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La caduta delle Due Sicilie. Una questione geopolitica?

Posted by on Mar 26, 2018

La caduta delle Due Sicilie. Una questione geopolitica?

Dopo millenni di centralità dal punto di vista politico, militare, artistico e di pensiero, nel XIX secolo si assiste alla progressiva perdita di influenza dei paesi del Mare Nostrum. Innanzitutto bisogna correttamente specificare in cosa consistesse la centralità e di quali paesi si parli, poiché una trattazione da un punto di vista prettamente europeo potrebbe essere parziale e fuorviante. Troppo spesso si tenta di spiegare, ad esempio, l’evoluzione delle sorti del Regno delle Due Sicilie da un punto di vista ristretto, lasciando grossi interrogativi. Il più grande forse è: “Perché una buona parte della classe dirigente napoletana ha tradito il Re?”. La risposta più comunemente udita è quella più semplice, ovvero che si trattava, semplicemente, di traditori. Un osservatore acuto, però, non può fermarsi a una risposta così banale: come è possibile che gli uomini più influenti di un Regno, in blocco, decidano che la dinastia regnante vada sostituita? Per dare qualche risposta bisogna necessariamente capire come fosse strutturato il sistema di potere economico nel Mediterraneo prima e dopo la caduta del Regno.

Sistema politico-economico dai secoli XV – XVIII
Per analizzare un sistema economico così ampio bisogna prima di tutto fissare dei punti di riferimento fermi, altrimenti si rischia di perdere il filo del discorso e di fare grossa confusione. Dovrebbe risultare abbastanza chiaro che in un’economia basata sullo scambio di merci, effettuato principalmente per via marittima, il controllo dei punti di snodo implica potenza economica e di fatto politica. Nello specifico, nel Mediterraneo abbiamo: Gibilterra/Tangeri, Bosforo, Golfo di Aden, Golfo Persico (anche se non è nel Mediterraneo ne influenza in modo significativo l’economia). Questo sistema economico può essere, quindi, analizzato in via semplificata, verificando la disposizione delle forze in questi quattro punti strategici. Dopo la caduta definitiva dell’Impero Romano d’Oriente, una nuova potenza assume un ruolo primario per il commercio nel mar Mediterraneo: l’Impero Ottomano. Grazie a un sistema di agevole tassazione e flessibilità organizzativa, i turchi ottomani riescono a inglobare, in una nuova fitta rete commerciale, gran parte delle popolazioni che si affacciano sul Mediterraneo, ereditando le rotte commerciali dei bizantini e inglobando quelle degli arabi. Il controllo del Bosforo garantiva enormi introiti che riempivano regolarmente le casse del Sultano e che consentirono l’enorme sviluppo culturale dei secoli successivi. Secondo un ragionamento abbastanza logico, dopo il Bosforo, gli ottomani cercarono e riuscirono a impadronirsi del controllo del Golfo di Aden (conquista dell’Egitto) e successivamente, con alterne fortune, cercheranno di prendere il controllo del Golfo Persico, saldamente tenuto dagli imperi iraniani. Il controllo di Gibilterra si allontana definitivamente dalle loro mire dopo la battaglia di Lepanto, fatto che segnerà permanentemente le sfere di influenza oriente – occidente nel Mediterraneo. Da Mehmet II il conquistatore a Suleyman il magnifico l’opera di controllo delle principali rotte marittime è conclusa. I Regni di Napoli e Sicilia, in questo contesto, attraversano un XV secolo molto travagliato con un cambio di regime che li inquadrerà progressivamente nella Corona spagnola. Si può ben capire che in contesto simile le potenze navali sono destinate ad avere un’economia più forte. Nel 1581, in tutta Europa le monete d’oro di intero peso (non alterate e con le stampe migliori) sono quelle di Spagna, Napoli, Venezia, Genova e Firenze (1). Firenze, lo ricordiamo, è importantissima dal punto di vista economico per l’alto tasso di banche che ivi risiedono. Le reggenze del Nord-Africa sono estremamente importanti nel quadro generale in quanto praticamente governano, col beneplacito di Istanbul, il mercato marittimo dell’area più meridionale del Mediterraneo. Per circolare nel Mare Nostrum bisognava pagare una tassa ed Algeri, Tunisi e Tripoli si spartivano questa ricchezza. Le potenze marittime italiane hanno un duplice obiettivo, esportare in oriente materie prime, di cui la penisola è ricca da sempre, e importare ricchi lavorati e metalli preziosi in occidente e nel nord Europa (2) – con guadagni almeno decuplicati. Questo sistema per reggere deve poter garantire un costante controllo militare nel mar Mediterraneo. Il transito ha un costo e le flotte dei vari paesi del Mediterraneo garantiscono questo pagamento (3). Mantenere una flotta con un equipaggio nel 1500 è diventato troppo costoso per i vari paesi, quindi, nasce una nuova formula: il Corsaro-Pirata, che sarà il protagonista dal XV al XVIII secolo della scena marittima mondiale. A lui spetta il mantenimento di flotta ed equipaggio e questo comporterà delle politiche estremamente ambigue tra i vari spiegamenti. L’Ammiraglio diventava a tutti gli effetti una sorta di imprenditore, con un budget garantito dal paese di provenienza che poteva, però, non bastare per affrontare tutte le spese di guerra sostenute. Ecco che da Corsaro al soldo di un governo si passava a Pirata al soldo di sé stesso. Il lavoro era sempre lo stesso, assaltare i bastimenti in transito, verificare che avessero i “firmani” validi per poter passare, riscuotere le tasse ed eventualmente requisire il carico qualora il bastimento non avesse regolare documentazione. Il “firmano” era un lasciapassare firmato dal Sultano di Istanbul, per cui risulta evidente l’importanza di avere un peso politico nella capitale ottomana. Il Corsaro, in generale, quando rimaneva senza un lavoro “ufficiale” doveva necessariamente trovarne uno “non ufficiale”. Anche durante le guerre le alleanze potevano essere ambigue, l’obiettivo del mantenimento della flotta era di fondamentale importanza al di là degli schieramenti politici.

 

I Paesi emergenti
In questo contesto, risulta fondamentale avere un rappresentante a Istanbul che possa trattare la tassazione più agevole e che possa curare al meglio gli interessi del proprio paese (4). Ecco ad esempio che emerge la figura del Balio di Venezia. Importante almeno quanto il Doge, vive in pianta stabile a Istanbul nel suo sfarzoso palazzo e dirige gli enormi commerci della Repubblica marinara. Napoli avrà sempre un trattamento di favore alla corte di Istanbul, l’ambasciatore napoletano godrà di ampio rispetto alla corte e la maggior parte dei paesi europei per ottenere udienza dal Sultano chiederanno intercessione proprio all’ambasciatore napolitano (5). In quei secoli, a Istanbul, si faceva la storia un po’ come oggi si fa nei ristretti ambienti di Londra o New York. In questo contesto, tutti i paesi del nord Europa sono posizionati in una condizione sfavorevole nel mercato degli scambi commerciali. Le materie prime che possono esportare sono prevalentemente di scarsa qualità – fino all’avvento del ferro leggero – e i manufatti sono ancor meno interessanti, almeno fino all’industrializzazione. L’unica cosa con cui possono trattare è l’impiego militare. Nascono così diversi sodalizi che dureranno secoli, tra cui il più importante è sicuramente quello tra Francia e Impero Ottomano.

La strategia
Nel XVIII secolo, Francia e Inghilterra con l’avvento dell’industria raggiungono dei potenziali bellici molto importanti, arriva di conseguenza la volontà di occupare spazi di mercato sempre maggiori. Presi in blocco le coalizioni del Mediterraneo sono ancora troppo forti, bisogna prima di tutto dividerle politicamente, militarmente e, infine, economicamente.
Nei secoli XVIII e XIX, queste potenze raggiungono il culmine dell’opulenza e con essa arrivano anche le discordie opportunamente fomentate e ampliate dal miraggio di un mondo nuovo prospettato dalla rivoluzione francese e dalle incalzanti scoperte tecnologiche. L’uomo europeo francese riesce a imporsi come uomo nuovo e progredito capace di interpretare il gusto della modernità. Deve adesso imporsi militarmente, partono quindi le cosiddette “Guerre coloniali” francesi in nord-Africa. Sfruttando come si diceva poc’anzi le divisioni interne all’Impero Ottomano, i francesi ottengono il diritto di ristabilire l’ordine in Algeria e ne iniziano l’invasione nel 1830. Da lì guideranno le invasioni della Tunisia e del Marocco, mettendo fine allo strapotere dei paesi nordafricani. A oriente, invece, l’Inghilterra afferma progressivamente la propria influenza politico-economica in Egitto e Palestina. Infine, con fine della guerra di Crimea nel 1856, si allontanano definitivamente le mire russe al predominio del commercio nel Mediterraneo, lasciandone il controllo nelle mani di Francia e Inghilterra (6): le tasse di cui si è detto più sopra, adesso bisogna pagarle a loro. Queste due potenze non sono affatto interessate a mantenere la ricchezza nei paesi conquistati, né tantomeno vogliono che questi paesi si ristabiliscano politicamente. Chiaramente il loro primato politico sarebbe messo in discussione. A livello economico tutti i contratti stipulati tra i paesi conquistati e gli altri paesi vengono ridiscussi se non annullati: per continuare a fare affari e far transitare le proprie merci bisogna trattare con queste due nuove potenze. È un cambiamento fondamentale, poiché, in questo modo, saranno loro a decidere chi favorire e chi no, a chi porre un embargo se necessario. Per capire la gravità del cambio dal punto di vista napoletano basti pensare che tutta la vecchia impalcatura diplomatica allestita con le reggenze del Nord Africa e l’Impero Ottomano risultano obsolete e necessitano una ridiscussione perdendo la condizione di nazione amica conquistata nei secoli (7). Inoltre, sia a Parigi che a Londra, inizia una campagna di demonizzazione dei Borbone. La satira molto spinta nascondeva la volontà di isolare politicamente la Dinastia che osteggiava i loro interessi nel mediterraneo. Nel XIX secolo, diverse volte la Dinastia si vide costretta al pugno di ferro nei confronti del governo inglese. Ecco le parole di Ferdinando II nel 1836:

« Signori, Loro hanno ascoltato la nota del Ministro d’Inghilterra; oggi trattasi di decidere la questione se si debba o no cedere alle pretenzioni ed alle minacce che ci dirigono; si tratta di una questione d’onore e di dignità. Io per me sono pronto a respingere le une come le altre. (…) Vi sono taluni che ci consiglierebbero di cedere, ma sanno cosa guadagneressimo con ciò, oltre alla perdita della dignità ed alla macchia dell’onore? Bisognerebbe assoggettarsi alle instancabili richieste dell’Inghilterra. (…) Quello che ho operato riguardo al contratto degli zolfo era nelle mie facoltà e non vi è in esso manco un’ombra di violazione di trattato. È un diritto sovrano innegabile il fare quanto richiede la prosperità ed il benessere dei popoli. Gli Inglesi guadagnavano tanto al commercio de’ zolfi sol pregiudizio dei nazionali, che non vogliono vedere diminuire il lucro loro, e perciò vogliono imporci la legge. Potevo e volevo accomodare spontaneamente l’affare, ma non lo posso più sotto l’imperio dell’altrui minacce: sarebbe discreditarmi…La fermezza è il partito che ci conviene contro ingiuste pretensioni. » (8)

La caduta
Quando il sistema economico venne ribaltato, ogni commerciante, grande o piccolo che fosse, doveva passare attraverso un nuovo canale e le tariffe applicate a Napoli e alla Sicilia non erano più certamente quelle precedenti di grande trattamento di favore ereditato da secoli di fruttuosi commerci. Le ragioni che spinsero Inghilterra e Francia a escludere i Borbone dal nuovo sistema sono sicuramente molteplici, ma probabilmente tra le più importanti ci sono:

la scarsa propensione a effettuare economia a debito. Il debito pubblico piemontese era enormemente più alto di quello napoletano dimostrando la grossa propensione di casa Savoia all’intreccio spesso mortale con le banche. Modalità che verrà sempre fortemente osteggiata dai Borbone che portavano avanti un’idea di sviluppo moderata e secondo le proprie capacità;

la volontà di gestire le materie prime nazionali senza interferenza straniera (cosiddetta questione degli zolfi).

In questo clima, è verosimile che il malcontento della classe dirigente “che fa affari” possa essere diventato insostenibile: forse i Borbone, osteggiati dalle nuove potenze, rappresentano il passato e forse per continuare a fare affari bisogna necessariamente aggiornarsi. Magari questo è uno dei motivi principali del “tradimento”, e forse una possibile interpretazione della celebre frase di Tomasi di Lampedusa:

« Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi ».

 

fonte

briganti.info

Riferimenti
1. Bernardo Davanzati, “Notizia de’ cambj” in Cosimo Perrotta “La cultura economica (1500-1750)
2. Carlo Maria Cipolla, “Il declino economico dell’Italia”, pp 85-103
3. Massimiliano Pezzi, “Impero Ottomano e Mezzogiorno d’Italia tra Sette e Ottocento”, pp 101-103
4. Giambattista Bonaugurio, “Lettere sopra la Turchia”, p 80
5. Massimiliano Pezzi, “Impero Ottomano e mMezzogiorno d’Italia tra Sette e Ottocento”, p 71
6. Alan John Percival Taylor, “L’Europa delle grandi potenze”, Bari, 1961, pp 139, 140.
7. Massimiliano Pezzi, “Impero Ottomano e mMezzogiorno d’Italia tra Sette e Ottocento”, pp 71-105
8. Harold Acton, “Gli ultimi Borboni di Napoli (1825-1861)”, Firenze, Giunti Editore, 1997

 

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