Alta Terra di Lavoro

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La Canzone di Zeza a San Lorenzello

Posted by on Ott 13, 2019

La Canzone di Zeza a San Lorenzello

Quando un napoletano afferma, riferendosi a un esponente del gentil sesso: “Chella è ‘na zèza”, sappiate che non sta facendo ciò che si può definire propriamente un complimento. Riprendendo, infatti, un antico modo di dire, con questo termine si vuole indicare una donna che fa continuamente smorfie o vezzi, che si abbandona a smancerie di ogni genere e che è un’insopportabile chiacchierona, oltre che civettuola.

Roberto de Simone individua nel personaggio Zeza il carattere di prostituta o perlomeno di ruffiana, e questo sia perché zeza era comune nome d’arte di prostitute o tenutarie di bordelli, sia per il ruolo da essa esercitato nella vicenda.

Il significato di “zèza” risale alla Commedia dell’Arte e, soprattutto, a quella consuetudine di attribuire il nome di un personaggio teatrale a chi assume nella vita di tutti i giorni il comportamento del personaggio stesso. Zeza, infatti, è il diminutivo di Lucrezia, moglie di Pulcinella, e dunque un nome proprio che successivamente è diventato aggettivo e poi aggettivo sostantivato per indicare una donna che aveva le medesime caratteristiche di questo personaggio.

Fu nel corso del Seicento, quando il Carnevale Napoletano raggiunse il periodo di maggiore splendore, che la “Canzone di Zeza” iniziò a diffondersi per le strade della città, recitata da attori improvvisati e accompagnata dal suono del trombone.  

La storia è quella dell’amore tra la figlia di Pulcinella, Tolla (o Vicenzella) con Don Nicola, studente calabrese, le cui nozze sono fortemente contrastate dal padre di lei che teme di essere disonorato, mentre sua moglie Zeza, che è di ben altro avviso, vuole far divertire la figlia “co’ ‘mmilorde, signure o co’ l’abbate”. Pulcinella sorprende gli innamorati e reagisce violentemente, ma, punito e piegato da Don Nicola, alla fine si rassegna. Anche se si tratta di un testo “popolare”, si affrontano comunque, seppure in chiave grottesca, tematiche universali quali il conflitto tra le generazioni, la ribellione all’autorità paterna – rappresentata da Pulcinella – e la risoluzione dello scontro col matrimonio che, per certi versi, ricompone l’equilibrio familiare.

Fino alla prima metà dell’Ottocento, la “cantata vernacola […] sul gusto delle atellane che successero alle feste Bacchiche, alle Dionisiche e, quindi, ai fescenini e alle satire” e che “trae argomento dagli amori di un Don Nicola, studente calabrese, con Vincinzella, figlia di Zeza e Pulcinella”, si rappresentò nei cortili dei palazzi, nelle strade, nelle osterie e nelle piazze ad opera di attori occasionali o compagnie di quartiere, che si facevano annunciare a suon di tamburo e di fischietto e ben presto divenne un testo così famoso da essere conosciuto a memoria da tutti i ceti sociali di Napoli. Le parti femminili erano interpretate da soli uomini perché le donne non potevano essere esposte alla pubblica rappresentazione ed è una tradizione che si conserva ancora oggi. Nella seconda metà del XIX secolo, a seguito dell’emanazione di divieti ufficiali che ne proibivano la rappresentazione per le strade “per le mordaci allusioni e per i detti troppo licenziosi ed osceni”, la “Zeza” fu accolta, esclusivamente nel periodo di Carnevale, nei teatri frequentati soprattutto dalla plebe, dove il pubblico notoriamente interloquiva cogli attori nel corso della rappresentazione “con sfrenatezze di gergo e di gesti”. A causa di questi impedimenti,  la “Zeza” si diffuse quindi nelle campagne adiacenti e, con caratteri sempre più diversificati, nelle altre regioni del Reame di Napoli.

Al giorno d’oggi la “Canzone di Zeza”  è una rappresentazione tipica della Campania e specialmente dei paesi dell’Irpinia: in generale possono cambiare i nomi dei personaggi e le battute dei dialoghi da paese a paese, ma alla base permane sempre lo stesso canovaccio.

A San Lorenzello veniva rappresentata in occasione del carnevale in diversi punti del paese, senza apparato scenico, perlopiù da quattro attori maschi che, esercitandosi per anni nello stesso ruolo, finivano per essere considerati, come quelli della commedia dell’arte, dei veri specialisti. Due di essi, cosa naturale in quei tempi, ricoprivano, travestendosi da donna, i ruoli di Zeza e Vicenzella o Tolla. Erano preceduti da un volante che, cavalcando un asino, invitava la gente a partecipare alla rappresentazione.

Nel 1951 si tenne l’ultima rappresentazione di Zeza con la partecipazione di attori che questa sera vogliamo ricordare: Alfonso Rubano, Michele Ciarleglio, Lorenzo Ciarleglio, e Guido Sagnella. Molti anni dopo ritornò il desiderio di ripresentarla ma risultò vana la ricerca del libretto originario. Allora si decise di ricostruirlo attraverso i ricordi dei più anziani e la rappresentazione si tenne la sera del 4 agosto 1995. A distanza di alcuni anni il libretto fu ripreso e lo storico Don Nicola Vigliotti ed Alfonso Guarino lo ampliarono ed integrarono con l’aggiunta di due personaggi: il maresciallo dei Carabinieri e l’Arciprete Don Pasquale. La vigilia di San Donato del 2004 è stata rappresentata ottenendo un grande successo. L’11 agosto 2019 è stata riproposta con grande successo, nell’ambito di una serata dedicata alla riscoperta delle tradizioni popolari curata dall’Ente Culturale Schola Cantorum San Lorenzo Martire “Nicola Vigliotti” di San Lorenzello.

Alfonso Guarino

di seguito alcuni brevi video

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