Alta Terra di Lavoro

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Incanti di Wagner di Alfredo Saccoccio

Posted by on Gen 22, 2019

Incanti di Wagner di Alfredo Saccoccio

   La  vita di Richard Wilhelm Wagner è come un libretto d’opera : una vita in cui passano prìncipi, artisti celebri, dame del gran mondo, amici fedeli, donne che redimono e salvano. Wagner vi recita la parte del “bel tenebroso”. Alla fine di questo straordinario melodramma, si vede un popolo genuflesso  davanti ad un’apparizione ieratica, in un teatro dove l’estasi è di regola come in chiesa.

   La sua gioventù è irrequieta e bizzarra : le ambizioni, fin dai primi anni,   sono sfrenate e violente. Egli odia gli studi, i maestri, la scuola, e dimostra una singolare volontà di indipendenza e insieme un’incertezza e una volubilità  quasi morbose. L’inclinazione alla musica e alla poesia si manifestano in lui molto presto. Compone versi e musica : legge Byron e si atteggia ad eroe perseguitato e ribelle. E’  uno studente aggressivo, esaltato, prepotente. Nel 1830, quando aveva appena sedici anni, prende parte alle agitazioni politiche degli studenti.

   In quel tempo, Lipsia  è una città male amministrata da una Corte prodiga e dissipata e da una magistratura venale. I giovani si mettono contro la corruzione e i dispendi dei ricchi.  Seguito da qualche compagno, un giorno Wagner organizza una sorta di spedizione nelle case di malaffare della città,, dove vengono sorpresi alcuni funzionari noti per i loro atteggiamenti ipocriti e  moralisti. Ma, d’altra parte, il giovane censore conduce una vita dissipata  ed allegra. Gli piace bere e divertirsi; gioca alle carte con rabbia e con furore e, un giorno, arriva a proporre, come posta del gioco, la pensione della  madre. Smanioso di dominare, Richard costituisce, insieme agli amici, una specie di guardia civica studentesca, con il fine apparente di “proteggere i cittadini”.

   Nello stesso  tempo, però, manifesta la sua vera inclinazione alla musica e improvvisamente rivela il suo grande amore per Beethoven. A diciott’anni, infatti, un’audizione del “Freischutz” di Weber decide la sua carriera.

   Da quel momento, Richard abbandona goliardi e milizie civiche e si dedica all’armonia e alcontrappunto. L’anno dopo già dirige l’orchestra di Magdeburgo. Ma non smette per questo le sue  pazzie e i suoi diverimenti. E’ un giovane esuberante, gioviale, ingordo. Gli piace mangiar bene, ubriacarsi, vestire con eleganza. Per far fronte alle spese, contrae debiti e rivela già quell’invincibile predilezione per le cambiali che l’accompagnerà fino alla morte.

* * *

Sul   palcoscenico di Magdeburgo incontra Wilhelmina Planer, cioè Minna, l’eroina brontolona, che, per venticinque anni, sarà compagna delle sue incerte fortune. E’ una ragazza semplice, senza grandi aspirazioni, che vivrà al fianco di Wagner sopportando miserie e privazioni senza fine. Da principio avrà qualche impulso a ribellarsi, ma poi finirà per restar calma e mansueta vicino al marito.

   Anche il matrimonio, a Wagner, si presenta subito sotto le apparenze dell’avventura. Una sera, lo smemorato maestro ha dimenticato la chiave a casa : per entrare deve scavalcare la finestra. Quando improvvisamente una mano bianca e grassoccia si stende sopra di lui ad accoglierlo : è la mano di Minna. I due si sposano nel 1836.

   Lasciata Magdeburgo, dove l’orchestra si scioglie per dissesti, cominciano per i due sposi le peripezie romanzesche. Wagner attraversa Koenigsberg, Memel, Tiga: Dopo una navigazione tempestosa, approda in Norvegia, invece che a Londra, dove era diretto. I debiti aumentano e la tragedia è sfiorata venti volte. Ma Wagner risolve abilmente ogni situazione scabrosa con l’enfasi e la declamazione. I creditori, stupiti ed affascinati, tacciono sotto quest’onda vertiginosa e gesticolante delle sue parole. Lo stesso Nietzsche, che fu sempre un grande ammiratore di Wagner, parlando di quel periodo avventuroso, scrive : “La vita di Wagner, vista da vicino e senza amore, ricorda una commedia stranamente grottesca”.

   Un giorno, infine, la coppia errante arriva a Parigi. In quegli anni la città è il covo delle cospirazioni e degli attentati, il mercato delle idee più temerarie.
Ma è anche il paradiso dei poeti  e la fabbrica delle reputazioni: finanzieri e grandi dame, poeti ed artisti, vi gareggiano nel lusso, nei dispendi e nei fasti. E’ la Parigi di Balzac, di George Sand e di Alfred de  Musset; è il periodo delle stravaganze fortunate. Eppure Wagner non riceve che i rifiuti degli arrivati, le ripulse degli impresari musicali, e vive tra la penuria e la ricerca affannosa del denaro. In quegli anni, Franz Liszt trionfa con i suoi concerti; Meyerbeer domina le platee. Wagner deve adattarsi, costretto dal bisogno, a ridurre per pianoforte le partiiture delle opere di Rossini, di Halévy, di Auber, di Donizetti e a scrivere articoli per le gazzette musicali tedesche.

   “Povertà, dura indigenza, compagna consueta dell’artista tedesco, a te rivolgo, scrivendo questi miei ricordi, questa prima invocazione”, scrive egli nel corso di un articolo. Non sono metafore. Alloggia veramente in un miserabile appartamento della via Helder, dove Minna è costretta a

faticare per conto d’una famiglia di vicini. Wagner  passa le giornate inchiodato alla croce delle traduzioni : non ha più tempo per occuparsi delle opere già cominciate o soltanto vagheggiate. Il focolare domestico resterebbe spento per settimane, se non ci fossero gli aiuti di un amico tedesco. Wagner mastica la pipa, legge gli scrittori socialisti del tempo. Intanto le “scarpe non erano che un fantasma di calzatura, da cui le suole erano totalmente scomparse”.

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   Non ha che venticinque anni, ma come i suoi eroi ama le avventure più ardue. I fiaschi di Parigi saranno ripagati dalle buone accoglienze di Dresda, dove il “Rienzi” viene rappresentato il 20 ottobre 1842.

   Quest’opera, piena di balletti, cortei e fanfare, di preludi e finali alla maniera di Meyerbeer e di Spontini, ottiene un grande successo. Wagner raggiunge così un certo assestamento economico, che sembrerà sicuro e definitivo il giorno in cui, dopo la rappresentazione de “L’olandese volante”, la terza opera di Wagner, verrà nominato “Hofkapellmeister”, direttore cioè del Teatro Reale.

   Tutto sembra rassenerarsi. Dal suo appartamento gode la vista dei giardini reali ; Minna si riconforta ed il giovane maestro può ora trattare alla pari con Spontini, con Berlioz, con Schumann. Il “Rienzi”, “L’olandese volante” e il “Tannhauser”, quantunque poco graditi al pubblico sempre avido di cabalette e di “usignoli”, ottengono numerose repliche. Infine, una splendida esecuzione, senza pari, della “Nona Sinfonia” di Beethoven gli procura la stima degli intenditori più restii.

   Wagner tuttavia non è musicista da accontentarsi del successo. Quando sopraggiune la rivoluzione del 1848, non resta indifferente : si trova bene nel ciclone. Entra in una società di patrioti esaltati, scandalizza la Corte con le sue imprudenze, redige articoli in cui invoca una monarchia repubblicana. Afferma perfino, esplicitamente, che “più povero è l’uomo, più naturale è il suo diritto a decretare leggi che lo proteggano”. Il Re manda in congedo il suo inquieto direttore d’orchestra. Wagner potrebbe  forse guadagnare un seggio di deputato alla Dieta di Francoforte, ma intanto ha perso uno stipendio. E allora deve ricorrere alla borsa di Franz Liszt. “ I miei affari vanno male, ed io mi ripeto che voi potreste aiutarmi. Ho intrapreso io stesso la pubblicazione delle mie opere. La somma di cui si tratta si aggira sui cinquemila talleri. Non sarebbe interessante che voi diventaste l’editore-proprietario delle mie opere ?” (Lettera del 23 giugno 1848).

    E’ il tempo in cui Wagner tratta volentieri con Bakunin e va sulle barricate di Dresda, che gli destano nell’animo quel vago incantesimo del fuoco. di cui si ricorderà componendo “Sigfrido” e “La Valchiria”. Ma la polizia sassone lo costringe a fuggire verso i laghi svizzeri. Attraverso quel dedalo di frontiere ch’era la Germania anteriore all’unità, questa fuga gli riesce abbastanza facilmente. Dopo una serie di travestimenti, giumge infine a Lindau, sul lago di Costanza. Libero.

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   Negli anni trascorsi in Svizzera (1848-1858) Wagner si dedica alle grandi composizioni. In questo periodo una nuova donna entra nella vita del grande musicista. E’ Mathilde Wesendonck, che oscura e sostituisce in Wagner il primo, giovanile amore per Minna. Ciò che Carlotta von Stein rappresentò, un giorno, per Goethe, ora Mathilde Weswndonck lo rappresenta per Wagner.

   Il grande poema amoroso di “ Tristano  e Isotta” è stato composto, si può dire, nel grembo della crinolina di Mathilde. Tra i velluti “capitonnés” della sua villa, sono nati Brunilde, Sigfrido, Wotan, Alberico, le figlie del Reno, gli abbozzi della “Tetralogia” e del “Parsifal”. Mathilde lo vede come un genio perseguitato : e la suggestione delle grandi disavventure del maestro si estende fino ad Otto Weswndonck, il marito di lei.

   Otto è un ricco commerciante di filati, stabilitosi a Zurigo : Mathilde, una intellettuale. Il maestro li incanta entrambi suonando al pianoforte, leggendo i suoi poemi e i suoi manifesti innovatori. Imitando, nella vita, i personaggi del “Tristano e Isotta”, Wagner appare come l’eroe delle terre del nord; Mathilde somiglia ad Isotta; mentre il marito si conforma inconsapevolmente sul re Marke.

   Wagner aveva allora quarantacinque anni, Mathilde ventiquattro e Otto trentasette. Per una singolare ironia, Otto, come re di Marke, chiama Wagner-Tristano alla sua corte o, per meglio dire, alla sua villa; come re Marke, assiste allo scambio dei filtri fra Tristano e sua moglie. Infine più tardi, quando l’amore fra i due sarà passato, egli accetterà di comprare, versando ventiquattromila lire, la proprietà dell’ “Anello del Nibelungo” non ancora composto.

   “Ciò che mi innalza, ciò che resta  durevole in me, è la felicità di essere amato da te”, scrive Wagner nel suo diario dedicato a Mathilde, che frattanto s’è già data, anuima e corpo, al “pallido navigatore”, “all’uomo che può trovare la liberazione se può trovare una donna fedele fino alla morte”. Quando Wagner si stabilisce nella villa dei Wesendonck, presso Zurigo, scrive all’amica : “Una profonda pace è discesa in me. Sono stato preso, fino alle profondità del mio essere, da un calore benefico e senza turbamento.  Una chiarissima luce si è fatta in me. Non vacillo più, so dove vado, dove mi fermo, dove lavorerò, dove attingerò forza e riposo!”.

   Ahimè, la realtà si incaricherà di confutare queste frasi così alte e così vuote. Nella tragicommedia della sua carriera, si annuncia, improvvisa, una scena di gelosia fra Minna e Mathilde. Le due donne si affrontano come nel più melodrammatico dei duetti. Mathilde, sdegnosa, sicura della sua superiorità, esige che Wagner si allontani da Minna.  Wagner esita, incapace di decidere. Ma, in ultimo, finisce per adoitare una soluzione borghese e piena di egoismo : quella di separarsi dalle due donne e partire, solitario viaggiatore, per Venezia.

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   Una tale crisi, in altri avrebbe prodotto conseguenze non indifferenti e forse fatali. Ma in quest’uomo demoniaco e adattabile le tragedie si trasformano facilmente in partiture. Dietro la gesticolazione e il dolore romantico, si delinea una coscienza abbastanza realistica e mediocre. Le crisi di Wagner non raggiungono mai il punto estremo. Ciò che gli preme soprattutto è la musica. Separazioni, burrasche coniugali, fughe attraverso l’Europa, struggimenti romantici, per lui non sono che motivi di ispirazione per un’opera che poi rivestirà di musica.

   Quando le crisi arrivano al colmo, l’egoismo lo salva. Wagner continuerà a soffrire la povertà, a viaggiare in lungo e in largo il Vecchio Continente, a tempestare Liszt di sollecitazioni finanziarie, a dirigere encicliche agli amanti della “musica dell’avvenire” e a urtare i benpensanti con le sue teorie artistiche rivoluzionarie. Dell’amore di Mathilde si libererà attraverso la musica. Nel lunghi messi passati a Venezia, fra il 1858 e il 1859, nascerà “Isotta”.

   Più tardi corre a Vienna, torna in Svizzera, progetta di stabilirsi a Parigi, dove, nel 1861, il “Tannhauser” è accolto da un vero uragano di fischi; torna quindi a Vienna per farvi rappresentare “Tristano e Isotta”, sempre fantasticando progetti grandiosi e contraendo debiti non meno ingenti. Ma il “Tristano e Isotta ” viene dichiarato “irrapresentabile”.

   Tuttavia, mentre le ostilità crescono e l’operista dell’avvenire sta sull’orlo del fallimento, un colpo di scena si produce come un miracolo : nella vita di Wagner appaiono due nuovi amori, grandi e diversi. Quello di una donna e quello di un re.

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   Come a Minna sono toccati gli anni dei tentativi e delle temerità sfortunate e a Mathilde quelli della profonda  elaborazione interiore, così a Cosima  von Bulow, la poco più che ventenne figliola di Liszt e di Madame  d’Agoult, toccheranno gli anni dell’apoteosi.

   Dal canto suo, Luigi II di Baviera scende i gradini del trono per venire incontro al “pallido navigatore”.  Questo re da ballate romantiche si innamora di Wagner, ne fa il suo confidente, il suo consigliere, conferendogli un’autorità invidiata dai ministri. Una sorta di velario magico si solleva : i debiti di Wagner vengono saldati; gli viene offerta una casa a Monaco; il teatro, l’orchestra, le casse dello Stato sono lasciate a sua disposizione. “Siate sicuro che io farò quanto sta  in mio potere per indennizzarvi dei vostri patimenti passati”, gli dice nella sua prima udienza il re. E Wagner annota, in una lettera alla signora di Monkanoff-Kelersi : “ L’incredibile è diventato realtà. Un re mi è stato inviato dal cielo, esisto per lui e divento me stesso; egli è la mia patria e la mia felicità”.

   Il dialogo fra i due, poco a poco, sale di tono : “ Mio unico e mio tutto! Autore della mia felicità! Giornata di estasi! Tristano!  nato per te, eletto da te”, gorgheggia Luigi II. Wagner replica in chiave più bassa, ma rivolgendo talora al re un frasario più appropriato all’amante. Cosima, frattanto, si stabilisce a Monaco con il marito.

   Questi anni di Triebschen e di Monaco danno luogo ad una fra le più stravaganti “commedie degli errori”. Il re, esteta e paranoico, giura a Wagner un’incondizionata dedizione ; Wagner  corrisponde in un linguaggio vaporoso, ma appare sempre più innamorato di Cosima von Bulow. Il marito di quet’ultima , incantato da Wagner, è indeciso fra la venerazione musicale e il desiderio di uccidere il musicista con un colpo di pistola. Liszt, padre di Cosima, non sa scegliere fra il genero e il compagno d’arte. Ma c’è di più : Luigi di Baviera ritira le cambiali del suo amico infedele; Cosima assicura il re dei sentimenti del compositore per lui; l’abate Liszt  tiene mano all’adulterio della propria figlia; Bulow finisce con il ringraziare la moglie colpevole di aver saputo custodire la sua “libertà spirituale”.

   La strana commedia, a questo punto, non può più reggersi : i ministri intervengono, esigono dal re l’allontanamento dell’istrione. Ludwig di Baviera, non senza riluttanza, cede  e Wagner parte da Monaco. Il sovrano, riconosciuto ormai paranoico, si annegò nel lago di Starn trascinando con sè, nei flutti, il medico personale.

                                    * * *

   1873-1883. Sono gli anni dell’apoteosi. Wagner ormai regna sotto la cupola del “Festspielhaus”. I giornali del buon Reich lo esaltano. Intorno a lui sono re, diplomatici stranieri, ciambellani e fanatici di ogni razza. Ma ancora non gli mancano guai economici: il primo esercizio del “Festtspielhaus” si chiude infatti con un passivo di centotrentamila marchi. Senonché Wagner non si cura di tutto questo. Riceve nella sua villa di Wahnfried cento persone alla volta. Negli intervalli della “Tetrologia”, il ristorante del teatro è pieno di personaggi vestiti più vistosamente delle comparse; si divorano salsicce e si beve birra.  Quanto ai debiti, Wagner sa fronteggiarli come sempre, mediante l’intervento di donne e di sovrani. In fondo,  quella sorta di orgasmo per le scadenze, specie di quelle eccezionali, esalta la sua ambizione.

   Deve andare a dirigere concerti nell’ “Alberthall” di Londra? Deve impegnare i beni di Cosima? Dovrà forse stabilirsi in America?  Non importa. Si sente pari ai sovrani della terra. Uomini come Nietzsche disprezzano quel gran rumore mondano, ma Wagner non se ne cura. Intanto lavora al “Parsifal” ed è, in quei tempi, che si innamora, per l’ultima volta, di Juditte Gautier. Come il carteggio con Mathilde  Weswndonck ci mostra la storia del “Tristano”, così  quello con la Gautier ci parla del “Parsifal”… Mentre lavora a questa opera, Wagner sogna l’oriente, i cipressi, le magnolie e i cortili moreschi, e. per mantenere  l’illusione, si fa costruire un padiglione orientale pieno di tende, di sete damascate e di profumi. La Gautier provvede a che la messa in scena sia perfetta. “Mia Giuditta”, le scrive Wagner, “tutto è arrivato a destinazione : le pantofole, il latte d’iris sono eccellenti. Ma me ne occorre molto : una mezza boccia per il bagno che faccio tutti i giorni. Pensateci : la “Rosa del Bengala” di Rimmel è superiore alla “White Rose”. Adottiamola. E mandatemene moltissima, perché io sono un eccessivo. Ho il bagno sotto lo studio : mi piace sentire gli odori che ne provengono… Ricordo i vostri abbracci come l’evento più grande e inebriante della mia vita”.

   Il maestro lavora al “Parsifal”, in mezzo a queste follìe. Il 13 febbraio 1883, sul Canal Grande, nel Palazzo Vendramin, sopraggiunse, improvvisa, la fine. Richard stava scrivendo, in quel tempo, un saggio sul femminismo nell’uomo. La sincope cardiaca (un vaso sanguigno del cuore gli si lacerò) lo colse in un momento in cui era più che mai fedele alle idee che lo avevano guidato per tutta la vita.

   “Un funerale di gondole parate di nero – lo scrive Charles Wood  in  “Wagner”- trasportò la bara sul Canal Grande. Accanto alla madre vestita a lutto (Cosima Liszt, la figlia del grande musicista, n. d. r.), sedeva Sigfrido vestito da marinaretto, la schiena  fieramente eretta come quella di lei. Il loro alito condensava l’aria gelida sotto il fosco cielo di febbraio. Le pale dei gondolieri fendevsano l’acqua nera in uno sciacquio dolente. La gente era assiepata lungo le rive e su tutti i ponti. Un’altra folla di facce aspettava alla stazione di Santa Lucia, dove una locomotiva con la bandiera nera sbuffava, pronta a partire per Bayreuth”.

Alfredo Saccoccio

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