Il brigantaggio, dunque,  si presenta come fenomeno storico, endemico o anche di importazione, di tempo in tempo e di volta in volta a prevalente connotazione politica, sociale ed economica, innescato, appunto, da guerre, da dissidi tra fazioni, da insurrezioni, da inimicizie tra famiglie e da contrasti tra singoli. Brigante, dunque, a seconda dei punti di vista, può avere per sinonimo: guerrigliero, fuorilegge, bandito, masnadiero, predone, malandrino.

Ciò premesso, conviene prendere in considerazione, a proposito dell’Evo Antico, il periodo che precedette e quello che seguì l’annientamento della nazione Sannio ad opera di Roma. Per quanto concerne il primo, da testimonianze sull’argomento si apprende, in sostanza, che l’economia della regione era, in prevalenza agricola e pastorale e veniva integrata, diremmo oggi, col mercenariato e con la predazione; anzi, episodi di invasione e di predazione a danno dei vicini Campani diedero origine al conflitto con Roma. Ecco perché i Sanniti, giudicati “sempre pronti alla violenza contro i vicini” nonché “avvezzi al ladrocinio”, erano indicati quali “ladroni empi” (1) ove latro sta anche per brigante.

“Aspri al pari dei loro territori” (2), erigevano megalitici rifugi montani; tali costruzioni fecero pure corona al Matese, e resti sono stati rinvenuti, più o meno ben conservati, a Monte Cila di Piedimonte, a Monte Cigno di Cerreto, a Castello di Morcone, a Terra Vecchia di Sepino, a Tre Torrette di Campochiaro, a Civita superiore di Boiano, a Mandra-Castellone di Capriati e fuori del centro abitato di Letino (3). Stavano, insomma, in un territorio dalla natura particolare, impressionante: (4) montuoso, ammantato di folti boschi, punteggiato da dirupi, segnato da forre profonde e interrotto da valli strette e talvolta senza uscita; insomma, un territorio idoneo all’agguato.

Non saranno mancati fatti di brigantaggio sulle pendici del massiccio, in particolare nel corso delle Guerre Sannitiche. Del resto, gli episodi di guerriglia si registrarono numerosi in tutto il paese e, in essi, si distinsero, fra gli altri passati alla storia, giusto per menzionare qualche nome, un Papio Mutilo, un Papio Brutulo, un Lolio, un Flavo e un Gavio Ponzio, telesino (5).

Nell’anno 82 a.C., la sconfitta dell’esercito degli Italici consociati, la fine della Guerra sociale e la sottomissione del Sannio a Roma, segnarono, anche in questa regione, l’inizio del secondo periodo, contraddistinto da Guerra Civile, fine della Repubblica e Impero. Dal 71 al 48, Spartaco, Catilina e Celio Rufo, ribelli a Roma in tempi successivi, non sanniti, ma bene informati sulla natura, sull’economia, sulla gente e sui fatti del territorio, stimarono il Sannio ancora idoneo alla insurrezione e alla guerra di bande contro il potere costituito (6). Inoltre, per quanto attiene al brigantaggio di guerriglia, si sa pure che, in occasione della lotta fra Cesare e Pompeo lo praticarono ancora, fra i non pochi partigiani dell’uno e dell’altro, un Domizio Enobarbo, un Azio peligno e un Milone, irpino di Conza (7).

Tempo dopo, nel corso dell’Impero, comitive di predoni, per lo più costituite da disertori e da schiavi fuggiaschi, percorrevano il Matese. Altre volte, schiavi e disertori, confondendosi tra i pastori o finanche assoldati come tali, menando le greggi in transumanza si comportarono da briganti a danno delle popolazioni del luogo. E non è tutto: peggio dei pastori agivano i conductores ossia gli appaltatori nel settore (8).

A questo punto non sembra fuor di luogo accennare al castigo, almeno il più comune, al quale i latrones sarebbero andati incontro se fossero caduti nelle mani della giustizia: se schiavi o se non cittadini romani –e perciò a causa del loro stato sociale– o anche se uomini liberi –ma rei di lesa maestà o di delitti parimenti efferati– sarebbero stati sottoposti a tortura (9). La tortura, fosse usata come mezzo inquisitorio o come punizione, aveva uno svolgimento drammatico, per lo più nella flagellazione e un epilogo tragico, per lo più nello strangolamento (10) o nella crocifissione (11). A volte, per volere sovrano, al reo venivano risparmiate le atroci, lunghe sofferenze sopra la croce: prima lo sgozzavano, poi, comunque a monito, lo appendevano al patibolo, quindi, semmai, lo davano in pasto alle fiere (12).

Briganti nemici di  Roma furono giudicati, al tempo di Tiberio, Gesù il nazareno e i due ladroni crocifissi con Lui sul Golgota; quel giorno, dalla stessa pena era stato salvato Barabba, un guerrigliero liberato grazie, forse, a una consuetudine o, più di sicuro, all’ abolitio con la quale il Diritto romano riconosceva all’autorità competente facoltà di rimettere in libertà il condannato. Ma questa è altra storia che, tuttavia, interessa il Matese in quanto a decretare quel supplizio fu Ponzio Pilato, governatore della Giudea, di stirpe sannita.

Col trascorrere del tempo, sostenuta dalla crisi economica e politica sempre più grave, l’attività dei gruppi fuorilegge diventò ancor più diffusa e insistente e non risparmiò neppure i grossi centri fortificati; talché, nel 358, disposizioni governative assegnarono finanziamenti statali per il restauro delle mura cittadine finalizzato alla difesa dalle scorrerie brigantesche. Anche le città che, intorno al Matese, non vi avevano già provveduto, si affrettarono a ristrutturare le cinte murarie rese inutilizzabili dalla vetustà, dalle guerre e dai terremoti (13).

Durante l’ultimo secolo dell’Impero, la crisi toccò livelli notevoli, anche a causa delle invasioni barbariche e del disordine che ne seguiva. In proposito, non è superfluo rammentare che nel 410 i Visigoti di Alarico “corsero Terra di Lavoro ed altre convicine Provincie facendo per tutto danni inestimabili” (14). Nel 455, i Vandali di Genserico, “corsero Campagna e Terra di Lavoro e posero a ferro e a fuoco il tutto e […] restò anche la misera Isernia distrutta” né da tanta desolazione si salvarono Venafro e altri centri abitati (15).

È verosimile che, profittando dello scompiglio, i briganti del luogo abbiano operato in piena autonomia o abbiano collaborato coi Visigoti e coi Vandali, facendosi passare per tali al fine di non essere identificati e non incorrere nei rigori della legge, là dove ancora esisteva.

Poco più di un ventennio dopo, nel 476, il tredicenne Romolo Augustolo, l’ultimo degli imperatori, fu deposto e relegato a Napoli. La vicenda segnava il crollo dell’Impero Romano d’Occidente e, con esso, la fine dell’Evo Antico.

Anche gli anni del Medioevo risultano tormentati dal brigantaggio. Già nella prima metà del VI secolo, in occasione della guerra tra i Pagani e i Greci –così venivano appellati, rispettivamente, i Goti e i Bizantini– il Sannio subì scorrerie e danni (16).

Fu quindi il periodo dei Longobardi. Negli anni Cinquanta del secolo, Buccellino, Leutari e le loro masnade si stanziarono nella regione come federati bizantini; (17) le conseguenze a carico delle popolazioni si possono immaginare. Nel 584, Autari scese in armi nel territorio, si impadronì di Benevento e si portò fino in Calabria; dopo di che, “durante il suo regno non vi fu più violenza, non vennero tramate insidie, nessuno ingiustamente obbligò alcuno né gli  tolse alcunché, non vi furono furti né rapine” –almeno non quanto prima–  ”ciascuno andò sicuro, senza timore, dove voleva”. In seguito, però, gli episodi di brigantaggio si moltiplicarono e –anche nel Sannio, è verosimile–  vi presero parte uomini mascherati per non farsi riconoscere o addirittura bande armate di donne sovente più determinate dei loro uomini (18).

Col tempo, il declino del potere bizantino, le lotte tra le città marinare e le rivalità tra gli stessi Longobardi aprirono le porte del Mezzogiorno ai masnadieri Saraceni. E fu così che, nel corso del IX secolo, si resero attive, non di rado col sostegno di gente del luogo, le orde di Sawdan, “empissimo e crudelissimo brigante” –scrisse il cronista– “che Dio lo fulmini”; di Massar, di Othman e di Ibrahim. Costoro, con le loro scorrerie seminarono distruzione e morte nel Telesino, nell’Alifano e nel Venafrano; mentre, sull’altro versante del Matese, mettevano a sacco e a fuoco le terre di Sepino, di Boiano “e molte altre” (19). Non risparmiarono i templi, e perché ricchi di oggetti preziosi (20) e perché luoghi di culto cristiano.

Dalla prima metà dell’ XI secolo, compagnie di Normanni scesero nel Mezzogiorno (20), anche sotto forma di bande brigantesche (21), vi si insediarono, se ne impadronirono e, con l’occupazione progressiva, finalmente –diremmo oggi– misero d’accordo i Longobardi, i Bizantini e i Saraceni. Le cose, però,  non volsero al meglio; tutt’altro: le cronache raccontano che “Rimosso ogni timore, le uccisioni degli uomini, i furti, le rapine […] mai non cessavano, nonché le oppressioni delle Chiese e de’ Monisteri […] e di que’ che andavano pellegrinando in nome di Dio, alcuni erano spogliati, altri, per rubar loro ciò che avevano, rimanevano uccisi in luoghi nascosi”, ragion per cui, “non solo i passaggieri avean continua paura, ma ancora mancava la quiete della sicurezza ai contadini che desideravano d’uscire a coltivare i campi” (22), eppure, se ne astenevano, con grave pregiudizio dell’economia. E non è tutto: i centri abitati rimanevano oppressi “d’ogni parte dalle molte persecuzioni  […] e i beni de’ cittadini ogni giorno predati“ (23).

Trascorse qualche tempo e sorsero dissidi perfino tra i normanni Re Ruggero II d’Altavilla e suo cognato, Rainulfo III Drengot, conte di Alife. E furono la guerra e, nella guerra, il brigantaggio e, in esso, le azioni delittuose tanto dei galeotti che seguivano le truppe quanto dei baroni, gli uni e gli altri partigiani dell’uno e dell’altro contendente (24). Sui versanti del Matese e nelle pianure circostanti “dopo il tempo de’ Greci e de’ Pagani non era tra’ cristiani avvenuto mai sì grande rovina…” sicché, “gli uomini, le donne e i fanciulli fuggivano pe’ luoghi più alpestri lasciando tutti i loro beni nelle mani di que’ ladroni…” (25)

Neppure quando, dopo i Normanni, regnarono gli Svevi (1194 – 1266) le popolazioni furono risparmiate dal brigantaggio; tant’è vero che l’imperatore Federico II stabilì, tra l’altro, che nessuno dovesse andare in giro armato, e, in più, adottò misure severe contro qualsiasi malfattore o complice, fosse mariuolo  o brigante (26) Fra i latrones si misero in luce, ribelli all’autorità sovrana, certi baronie e tra questi gli ostinati Diopoldo di Hoenburg signore di Alife e Tommaso da Celeno, conte di Molise (27). Come se ciò non bastasse, si segnalarono, nientemeno, gruppi di preti, dal momento che i chierici non erano sottoposti alla giurisdizione secolare e molti di loro […] non temevano compiere illegalità e commettere violenze. Tanto è vero che, riunitisi nottetempo nella città d’Isernia, danneggiarono le case e i mulini, distrussero gli orti, recisero gli alberi e rubarono il bestiame che colà possedeva il monastero della Ferrara” (28) sorto sotto Vairano Patenora.

Quando regnarono gli Angioini (1266-1382) si misero in evidenza Leonardo Sanframondo, nel Cerretano; Corrado Codispillo, dal Venafrano a Terra di Lavoro; il caporal Mariotta, dal  Molise alla Campania (29).

Coi d’Angiò-Durazzo (fino al 1443) pure le donne promossero e sostennero iniziative brigantesche: nel corso della scalata al trono di Napoli da parte del pretendente, Carlo III di Durazzo, Margherita, sposa di lui, partì da Napoli e “a Morcone gio con soa famellia, con molti signori si abe a legare e facea a la Regina granne guerra” di bande sì “che erano li malandrini d’ogni lato per Terra di lavore, et li più erano di morchone pe parte de Madamma Margarita” (30). Oltre che da donne e da uomini, se così si può dire, laici dabbene, il brigantaggio, quando non fomentato, venne ancora una volta sostenuto da gente di chiesa, se “l’audacia in molti monasteri tanto di monaci, quanto di monache e di altri religiosi” giunse al punto che quando non vi si fossero detenute armi, almeno vi si dava soccorso a “exbannitos, disrobatori et alios homines di  male fama” (31).

Ai d’Angiò-Durazzo successero gli Aragona e operazioni di guerriglia s’ebbero allorquando i baroni del regno ordirono una congiura ai danni di Re Ferrante. Nella circostanza, i ribelli, e tra loro Giovanni Sanframondo, conte di Cerreto e Pier Bernardino Gaetani, conte di Morcone e figlio di Onorato signore di Piedimonte, ritennero opportuno, insieme ad altri, “scorrere Terra di Lavoro” e fare guerriglia al fine di “occupare, travagliare e impedire al re qualunque aiuto potesse venire dal rimanente del regno” (32).

Alquanto dopo, nel 1492, la scoperta dell’America segnava la fine del Medioevo.

Trascorsero tre anni e, re Ferrante II dovette vedersela con Carlo VIII venuto di Francia a rivendicare diritti sul trono di Napoli: nel Morconese, le forze in campo diedero vita a episodi di guerriglia, di distruzione e di predazione; ragion per cui, si ebbero anche, contro le truppe, reazioni ostili da parte della gente del luogo, ispirata al principio che gli invasori, “amici o nemici sempre piazza pulita fanno” (33).

Nei successivi due secoli del Viceregno spagnolo (1503-1707) agli eventi politici, alle crisi economiche, alle lotte di parte e alle sollevazioni popolari si accompagnarono fatti di brigantaggio spesso di non poco momento (34). Per fare qualche esempio, si dirà che in Terra di Lavoro e nel Venafrano imperversarono le comitive di Ascanio Fusco, di Gianfrancesco de Luciano, di Pietro Mancini e di Domenico Colessa detto Papone; in Molise operarono Sgarrone e Mazzabotta; il territorio da Dugenta a Solopaca, a Pontelandolfo fu soggetto a ladri e banditi, a causa dei folti, accoglienti boschi; altri briganti visitavano altri abitati del Matese campano (35).

Oltre che dalla natura del territorio, l’attività dei masnadieri veniva resa agevole dai favoreggiatori laici di ogni estrazione sociale come pure dall’ospitalità, spontanea o più spesso imposta, in monasteri e in conventi. Al riguardo, vale la pena rammentare che i Celestini di Alife furono indotti a trasferirsi nella vicina e più sicura Piedimonte perché, oltretutto, ricevevano le visite di certi birbanti che, presentandosi, ogni giorno, puntuali, all’ora del pranzo, lasciavano digiuni i buoni religiosi (36). Tra la fine del XVII secolo e l’inizio del successivo, la zona diventò teatro delle imprese di Gregorio Olivieri e di Antonio Di Santo da Solopaca, già implicato nella fallita Congiura di Macchia; le loro gesta di briganti comuni suggestionarono l’immaginazione popolare fino al punto da entrare a far parte più della leggenda, divulgata poi dai cantastorie, che della storia (37).

Pure durante il Viceregno austriaco (1707 – 1734) sul Matese non vi fu grande brigantaggio politico, sicché quasi un po’ dovunque, così come altrove, si mostrò a impronta delinquenziale e a carattere episodico e venne osteggiato, oltretutto, con la presenza di militari finanche nei piccoli centri montani (38).

Sotto i Borbone (1734-1860) il fenomeno si mantenne tale, fino all’ultimo anno del Settecento: combriccole di “ladroni”, infatti, “commesso il furto” si “rinselvavano” sul versante campano del Matese; “ladri di strada pubblica” frequentavano il Cerretano; bande di predoni, come quella di Gesualdo Dragonieri di San Massimo, compivano ruberie in Molise (39).

Il brigantaggio assunse non soltanto aspetto in prevalenza politico e proporzioni di rilievo, per quanto si orientò verso l’insurrezione e la guerriglia a partecipazione di popolo allorquando, nel 1799, alla luce delle idee che avevano condotto alla Rivoluzione Francese, milizie d’oltralpe, sostenute e guidate da “giacobini” nostrani e accompagnate da “disterrati cioè facinorosi liberati dalle carceri per essere o ladri o omicidiari, o di altre scelleratezze rei”, lambendo i due versanti del Matese e portando a termine saccheggi e uccisioni, quando non addirittura eccidi, raggiunsero Napoli e vi instaurarono la Repubblica. Re Ferdinando s’era rifugiato in Sicilia (40).

Fu allora che entrarono in azione le masse filoborboniche di Cosma de Angelis e di Gregorio Jacobelli da San Lupo, di Domenico Fiore e di Panfilo Candidi da Cusano, dei fratelli Burgo e di Vincenzo Grillo da Piedimonte, di Evangelista Santilli da Isernia, di Salvatore Fiocca e di Michelangelo Palmieri da Longano, di Giuseppe Marinelli da Cantalupo, dei Ciallella da Roccamandolfi e di Vincenzo Tedeschi da Sepino. Dalla Calabria, il cardinale Ruffo risaliva con le sue bande verso Napoli, capitale (41).

La Repubblica Partenopea ebbe vita breve: appena dal 23 gennaio al giugno di quell’anno quando tutto il regno ritornò ai Borbone (42).

In prevalenza politico fu anche il brigantaggio nel cosiddetto Decennio francese, allorché sul trono di re Ferdinando, al solito rifugiatosi in Sicilia, sedettero, Giuseppe Bonaparte e, dopo di lui il cognato, Gioacchino Murat. Tra il 1806 e il ’15, si impegnarono, con altre –questa volta, però con il sostegno limitato della gente– le formazioni di Michele Pezza, l’arcinoto Fra Diavolo da Itri, di Francesco Stocchetti alias Mezzavoce da San Gregorio sul Matese, di Pietro Perugini, soprannominato Augello, da Pontelandolfo, di un Martucci, chiamato Migliozzo, da Morcone, di Sabatino Lombardo, detto Maligno, di Angelo d’Andrea e di Pasquale Gianfrancesco, tutti da Roccamandolfi, la Comitiva del Matese o di Guardiaregia e i gruppi di Fulvio Quici da Trivento, di Benedetto Panetta e di Giacinto Dragonetti da Agnone, nonché, la banda del prete Mancini di Pietramelara (43). Benevento –scrisse il governatore– era “le centre des trames qui ont agité la Province voisine […]” (44).

Dopo il ritorno del Borbone sul trono di Napoli, non mancarono, nel venticinquennio successivo, le occasioni per un brigantaggio comune. (45) Trascorsi alcuni anni, però, anche in virtù dell’atto di clemenza di re Ferdinando e dei provvedimenti adottati per la repressione s’ebbe un periodo di “relativa tranquillità” e di “situazione stabilizzata” (46).

Negli anni Quaranta, reso più grave dalla carestia, lo stato di equilibrio si ruppe. Nell’autunno del ‘47, ebbe inizio, sul Matese, l’attività della combriccola di  Angelo Di Muccio da Piedimonte il quale s’era dato alla macchia per essere stato –a suo dire– ingiustamente accusato di furto (47). Il certo è che nel dicembre dello stesso anno, Onorato Gaetani, consigliere di Stato, dopo aver messo in evidenza che il malcontento popolare conseguente alla crisi agraria andava degenerando in brigantaggio, proponeva riforme amministrative per “provvedere ai bisogni e ai giusti desideri del popolo” (48). Alla presentazione del Di Muccio, celebrata nel ’56 con riconoscimenti e onorificenze (49) fece seguito un periodo di tregua, fino a quando esplose anche sul Matese la ribellione filoborbonica e si diffuse il brigantaggio post unitario.

Per quel che attiene a Letino, cause ed episodi del fenomeno a parte, v’è da ricordare, almeno, che, nella primavera – estate del 1861, il piccolo centro abitato fu tra i primi ad essere e più volte invaso da ribelli. Il 2 di luglio, il comandante del distaccamento militare di Venafro elegrafava al governatore di Caserta: “Letino occupato da briganti, innalzata bandiera borbonica, altre nel Matese […] autorità e famiglie fuggite […]Paesi limitrofi in allareme […]”. (50)

Tra i briganti che, di Letino, si segnalarono in quei giorni, anche per azioni contro la persona e il patrimonio, ricorderò Silverio D’Andrea del fu Liberato, contadino; G. Battista D’Aria; Ferri Paolo di Giovanni, bracciale; i fratelli Angelo e Antonio Fortini del fu Filippo, il primo soldato borbonico sbandato e il secondo contadino; Francesco Fortini di Orazio, contadino; Isidoro Fortini; Orazio Fortini di Celestino, contadino; Silverio Fortini, contadino. Alcuni si costituirono, altri vennero catturati, altri fucilati. (51) Tutti, considerati nell’insieme, danno l’idea di quello che fu il protagonista del fenomeno, in quel periodo.

Tempo dopo, nell’agosto del ’68, veniva ucciso Francesco Orsi di Letino: in uno scontro a fuoco con le forze dell’ordine, divulgarono i rapporti e la cronaca; (52) ma a ben analizzare la terribile testimonianza fotografica, si deduce che fu colpito alla testa da una fucilata a bruciapelo. Si trattòdi uno dei tanti atti efferati, commessi da una parte e dall’altra, per lo più allo scopo di scoraggiare l’avversario.

Infine, a mo’ di bilancio, conviene ricordare che, nel decennio 1860-1870, operarono nel territorio del Matese, 88 bande e i briganti si impegnarono in 42 assalti a centri abitati, 35 assalti a corpi di guardie nazionali e 152 scontri a fuoco con le forze dell’ordine; caddero uccisi 139 militari e 169 briganti; le vittime civili ammontarono a 293 rapiti e 145 morti; altri reati assommarono a 419. L’attività repressiva produsse 224 costituzioni, 228 arresti e 100 fucilazioni di briganti; vennero perseguiti 760 manutengoli nel circondario di Piedimonte e quasi altrettanti in quello di Cerreto.(53) Dati, questi, peraltro, approssimativi, per difetto.

Era da alcuni anni tornata la tranquillità quando, nell’aprile del 1877, le popolazioni del Matese trepidarono a cagione dell’episodio anarchico cui, da San Lupo e in Letino e Gallo, presero parte, con altri insorti, Cafiero, Malatesta e Ciccarelli, non sanniti, eppure bene informati circa la natura del territorio, la collocazione del massiccio montuoso tra province, la storia del luogo, il carattere della gente,.

Tre anni dopo, s’ebbe l’ultimo episodio di brigantaggio: un rapimento in quel di Morcone, portato a compimento da Cosimo Giordano di Cerreto e da Libero Albanese di Guardiaregia. (54) Quindi, più nulla.

Nel frattempo, aveva preso vita e s’andava sviluppando un fenomeno di matrice sociale ed economica insieme e di pari, se non di maggiori portata e durata: l’emigrazione verso le Americhe. Ed è verosimile che non v’è famiglia che non ne sia stata coinvolta.

E questo è tutto. Grazie per la cortese, paziente attenzione.

SUMMARY. As far as the territory of Matese is concerned, brigandage appears as an endemic historical phenomenon, reheightened from time to time by political fighting, social demands and economic claims, often interconnected, that arose again and again in ancient times, in the middle and modern ages up to the second half of the 19th century

Rosario Di Lello

* Questo contributo –da me pubblicato in “Nuova Gazzetta di Caserta”, Gazzetta ed., 18, 7 (2000) p. 6, è stato ampliato e riproposto in occasione del Convegno: “Brigantaggio meridionale postunitario”, in Letino, nel 5 agosto del 2006. 1- Cfr. E. T. Salmon, Il Sannio e i Sanniti, Torino, Einaudi, 1985, passim. 2- Livio, Historiarum ab Urbe Condita, IX, 13, 7. 3- Cfr. pure E. T. Salmon, pass.; ma per Letino cfr. altresì D. Caiazza, in AA.VV., Il territorio alifano archeologia arte storia, S. Angelo d’Alife, GAR, 1990, p. 43. 4- Cfr. D. Marrocco, Piedimonte. Storia – attualità, Napoli, Treves, 1961, pp. 44-53. 5- Ne tratto in Brigantaggio nel Sannio antico, in via di pubblicazione. 6- E. T. Salmon, Il Sannio e i Sanniti,  pass. e p. 394. 7- Id., ibid.,  pass.,. R. Di Lello, Brigantaggio nel Sannio antico. 8- CIL, IX, 2438 e 2826. E. T. Salmon, Il Sannio e i Sanniti, pass. e p. 81. V. A. Sirago, Il “Samnium” nel mondo antico, in “Samnium”, Benevento, Auxiliatrix, LXII, 1-4 (1989) p. 35. 9- U. E. Paoli Vita romana, Milano, Mondadori, 1976, pp. 112-113. 10- Cfr. Sallustio, De coniuratione Catilinæ, LI e LV. 11- Cfr. Petronio, Satyricon, 11 e sg. 12- Cfr. Svetonio, De vita Cæsarum, I, 74. 13- Codex Theodosianus, cit. in R. Di Lello, Brigantaggio nel Sannio antico. 14- G. V. Ciarlanti. Memorie historiche del Sannio, Isernia, Cauallo, MDCXLIV, III, 7. Cfr. pure G. Trutta, Dissertazioni istoriche delle antichità alifane, Napoli, Soc. Letteraria, MDCCLXXVI, XXVI. 15- G. V. Ciarlanti, Memorie historiche., III, 8. Cfr. anche G. Cotugno, Memorie istoriche di Venafro, Napoli. Soc. Filomatica, 1824, pp. 198-200. 16- Procopio di Cesarea, La guerra gotica, III, 6 e 25, trad. di D. Comparetti, Milano, TEA, 1994. 17- G. Tescione, Gli Atti di S. Menna, in “Rivista Storica del Sannio”, Napoli, Laurenziana, IV, 1-2 (1987) p. 13. R. U. Villani, La terra dei Sanniti Pentri, Curti (CE) Stampa Sud, 1983, pp. 185-186. 18- Paolo Diacono, Historia Langobardorum, III, 16; 32; 33. Sul walupaus o mascheramento, cfr. Edictum Rothari, 31; sull’impiego delle donne, cfr. Leges Liutprandi, 141. Cfr. pure R. Di Lello, Quattro passi tra le leggi longobarde, in “Il Sannio”,  Benevento, Pagine Sannite, XII, 208 (2007) p. 14. 19- Chronicon Casinense, 9; 12; 22; 28-30; 31; 33. Chronica Romanorum PP et Imperatorum […] Auctore Ignoto Monacho Cisterciensi, pass. G. V. Ciarlanti, Memorie historiche, pass. L.R. Cielo, La “Telesis nova” longobarda del IX secolo, in “Annuario”, Piedimonte Matese, ASMV. (1978) pp. 64-65. R. U. Villani, La terra dei Sanniti Pentri, pp., 189-194. N. Vigliotti, Telesia … Telese, Marigliano, Anselmi, 1985, pp. 77-81; N. Mancini, Raviscanina, Piedimonte Matese, ikona, 1998, p. 30. 20- Cfr. Cronn. e Opp. citt. in nt. 19. 21- Cfr. E. Pontieri, Divagazioni storiche e storiografiche, Napoli, Libreria Scient. Ed., II, 1966, pp. 40 e 42. 22- De’ fatti di Ruggiero Re di Sicilia Libri quattro di Alessandro Abate di Telese, in G. del Re, Cronisti e scrittori sincroni napolitai, , Stamperia dell’ Iride, 1845 -1868, versione di M. Naldi, I, Pref. e cap. I. 23- Cronica di Falcone Beneventano, Napoli, in G. del Re, Cronisti e scrittori sincroni napolitai, vers. di S. Gatti, anno 1113. 24- Cfr. De’ fatti di Ruggiero, pass. Cronica di Falcone Beneventano, a. 1138. 25- Id. ibid., a. 1138. N. Mancini, Raviscanina, pp. 33 e segg. 26- Assise di Capua, nn. IV e V, in E. Pontieri, Federico II d’Hohenstaufen e i suoi tempi, Napoli, L S E., 1966, p. 185. Cfr. pure . Chronica Romanorum PP a. Mccxxii[j]. 27- E. Pontieri, Federico II, pp. 191-193. D. Marrocco, Note storiche sulla Contea di Alife, in “Annuario”, Piedimonte Matese ASMV, 1975, p. 128; Id. Piedimonte, p. 62. N. Mancini, Raviscanina, pp. 55-56. 28- Chronica Romanorum PP, a. Mccxxii[j]. 29- Cfr. V. Mazzacane, Memorie storiche di Cerreto Sannita, Cerreto Sannita, Ed. Telesina, 1911, p. 35. A. Bellucci, Guardia Sanframondo, in “Samnium”, V (1928) I, pp. 34-35; II, pp. 23 -24. D. Marrocco, Pergamene e manoscritti del Museo Alifano, Piedimonte d’Alife, Grillo, 1963, Pergamena n. 4 a p. 6. Id., Sulla genealogia dei Sanframondo, estratto da Annuario ASSA, Piedimonte Matese, Grillo, 1971, pp. 9-10. Cfr. altresì, A. Carano, Brigantaggio nel Molise prima dell’unità d’Italia, in “Almanacco del Molise”, Campobasso, Nocera Ed., 1973, pp. 113-130. 30- Da Boezio e Diurnali, in D. Marrocco, Carlo III d’Angiò Durazzo, Capua, Salvi, 1967, pp. 105-106. Cfr. altresì AA.VV., Documenti di vita comunale.  Il Molise nei secoli XII – XX. Campobasso, Archivio di Stato, 1981, nn. 11 e 12, p. 72. 31- P. Ricard, in A. Zazo, Il castello di Benevento, Napoli, Armanni, p. 26 e p.51, nt. 262. Cfr. pure R. Pescitelli, Chiesa Telesina, Benevento Auxiliatrix, 1977, pp. 25, XI e p. 33. 32- C. Porzio, La congiura dei Baroni contra il re Ferdinando I, Napoli, L. Torre, 1994, p. 42 et pass. V. Gleijeses, La storia di Napoli, Napoli, Ed. del Giglio, 1987, p. 527. Cfr. pure V. Mazzacane, Memorie storiche, pp. 38-40 nonché D. Marrocco, Atti amministrativi feudali dei sec. XV e XVI in Piedimonte, Napoli, Ariello 1965, documenti a  pp. 5 e 14-17. 33- F. G. Miele, La guerra del 1496 nell’Alto Sannio, in “Rivista Storica del Sannio”, Napoli, Arte Tipografica, XI, 1 (2004) pp. 28-29. 34- B. Croce, Storia del Regno di Napoli, Bari, Laterza, 1966, pp. 131-132. R. Mincuzzi, Il Mezzogiorno d’Italia verso la rivolta di Masaniello, Messina – Firenze, D’Anna, 1974, pass. E. Pontieri, Divagazioni storiche e storiografiche, II, p. 222. 35- G. Cotugno, Memorie istoriche di Venafro, pp. 231-233. A. Carano, Brigantaggio nel Molise, p. 116. R. Mincuzzi, Il Mezzogiorno d’Italia, pp. 20 e 39; R. Villari, ibid., pp. 70-72. R. Pescitelli, Chiesa Telesina, p. 7; A. M. Iannacchino, Storia di Telesia. Sua Diocesi e Pastori, Benevento, D’Alessandro, 1900, pp. 171-174. D. Franco, Cerreto Sannita ai margini della rivolta di Masaniello, estr. da “Samnium”, XLII, 1-2 (1949) pp. 3-5 e 8-10. A Zazo, Strascichi dell’insurrezione di Napoli del 1547, nel Molise e nel principato Ultra, in “Samnium”, XXXVIII, 3 – 4 (1965) pp. 242-244. R. Cifonelli, La terra della Pietra nel XVI secolo, in ”Annuario 1999”, Piedimonte Matese, ASMV (2000) pp. 33-34. A. Laudato, Campolattaro in una inedita memoria del 1673, Benevento, Auxiliatrix, 2006, p. 25; P. L. Rovito, ibid., p. 19, nt. 28. 36- D. Marrocco, Il Vescovato Alifano nel Medio Volturno, Piedimonte Matese, ASMV, 1979, pp. 129-130. 37- Cfr. Istoria di Antonio Di Santo. Della vita, uccisioni ed imprese, Napoli, Russo, 1860-1870; A. Romano, Il brigante Antonio Di Santo nella storia e nella leggenda, Napoli, Laurenziana, 1980. AA.VV., Brigantaggio, Lealismo Repressione, Napoli, Macchiaroli, 1984, p. 296. 38- Cfr. L. Basile, D. Morea, I briganti napoletani, Roma, Newton – Compton, 1996, p. 17. Cfr., per  Pietraroia, Libro dove si notano tutte le scritture Memoriali […] Armi di soldati. Incominciato dall’anno mille settecento et dodici, pass. 39- G. Trutta, Dissertazioni istoriche, p. 395. V. Mazzacane, Cerreto durante il settecento, in “Archivio Storico del Sannio Alifano e contrade limitrofe”, Maddaloni, Golini, III, 8-9 (1918) p. 48, nt.2. Archivio di Stato, Campobasso, Brigantaggio, anno 1793, buste 1 e 2. 40- V. Mezzala, Cronaca, in D. Marrocco – a cura di- Il saccheggio di Piedimonte del 1799, Napoli, Ariello, 1965, p. 21. R. Di Lello, Insurezioni e brigantaggio sul Matese, in Atti del convegno: Brigantaggio Meridionale e Circondario Cerretese. 1799 – 1888, Cerreto Sannita, ASCC, 1986, pp. 23-39. G.G. Guarino, Il Regno di Napoli prima del Decennio Murattiano, in Atti cit., pp. 41-48. 41- R. Di Lello, Insurrezioni, in Atti cit.,  pp. 37-39. 42– Id. ibid. 43- R. De Benedetti, Il Molise verso l’Unità, Archivio di Stato, Campobasso, Nocera ed., 1977, pp. 37-38, documenti nn. 35-46. Cfr. R. Lalli, I consigli dei Distretti del Molise. 1808-1819, Isernia, Marinelli, 1980, pass. AA.VV., Documenti di vita comunale, p. 23 e nn.401-409, pp. 403-404. F. Barra, Cronache del brigantaggio meridionale. 1806 – 1815, Napoli, SEM, 1981, p. 299. R. Di Lello, Brigantaggio sul Matese. I fatti del 1809 in Pietraroia, in “Rivista Storica del Sannio”, Benevento, De Toma, II, 1 (1984) pp. 25-35. Id., Economia Società e brigantaggio sul Matese durante il Regno di Gioacchino Murat, in Atti su Brigantaggio Meridionale e Circondario Cerretese. 1799 – 1888, pp. 49-72. G.G. Guarino, Quello che fu chiamato Risorgimento, in Atti cit., p. 73-80. AA.VV., Brigantaggio Lealismo Repressione, documm. 5 e 6, a pp. 86 e 89. 44- Docum., in R. Di Lello, Brigantaggio sul Matese. I fatti del 1809, p. 27. 45- Cfr. AA. VV., Documenti di vita comunale, n. 410, p. 68. A. Zazo, Il Castello di Benevento, pp. 72-77. 46– A. Romano, Solopaca, Napoli, Laurenziana, 1977, pp. 197-199. R. De Benedetti, Il Molise verso l’Unità, documm. nn. 47-51 a p. 39. AA.VV., Brigantaggio Lealismo Repressione, documm. nn. 38, 40, 41, 45-46, a pp. 94 e 96. Cfr. F. Barra, Cronache del brigantaggio meridionale, pp. 363 e segg. 47- Piedimonte Matese, Archivio priv. G. B. Scorciarini, Incartamento relativo alla presentazione volontaria de’ due briganti Di Muccio e Del Giudice. D. Marrocco, Piedimonte, p. 142. G. Palumbo, Cronologia del Brigantaggio sul Matese, in “Annuario”, Piedimonte Matese, ASMV, 1977, pp. 190-191. 48- Cfr. docum. n. 49, in AA.VV., Brigantaggio Lealismo Repressione, pp. 97. 49- F. Viti, Il Distretto di Piedimonte nel 1860, Napoli, Fibreno, 1860. Incartamento relativo alla presentazione de’ due briganti Di Muccio e Del Giudice. D. Marrocco, Piedimonte, p. 142. 50- R. Di Lello, G. R. Palumbo, Brigantaggio sul Matese. 1860-1880, Benevento, Museo del Sannio, 1983, pp. 11-23. 51- G. R. Palumbo, Episodi di brigantaggio nel tenimento di Letino nel 1861, Letino, Pro Loco, 1987, pass. 52- Cfr. R. Di Lello, G. R. Palumbo, Brigantaggio sul Matese, pp.50-51 e 86. 53- Ibid., pp 59-65. 54- Ibid., pp. 55-57.

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