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Il mistero della maschera di Napoleone Bonaparte di Alfredo Saccoccio

Posted by on Ott 10, 2018

Il mistero della maschera di Napoleone Bonaparte di Alfredo Saccoccio

Una delle figure storiche che più appassionano è certo Napoleone e di lui si desidera conoscere i tratti veri. Per necessità, questi tratti ci pervennero solo attraverso opere d’arte. Resta la maschera che va sotto il nome dell’Antonmarchi, il medico còrso inviato a Sant’Elena dal cardinale Fesch, zio di Napoleone.

                                

 

.C’è in questa gessosa, cadaverica forma umana, qualcosa del volto di Napoleone? No, di certo. E allora, come si spiega il fatto che la maschera del Bonaparte, l’unica, l’autentica, non rassomiglia a nessuna rappresentazione del suo volto?

   Si spiega con la semplicissima ragione che questa maschera dell’Antonmarchi non è né l’unica né l’autentica del volto di Napoleone. Ne esiste infatti un’altra. Essa è dovuta al dottor Archibald. Arnott, maggiore medico del 20° reggimento di linea, di guarnigione a Sant’Elena, e fu presa dal volto di Napoleone nella notte tra il 5 e il 6 maggio 1821. La maschera era in possesso del sig. E. B. di Bolzano, il quale, il 5 settembre 1925, visitando un museo privato a Varena (Trento) ebbe la fortunadi trovare questa maschera e la acquistò dai proprietari, eredi di certo Sieff, antiquario, che l’aveva aquistata da Severino Trettel, accademico di Tesero, il quale, a sua volta, l’aveva comprata a Monaco di Baviera. Trettel fu un pregiatissimo raccoglitore di antichità e di cimeli. Il Trettel, però, da chi avrà avuto la maschera?

   In realtà la maschera del dottor Arnott ha una storia da romanzo giallo. Dalle mani dell’autore passò a un russo, diplomatico a Parigi, che la comprò per donarla allo Zar Alessandro I; ma, essendo venuto a morte il sovrano prima del ritorno del diplomatico a Pietroburgo, tale maschera fu dal russo ceduta a un collezionista di curiosità e oggetti d’arte, l’olandese Veenstra Van Viletz, che si trovava nella capitale russa, quando il detto diplomatico vi tornò. L’olandese, d’accordo con il suo socio Johann Zaim, la cedette, nel 1831, a Landau, al capitano bavarese Pietro de Hartz, il quale, nel 1833, la cedette a un teologo di Bamberg, che, nel 1860, la regalò a Napoleone III, avendone un donativo in denaro, ma, alcuni anni dopo, la maschera tornò in mano del teologo. Come si spiega il fatto?

   Napoleone III aveva fatto conservare la maschera in una sala delle Tuileries, custode il barone di Saint-Pol. Mistero è, dunque, la sua scomparsa. Fu volontà precisa o caso? Furto volgare o determinato? La sparizione avvenne durante le torbide giornate della Comune. Dopo il 1871, per qualche tempo, sulla maschera, vi fu silenzio. Infine essa comparve nelle mani di Severino Trettel, fortunato e lodevole raccoglitore di cimeli, il quale morì nel 1878 a Monaco di Babiera. Il Trettel aveva acquistata la maschera nella stessa Monaco di Baviera, dal teologo di Bamberg o da qualche altro raccoglitore, lasciandola poi ai suoi eredi residenti a Tesero (Trento), dai quali passò all’antiquario Sieff di Varena (Val di Fiemme), dal quale, infine, l’attuale proprietario l’acquistò.

   Ora restano da chiarire due cose: la sigla in francese della parola “Dottor” nel “verso” della maschera e il cognome Arnot, invece di Arnott.

   Rispondiamo, con una congettura, alle riserve fatte da alcuni napoleonisti. Che il dott. Arnott abbia segnato D. (sigla francese) e non Dr. (sigla inglese) è chiaro, poiché tutto il resto è scritto in francese: “St. Hélène 6 Mai 1821”. E perché in francese? Non è escluso che egli conoscesse questa lingua e, trattandosi di un cimelio riguardante Napoleone, potrà essersi sentito portato a scrivere nella lingua dell’Imperatore stesso.

   Resta la questione di Arnot, invece di Arnott. Bisogna notare che Napoleone, pronunciando la parola alla francese, avrà accentuato quel nome sull’ “o”, senza pronunciare le due “t”, come voleva la fonetica inglese. Di modo che il dottore, durante i giorni della sua assistenza a Napoleone, da lui e da tutti gli altri francesi di Longwood si sarà sentito chiamare Aenòt e non Arnott. Può ben darsi allora che al momento di scrivere il proprio nome lo segnasse in modo da farlo pronunciare proprio alla maniera usata da Napoleone. Ed anche, spiegazione meno sentimentale e più realistica: il secondo t avrebbe potuto sciupare l’orlo della maschera, come si può constatare osservandone il “verso”, poiché, dato l’orgasmo con cui l’oggetto fu eseguito, il dottore non avrà avuto modo di ben misurare lo spazio, sacrificando l’ultimo t del suo nome.

   Dopo la morte dell’Imperatore, il dott. Arnott tornò in Inghilterra e, nel 1822, pubblicò un libro sulla malattia di Napoleone, inserendovi uno schizzo riproducente il profilo del volto dell’Imperatore morto. E’ strano che egli non abbia prodotto la maschera, che avrebbe potuto portargli un utile immediato. Però, come maggiore dell’esercito inglese, temeva sanzioni disciplinari se, rendendo pubblico il risultato del suo riuscitissimo calco, avesse contribuito, con una testimonianza così suggestiva della fine di Napoleone, a tener desta la passione dei bonapartisti.

                                       La notte della morte

   Morto l’Imperatore, il 5 maggio alle 17,49, l’Arnott ricevette da Sir Hudson Lowe l’ordine di custodire il cadavere sino alla tumulazione. L’abate Vignali si incaricò di preparare la camera ardente. E’ certo, però, che, cessati i preparativi funebri, l’Arnott rimase solo con il cadavere per il resto della notte, dal 5 al 6, come dichiararono gli intimi di Napoleone. Naturalmente nessuno poteva pensare a segreti scopo dell’Arnott. Però, pur non avendo nulla di criminoso nel suo scopo, egli doveva egualmente tenerlo nascosto a Sir Hudson, perché il carceriere intendeva che di Napoleone nessun inglese si occupasse a fini glorificatori o comunque documentativi della sua malattia e della sua fine.

Furono permessi i famosi schizzi del Marryat e del Crockatt, ma di forza rappresentativa ben diversa da quella di una maschera eseguita sul volto ancora caldop. E questo fece l’Arnott. Egli era un esperto chimico. Come dottore, avrà ben presto potuto, negli ultimi giorni, aver previsto prossima la fine dell’Imperatore e avrà anche pensato alla possibilità di eseguire il calco. Ora, escludendo come materia per questo calco il gesso e ogni altra sostanza terrosa, egli pensò alla cartapesca da mescolare con cera ed altri ingredienti, fra cui alga marina, atti a meglio conservare la durezza del composto. Il calco, come si può ben constatare, dovette riuscire perfettamente. Non fu perduta nessuna particolarità di quel volto, nessun piano fu deformato dal calco stesso.

   La maschera dell’Antonmarchi fu eseguita due giorni dopo, il 7 maggio, con uso di gesso e con urgenza massima, perché il cadavere era prossimo alla sepoltura. Il volto non conservava più la purezza, la calma, la maestà, sia pure dolorosa del trapasso: la bocca si era un po’ aperta, le guance un po’ scavate.La pressione del gesso contribuì a aumentare la deformazione del volto. Ecco perché la maschera dell’Antonmarchi ci ritrae veramente un morto e quella dell’Arnott un volto di vivente.

   Ed ecco altre testimonianze al riguardo, C’è una grande rassomiglianza tra il profilo della maschera dell’Arnott e i profili napoleonici degli schizzi autorizzati da Sir Hudson Lowe a due ufficiali inglesi, disegnat al capezzale del defunto e riprodotti alle pagine 350 e 352 del volume “Napoleone” di Armand Dayot, Milano, 1896. La maschera dell’Arnott, insistiamo, a differenza di quella dell’Antonmarchi, rassomiglia alle migliori e fedeli riproduzioni o rappresentazioni del volto di Nspoleone e, soprattutto, ricorda quello che fu l’aspetto dell’Imperatore morto, almeno per il primo giorno.

   Tutti, infatti, di fronte al defunto, diedero in esclamazionui di stupore per la maestà e per la pace profonda che spiravano dal suo viso. Un soldato inglese disse con una semplicità veramente spontanea: “Com’è bello!”. L’Antonmarchi stesso scrive :”Il suo viso era pallido, ma senza aspetto cadaverico. La fisionomia si conservava molto bella, cogli occhi chiusi, e non si sarebbe detto che l’Imperatore fosse morto, ma che dormisse di un sonno profondo. La bocca serbava l’espressione del sorriso, mentre all’angolo sinistro era leggermente contratta dal riso sardonico”. Anche questo si può controllare guardando la maschera dell’Arnott.

   Altra testimonianza, quella del capitano Basil Hall,, figlio di uno dei condiscepoli di Napoleone a Brienne, che ebbe l’onore di essere ricevuto dal grande esiliato. Così scrisse nella visita: “ ui stupito di trovare così gran differenza tra Bonaparte e i ritratti o i busti che di lui avevo osservati. Il suo volto era più largo e più quadrato di tutte quelle immagini. La sua corpulenza, che si diceva eccessiva, non era affatto notevole. Le sue carni, al contrario, parevano solide e muscolose. Non aveva traccia di colorito sulle guance, e la pelle aveva qualche cosa come la tinta del marmo : non una ruga gli segnava kla fronte o il volto “ (Dayot, op. cit., pag. 287). Questa pagina di un inglese contribuisce non poco a suffragare l’autenticità del cimelio in questione, perché la cosa più caratteristica del volto del malato di Sant’Elena era la mirabile assenza di rughe o altri segni di decadimento.

                             La maschera di cartapesta

   Altra testimonianza, ancora più probatoria, è lo schizzo dal vero, che il dottor Arnott, datandolo 5 maggio 1821, inserì nel suo volume sulla malattia di Napoleone. Esso non riguarda il volto del cadavere, ms “la maschera di quel volto”. Anche un osservatore superficiale può constatare che si tratta di ciò, paragonandolo con gli schizzi del Marryat e del Crockatt e con la maschera stessa. Si osservi quello schizzo (Dayot, op. cit., prefaz. pag. VIII). Esiste in esso traccia del collo o del resto del corpo? No. E nemmeno la posizione della testa è naturale per un defunto che giaccia. Si tratta proprio di una maschera posata ad arte per essere disegnata di profilo, con lo sfondo di un drappo nero, che ancora oggi l’accompagna.

   L’attuale proprietario ha sottoposto la maschera a diverse perizie. Interessante il risultato della perizia chimica e di quella medica: secondo esse, la maschera è effettivamente composta di cartapesta mista a sostanze vegetali e la patina ha una consistenza tersa dovuta certo a quella tipica mescolanza di erbe, alghe e cera. E’ presa dal volto di un sofferente dello stesso male che condusse a morte Napoleone.

   Se, come da tante prove è lecito affermare, la maschera in questione è autentica, il suo vsalore è d’eccezione. Tante terrore ebbe l’Inghilterra del “Generale Buonaparte”,da trattarlo peggio di una belva catturata, e tanto ribrezzo Napoleone ebbe dell’Inghilterra e dei suoi aguzzini che, degli otto dottori inglesi di Sant’Elena, uno solo, l’Arnott, riuscì ad isipargli fiducia. Napoleone “ sapeva” che lo si lasciava morire e lo disse più volte. Accorgendosi, nella primavera del 1821, che questo proposito inglese stava per compiersi, ebbe un ultimo scatto di ribellione e proibì ai dottori ingles di avvicinarlo. Egli proibì persino che, dopo la sua morte, toccassero il suo corpo, “eccettuato il dottor Arnott”. Ed ecco perché quest’ultimo avrà potuto pensare, in anticipo, alla possibilità del calco

   Dall’1 aprile al 5 maggio, l’Arnott fece al malato trentacinque visite. Ebbe per questo dall’Imperatore, in segno di particolare benevolenza, una tabacchiera d’oro con una rozza N incisa con le forbici da Napoleone stesso. Il dottore inglese poteva, dunque, dirsi intimo del Bonaparte ed ebbe in consegna il cadavere. Chi, se non lui, avrebbe potuto essere l’autore della maschera che è ora custodita a Bolzano?

   Chi l’ha vista, ne ha riportato un’impressione indimenticabile. Realmente in perfetta conservazione. Raro cimelio, dovuto a mano espertissima e non priva di quell’amore intelligente per la verità, che, anche in un calco, può rivelare attitudine artistica, ossia creativa e rappresentativa.

Alfredo Saccoccio

 

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