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LA GUERRA CIVILE NEL SALENTO – Cronaca storica della prima resistenza – Luglio e Agosto 1861 – Il Regno delle Due Sicilie è annesso al Piemonte.

Posted by on Ago 29, 2019

LA GUERRA CIVILE NEL SALENTO  – Cronaca storica della prima resistenza – Luglio e Agosto 1861 – Il Regno delle Due Sicilie è annesso al Piemonte.

Da “ capitolo del libro “Due Sicilie 1830/1880″ di Antonio Pagano“.

Le atrocità commesse dall’esercito piemontese durante la guerra di annessione del Regno delle Due Sicilie, furono contrastate per oltre un decennio da migliaia di combattenti e resistenti che vennero bollati in modo dispregiativo Briganti. In quel luglio e agosto del 1861 in Terra d’Otranto molti paesi si ribellarono all’invasore piemontese e ai loro collaborazionisti. È un intero popolo che insorge. Sono uccisi liberali, i sindaci collaborazionisti e gli ufficiali della guardia nazionale. Sono distrutti gli archivi comunali, distrutti gli stemmi sabaudi e sono liberati numerosi detenuti.

A Serracapriati in Terra d’Otranto (…) Tutti questi paesi subiscono dopo pochi giorni la repressione disumana dei piemontesi che uccidono, saccheggiano e danno alle fiamme le case. Molte centinaia di persone senza alcun motivo sono arrestate e deportate in Piemonte o in Lombardia. Mentre il 21 luglio, l’ex sergente Pasquale Domenico Romano di Gioia del Colle, riuniva una folta comitiva di guerriglieri nei boschi vicini (Romano dà alla sua banda una vera e propria struttura militare caratterizzata da una ferrea disciplina), lo stesso giorno, il 21 luglio 1861, si verificava uno scontro tra un reparto di guardia nazionale e un gruppo di resistenza di Cellino S. Marco. 11 sono catturati e portati a Brindisi dove sono fucilati. Il 25 luglio vi è un altro scontro a Cellino S. Marco tra guardia nazionale e insorti, di cui undici sono catturati e fucilati il giorno dopo nella piazza centrale di Brindisi. Il gruppo di resistenza comandato dal sergente Romano si concentra nel bosco Lama dei Preti. / Tutta la Puglia è un inferno di fuoco … la situazione economica continua a peggiorare: il pane è quasi introvabile ed è venduto a prezzo elevato / Numerose colonne mobili formate da reparti del 30° fanteria e squadre della guardia nazionale rastrellano le campagne intorno alla città di Bari. Il 2 Agosto 1861, Massimo D’Azeglio, invia una lettera al senatore Carlo Matteucci, pubblicata poi dai giornali, nella quale scrive : «Noi siamo proceduti innanzi dicendo che i governi non consentiti dai popoli erano illegittimi: e con questa massima, che credo e crederò sempre vera, abbiamo mandato a farsi benedire parecchi sovrani italiani; ed i loro sudditi, non avendo protestato in nessun modo, sì erano mostrati contenti del nostro operato, e da questo si è potuto scorgere che ai governi di prima non davano il loro consenso, mentre a quello succeduto lo danno. Così ì nostri atti sono stati consentanei al nostro principio, e nessuno ci può trovare da ridire. A Napoli abbiamo cacciato ugualmente il sovrano, per stabilire un governo sul consenso universale. Ma ci vogliono, e pare che non bastino, sessanta battaglioni per tenere il Regno, ed è notorio che, briganti e non briganti, tutti non ne vogliono sapere. Mi diranno: e il suffragio universale? Io non so niente di suffragio, ma so che di qua del Tronto non ci vogliono sessanta battaglioni e di là si. Si deve dunque aver commesso qualche errore; si deve, quindi, o cambiar principi, o cambiar atti e trovare modo di sapere dai Napoletani, una buona volta, se ci vogliono si o no. Capisco che gli Italiani hanno il diritto di far la guerra a coloro che volessero mantenere i Tedeschi in Italia; ma agli Italiani che, rimanendo Italiani, non vogliono unirsi a noi, non abbiamo diritto di dare archibugiate … perché contrari all’unità». Ma questa è la risposta personale che il presidente del Consiglio, Bettino Ricasoli, dà a D’Azeglio il 14: «Se (ì Napoletani) non consentono, più se ne fucilerà e più cresceranno il numero delle prove contro di noi: e bisognarà cercare altre vie. E mi permetterei di non accettare la tua parola “Essi rifiutano non noi, ma l’Italia”. Sarebbe vera se volessero mettersi con stranieri. Ma l’Italia si può intendere in più modi. E quantunque io l’intenda come l’intendi tu, non per questo vorrei fucilare chi la pensa altrimenti». II D’Azeglio scrive quello che moltissimi pensano, ma il governo, risponde in forma ufficiale a questa lettera, addossando allo Stato Pontificio le responsabilità del brigantaggio, che è alimentato da Francesco II con la protezione del Papa e che non si può dubitare della “legittimità” dei plebisciti. In realtà, com’è riconosciuto dalla stessa Commissione d’inchiesta, l’azione esercitata dal governo duosiciliano in esilio a Roma è del tutto trascurabile e l’aiuto prestato è limitato all’invio sporadico di qualche agente di collegamento e di scarsi soccorsi materiali. In tutte le province meridionali la guerriglia è un fenomeno di ribellione popolare del tutto spontaneo per liberarsi dagli invasori. Il generale Dalla Chiesa emana il 3 Agosto un bando con il quale invita i briganti a presentarsi, promettendo l’impunità. Alcuni, presentatisi, sono torturati per avere informazioni sui luoghi dove si erano rifugiati e in seguito sono fucilati. Il 4 Agosto a S. Paolo, nel Molise, gli insorti in uniforme dell’armata duosiciliana uccidono il sindaco liberale Antonio Capra e innalzano la bandiera delle Due Sicilie sul municipio. Sono saccheggiate le case dei collaborazionisti, compresa quella dell’arciprete Giovanni Rogati e di suo fratello. Anche a Supersano, in Puglia, i guerriglieri di Rosario Parata (detto “Sturno”) invadono il paese al grido di “Viva Francesco II”. Il 7 e l’8 Agosto i guerriglieri di Sturno, in una rapida scorribanda nel Salento, eliminano le guardie nazionali di Scorrano, di Nociglia e Surano, dove innalzano gli stemmi duosiciliani. Anche gli insorti di Carpignano, Borgagne e Martano si riuniscono e, guidati da Donato Rizzo (detto Sergente), assalgono la guardia nazionale di Carpignano, impadronendosi dei fucili. Sono inseguiti inutilmente dal sindaco Liborio Salomi, che qualche giorno dopo subisce l’incendio del suo uliveto. Il 9 Agosto, a Cancello, i soldati uccidono 29 civili che manifestavano contro gli occupanti. I guerriglieri dei La Gala assaltano un treno carico di truppe, che subiscono numerose perdite. Il giorno dopo, Ruvo del Monte, S. Giorgio, Molinara, Pago e Pietrelcina sono accerchiate dalle truppe del 31° Bersaglieri comandato dal maggiore Davide Guardi: le case sono saccheggiate, 23 persone sono uccise e confiscato il denaro delle casse comunali. L’ufficiale taglieggia anche i possidenti, dei quali ne arresta numerosi perché si erano rifiutati di pagare e li accusa di attentato alla sicurezza dello Stato. Tra questi bersaglieri sono numerosi quelli che si fanno fotografare, sorridenti, accanto ai cadaveri a cui tengono sollevata la testa tirandola per i capelli. Tra i taglieggiatori vi è anche il maggiore Du Coli del 61° fanteria. Tommaselli, capo della resistenza di Pontelandolfo, allo scopo di acquistare pane e farina per la cittadinanza, il 9 ordina di assaltare una carrozza postale che trasporta le paghe per la truppa. La carrozza è scortata, ma l’assalto è incruento: a nessuno è torto un capello e sono prelevati soltanto il denaro ed i loro preziosi. Sempre il 9 Agosto, il 43° di linea compie un rastrellamento a Borgo di Sora, catturando numerosi combattenti di Chiavone, che sono subito fucilati. A Campobasso è fucilato il comandante Antonio Nardacchione. Le guardie nazionali di Poggiardo, nelle Puglie, riescono a sorprendere la banda del Sergente Romano nel bosco del Belvedere, ma sono fermati dalla reazione degli insorti, che, invece di ucciderli, li bastonano e li lasciano poi fuggire. All’alba del 14 Agosto, Pontelandolfo è circondata. Dopo che un plotone accompagnato da De Marco ha contrassegnato le case dei liberali da salvare, entrati a Pontelandolfo, i bersaglieri fucilano chiunque capita a tiro: preti, uomini, donne, bambini. Le case sono saccheggiate e poi tutto il paese è dato alle fiamme e raso al suolo. Tra gli assassini vi sono truppe ungheresi che compiono vere e proprie atrocità. I morti sono oltre mille. Per fortuna numerosi abitanti sono riusciti a scampare a quel massacro rifugiandosi nei boschi. Nicola Biondi, un contadino di sessant’anni, è legato ad un palo della stalla da dieci bersaglieri, i quali denudano la figlia Concettina, di sedici anni e la violentano a turno. Dopo un’ora la ragazza, sanguinante, sviene per la vergogna e per il dolore. Il bersagliere che la stava violentando, quasi indispettito nel vedere quel corpo esanime, si alza e le spara. Il padre della ragazza, cercando di liberarsi dalla fune che lo teneva inchiodato al palo, è fucilato anch’egli dai bersaglieri. Le pallottole rompono anche la fune e Nicola Biondi cade carponi nei pressi della figlia. Nella casa accanto, un certo Santopietro; con il figlio in braccio, sta per scappare, ma è bloccato dai militari, che gli strappano il bambino dalle mani e lo uccidono senza misericordia. Il maggiore Rossi, con coccarda azzurra al petto, è il più esagitato. Dà ordini, grida come un ossesso, ed è talmente assetato di sangue che con la sciabola infilza ogni persona che riesce a catturare, mentre i suoi sottoposti sparano su ogni cosa che si muove. Dopo aver ammazzato i proprietari delle abitazioni, le saccheggiano: oro, argento, soldi, catenine, bracciali, orecchini, oggetti di valore, orologi, pentole e piatti. Angiolo De Witt, del 36° fanteria bersaglieri (Maggiore Angiolo De Witt, Comandante di una colonna mobile del 36° bersaglieri nelle Puglie) così ha descritto quell’episodio: «… il maggiore Rossi ordinò ai suoi sottoposti l’incendio e lo sterminio dell’intero paese. Allora fu fiera rappresaglia di sangue che si posò con tutti i suoi orrori su quella colpevole popolazione. I diversi manipoli di bersaglieri fecero a forza snidare dalle case gli impauriti reazionari del giorno prima, e quando dei mucchi di quei cafoni erano costretti dalle baionette a scendere perla via, ivi giunti, vi trovavano delle mezze squadre di soldati che facevano una scarica a bruciapelo su di loro. Molti mordevano il terreno, altri rimasero incolumi, i feriti rimanevano ivi abbandonati alla ventura, ed i superstiti erano obbligati a prendere ogni specie di strame per incendiare le loro catapecchie. Questa scena di terrore durò un “intera giornata: il castigo fu tremendo…» Il 16 Agosto inizia, alle assise di Torino, il processo Cibolla. L’imputato, un ladro ed assassino, ha indicato in un funzionario piemontese, Filippo Curletti, collaboratore di Cavour, la persona che gli aveva permesso impunemente di compiere i suoi delitti. Uno dei complici del Cibolla è morto misteriosamente in carcere prima del processo ed anche il Cibolla si salva a stento da un misterioso malessere. Il Curletti è fatto scarcerare da Cavour e si rifugia in Svizzera, dove dopo qualche mese farà stampare un libro in cui sono descritte ruberie di Cavour, di Vittorio Emanuele, di Garibaldi, dei vari generali piemontesi e dei brogli del Plebiscito. Denunciava, inoltre, che nel Napoletano i piemontesi compivano estorsioni per fare o non fare incarcerare, per fare o non fare fucilare, si spartivano i proventi dei saccheggi e compivano ricatti. Il generale Cialdini rassegna per telegrafo le dimissioni, ma il governo non le accetta. Il 17 Agosto gli insorgenti di Castrignano de’ Greci, di Guagnano, Ginosa, Laterza e Castellaneta, assaltano la guardia nazionale appropriandosi delle armi e bruciando il tricolore e i ritratti di Vittorio Emanuele e di Garibaldi.

fonte http://belsalento.altervista.org/la-guerra-civile-nel-salento-cronaca-storica-della-prima-resistenza-nel-salento-luglio-e-agosto-1861-il-regno-delle-due-sicilie-e-annesso-al-piemonte/?fbclid=IwAR26mEDtotG6fTFiTBZ0ncDQWlmREyuiVpbG-QReKBQ3Wz5tInBo1K6h4ng

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