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La diffusione e la fortuna del monachesimo benedettino

Posted by on Ott 4, 2018

La diffusione e la fortuna del monachesimo benedettino

Il monachesimo, insieme al papato, fu la grande forza che contribuì alla cristianizzazione di tutta l’Europa. Molti storici ritengono che furono i due fattori che maggiormente contribuirono alla definitiva caduta dell’impero romano.

In parte è vero: la Chiesa diede una buona spallata all’impero con l’introduzione delle affrancazioni dalla schiavitù, alle donazioni e ai pellegrinaggi, come opere meritorie per ottenere la remissione dei peccati. Per quanto riguarda il monachesimo, Voltaire diceva che, a quel punto dell’impero, c’erano più monaci che soldati. In realtà, quando il monachesimo si diffuse, l’impero  era già disfatto: un enorme corpo agonizzante crollato su se stesso per il suo stesso peso.

Il monachesimo contribuì, invece, al costituirsi della grande proprietà ecclesiastica  che è una delle cause all’origine del potere temporale della Chiesa.  

San Benedetto non si aspettava una diffusione così massiccia del suo ordine, ma alla base della fortuna dell’ordine benedettino sta un’equazione molto semplice: l’idea giusta al momento giusto, ossia la fondazione dei primi monasteri  e la Regola da lui scritta in un momento particolarmente difficile per il territorio imperiale.  
Il potere centrale dell’impero non funzionava più; anzi, nelle mani di persone fuori da ogni controllo  era diventato motivo di oppressione. Si era instaurata la legge del più forte.  Inoltre, le continue e feroci invasioni dei Goti prima e dei Longobardi poi, seminavano il terrore tra le popolazioni che non sapevano più a quale santo votarsi. 
Le cittadelle monastiche e quei 73 brevi articoletti che scandivano la giornata e la vita dei monaci  secondo le loro esigenze spirituali e materiali, furono l’àncora di salvezza per intere comunità civili terrorizzate, disorientate e confuse; qualcosa a cui aggrapparsi, che conciliava la nuova fede con il bisogno di ordine esistenziale e di protezione. 
Il monastero diventò rifugio per comunità intere che offrivano il loro lavoro, anche gratis,  nei campi in cambio della semplice protezione.

Quello che fece veramente grandi i monasteri furono, tuttavia, le donazioni “pro rimedio animae”, per rimediare ai peccati del donatore, come si voleva a quel tempo. Grandi donazioni terriere, non solo di privati, ma anche di re che offrivano terre demaniali in ogni angolo d’Italia, andarono ad arricchire specifici monasteri e chiese. Lo spirito con cui queste donazioni venivano fatte era prettamente spirituale:  non si donava ad un monastero  o ad una chiesa, ma al santo patrono del monastero o della chiesa. Le donazioni a Montecassino venivano fatte a S. Benedetto, fondatore del monastero, mentre quelle alla Chiesa Romana venivano fatte  a San Pietro, primo vescovo. 

Al di là dei motivi spirituali, c’erano sempre dei motivi molto pratici ed opportunistici, soprattutto quando a donare era semplici cittadini. Essi preferivano donare il loro pezzo di terra ad un ente ecclesiastico, soprattutto ad un monastero, perché avevano la garanzia di un potente protettorato e un trattamento più umano come coloni.

L’abbazia di Montecassino  e quella di San Vincenzo al Volturno, a volte in antagonismo tra loro, divennero le stupende cittadelle monastiche che conosciamo, grazie a cospicue donazioni di privati  e di re che le resero incredibilmente ricche e latifondiste, anticipando di qualche tempo il feudalesimo.

Il territorio carinolese non sfuggì a questa pratica che si estese per tutto il medioevo e, sul nostro territorio, diverse furono le proprietà appartenenti alle due abbazie.

c.d.l

 

Alcuni testi consultati

Baus Karl e Ewig Eugen – Storia della Chiesa – vol. II, Milano, 1977

Federici V. (a cura di) Chronicon Vulturmense del monaco Giovanni  – I, II, III – Roma, 1938

Gregorio Magno ( a cura di Simonetti e Pricoco) – Dialoghi: storie di santi e di diavoli –   vol. II, libri III e IV, Milano, 2006

Gregorio Magno (San) – Vita di San Benedetto e la regola – stampa dei pp benedettini di Subiaco, Roma, 1975

Leone Marsicano (a cura di F.Aceto e V. Lucherini) – Cronaca di Montecassino 

Melani Gaudenzio – Il monachesimo orientale – Jerusalem, 1970

Milano, 2001

Roma, 1925

Vaucez Andrè – La spiritualità dell’occidente medievale – Milano, 2006

 

 

Il Cenobio di San Martino al Massico

 

La presenza di Martino richiamò sul monte Massico diversi uomini che, affascinati dalla santità dell’uomo, vollero diventare suoi discepoli e condividere la sua esperienza. 
Martino non li respinse, ma non abbandonò la sua grotta e la sua condizione di eremita. Forse fu in questo periodo del VI secolo che cominciò a sorgere il Cenobio, la più antica presenza  benedettina sul territorio, e che inglobò tra le sue mura perimetrali anche la grotta.
Amedeo Maiuri, archeologo frusinate, nel suo libro Passeggiate campane, parla di ruderi romani, forse un tempio ad Apollo, già presenti sul posto, con torre di avvistamento. Non abbiamo la facoltà di confutare la tesi del Maiuri, ma se pensiamo alla posizione strategica in cui sorge il Cenobio e che domina tutto il golfo di Gaeta, la sua affermazione potrebbe essere degna di fede. 

La prima testimonianza  della presenza del Cenobio sul Massico la troviamo nel Chronicon Vulturnense del monaco Giovanni, cronista dell’abbazia benedettina di San Vincenzo al Volturno che, nel periodo che va dal 703 al 729, registra la concessione di Romualdo II, duca di Benevento,  al monastero:  il possesso del Monte Massico. Sempre dal Chronicon Vulturnese, periodo dal 742 al 750, veniamo a sapere che il monastero era retto dall’abate Albino. il Monastero continuò ad ingrandirsi  grazie a donazioni di  privati  e dei duchi longobardi, tra cui Arechi II  che, intanto, aveva elevato il Ducato di Benevento a Principato e fregiato se stesso del titolo di principe.  Era  principe Sicardo, quando il Monastero passò sotto l’amministrazione di San Vincenzo al Volturno, nel periodo che va dal 832 all’ 839.
Finchè i longobardi furono al potere, il monastero continuò ad esistere ed ingrandirsi grazie alla considerazione che questi principi ebbero verso tutti i monasteri benedettini, ma i Franchi premevano prepotentemente alle porte e con il declino del Principato di Benevento cominciò il declino anche per essi. Alle ragioni politiche che provocarono la fine del monastero ne va unita un’altra, non meno disastrosa: i Saraceni.

I Saraceni furono chiamati in Italia dagli stessi duchi longobardi per avere un aiuto nelle loro guerre intestine. Una cospicua colonia si stanziò presso il Garigliano, probabilmente a Traetto, chiamata inizialmente, come dice Leone Ostiense,  dall’ ipato bizantino di Gaeta Docibile I, che poi li combatté. Se i saraceni furono di un qualche aiuto per gli immediati scopi dei duchi e principi longobardi, essi si rivelarono, in seguito, una vera piaga per le popolazioni del luogo. 

Completamente disorganizzati come esercito e come società civile, i Saraceni vivevano di razzie e saccheggi e tutto ciò che aveva un valore li attirava come gazze. A pagare le spese di questa inopportuna e sgradita presenza saracena nel basso Lazio furono non solo i semplici cittadini, ma anche il Cenobio di San Martino al Massico e l’abbazia di San Vincenzo al Volturno, entrambi non abbastanza lontani per evitare una simile minaccia. Il Cenobio, in particolare, era a un tiro di freccia e forse non abbastanza ben difeso. 
Sugli attacchi dei Saraceni al Cenobio, esiste un curioso opuscoletto di 4 pagine allegato al manoscritto n° XXII della Biblioteca Vallicelliana di Roma, scritto verso la fine dell’XI secolo. L’opuscoletto fu scritto da un  diacono di Monte Massico, Adelberto, come attesta l’ultima frase del documento: Hoc autem conscripsit Adelebertus diaconus et monachus prephati monasterii, qui prope erant ad videndum victoria sancti Martini[…].

Mettendo da parte  qualsiasi dibattito su questo documento che merita uno studio a parte,  esso ci da un esempio di quella storiografia popolare che dominava il medioevo. Il diacono ci racconta che, di fronte all’ennesimo assalto dei Saraceni al monastero, i monaci scesero nella grotta e, davanti alla tomba del santo, ne invocarono l’aiuto per essere liberati da quella minaccia. Al clamore che facevano i monaci, subito apparve il corpo di Martino, in carne ed ossa,  e con voce forte e chiara disse: Ascoltatemi, fratelli miei e servi del mio signore Gesù Cristo, perché  io sono Martino, che giaccio in questa grotta, la cui lode ogni giorno frequentate.[…] Andate, e armate i vostri corpi con corazze, elmi, scudi, lance e spade; salite sui cavalli e senza paura combattete, perchè io vi precedo nel vedere, e si dispone per voi una grande vittoria.*

Nonostante la bella storia raccontata da Adelberto, dopo il 1059 non si hanno più notizie del monastero, che fu molto probabilmente definitivamente abbandonato. 

c.d.l.


*
Audite me, fratres mei et servi domini mei Iesu Christi, videte quia ego sum Martinus, qui hunc specu adiaceo, cuius laudem quotidiae frequentatis […]. Ite, et armate corpora vestra loricis, galeis, clipeis, hensis et lanceis; equos ascendite et sine dubio pugnate, quia ego antecedo vobis videntes, et copiosam habetis victoriam.

Alcuni testi consultati

Bossi Luigi – Della istoria d’Italia antica e moderna – vol. XIII – Milano, 1821
Cariello Nicola – I saraceni nel Lazio – VIII-X secolo –  Roma, 2001
Federici Giovanno B. (monaco casinese) – Degli antichi duchi e consoli o ipati della città di Gaeta – Napoli, 1791
Federici V. (a cura di) Chronicon Vulturmense del monaco Giovanni  – I, II, III – google books
Gesualdo Erasmo – Osservazioni critiche – Napoli, 1754
Gregorio Magno ( a cura di Simonetti e Pricoco) – Dialoghi –   vol. II, libri III e IV, Milano, 2006
Hugh Moretus – un opuscule du diacre Adelbert – google books
Leone Marsicano – cronaca di Montecassino – google books
Monetti Diego – Cenni storici dell’antica città di Gaeta – Gaeta, 1869
Muratori Ludovico A. – Annali d’Italia – vol. VII – Milano, 1753
Nugnes Massimo –  Storia del Regno di Napoli –  vol. I – Napoli, 1840
Zannini Ugo e Guadagno Giuseppe – S. Martino e S. Bernardo – Minturno, 1997

 

fonte

http://carinolastoria.blogspot.com/2011/

 

 

 

 

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