Alta Terra di Lavoro

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LA LEGGE PICA

Posted by on Ott 6, 2017

LA LEGGE PICA

«Art. 1°. Fino al dicembre del corrente anno 1863, nelle provincie infestate dal brigantaggio e che tali saranno dichiarate, con Decreto Reale, i componenti di comitiva o banda armata composta almeno di tre persone, la quale vada scorrendo le pubbliche strade o le campagne per commettere crimini e delitti, ed i loro complici, saranno giudicati dai tribunali militari di cui nel libro II, parte 2a del Codice Penale Militare e con la procedura determinata dal capo 3° del detto libro [fucilazione].

«Art. 2°. I colpevoli del reato di brigantaggio, i quali armata mano oppongono resistenza alla forza pubblica, saranno puniti con la fucilazione o coi lavori forzati a vita, concorrendovi circostanze attenuanti. A coloro che non opponessero resistenza, nonché ai ricettatori e somministratori di viveri, notizie ed aiuti di ogni materia, sarà applicata la pena dei lavori forzati a vita, e, concorrendovi circostanze attenuanti, il maximum dei lavori forzati a tempo.

«Art. 3°. Sarà accordata a coloro che si sono già costituiti o si costituiranno volontariamente nel termine di un mese dalla pubblicazione della presente legge la diminuzione da uno a tre gradi di pena. Tale pubblicazione dovrà pertanto esser fatta in ogni comune.

«Art. 4°. Il Governo avrà pure facoltà dopo il termine stabilito nell’art. precedente, di abilitare alla volontaria presentazione col beneficio della diminuzione d’un grado di pena.

«Art. 5°. Il Governo avrà inoltre la facoltà di assegnare per un tempo non maggiore d’un anno un domicilio coatto agli oziosi, ai vagabondi, alle persone sospette secondo la designazione del Codice Penale, nonché ai camorristi e sospetti manutengoli dietro parere di giunta composta dal Prefetto, dal Presidente del tribunale, dal Procuratore del re e da due consiglieri provinciali.

«Art. 6°. Gli individui di cui nel precedente articolo, trovandosi fuori del domicilio loro assegnato, andranno soggetti alla pena stabilita dall’alinea 2 dell’art. 29 del Codice Penale che sarà applicata dal competente tribunale circondariale.

«Art. 7°. Il Governo del re avrà facoltà d’istituire compagnie o frazioni di compagnie di volontari a piedi o a cavallo, decretarne i regolamenti, l’uniforme e l’armamento, nominandone gli ufficiali e Regi Ufficiali, e ordinarne lo scioglimento. I volontari avranno dallo Stato la diaria stabilita per i militi mobilitati; il Governo però potrà accordare un soprassoldo il quale sarà a carico dello Stato ».

È caduta definitivamente la scure sabauda tra capo e collo dell’Italia del Sud. Non c’è pietà, né è utile che ci sia. Questo è il sigillo che autorizza e da ragione e vigore a ogni persecuzione già avvenuta nel tempo. Chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto… Forse è nato allora il tristissimo detto napoletano. Morti a cataste, torme di schiavi ai lavori forzati, schiere di esuli, senza casa e senza pane, senza onore, si vanno aggirando per le strade d’Italia, d’un’altra Italia, ostile e beffarda, dovunque accolte dal sospetto che è anche terrore e ripugnanza persino. Il destino del Sud è ormai fissato per cento anni almeno.

Colajanni, Nel Regno della Mafia: da Realtà Siciliana di G. GarrettoLe autorità governative, in connivenza spesso con la mafia, esercitavano ingiustizie, ricatti, soprusi e torture indicibili, arrivando ad organizzare, esse stesse, delitti, furti, cospirazioni ed agguati. Il Tajani ne era esterrefatto, e per porre un freno a quella situazione, arrivava a procedere, per omicidio ed altri reati, persino contro il Questore di Palermo, accusandolo di avere agito in pieno accordo con lo stesso generale Medici”.

Napoleone Colajanni: “Questo ufficiale (piemontese n.d.r.) si presentò di notte, con gli uomini della sua colonna, in una casina, i cui abitatori, temendo dei briganti, non vollero aprire. Allora il prode militare la circondò di fascine, vi applicò il fuoco e fece morire soffocati i disgraziati che legittimamente resistettero ai suoi ordini”.

Macaluso, Rivelazioni politiche sulla Sicilia e gravi pericoli che la minacciano, Torino, 1863 da Realtà siciliana di G. Garretto, 1862: Grandissima esasperazione negli spiriti di quei Siciliani che si danno seriamente pensiero delle sorti dell’Isola poiché è nato in essi il sospetto che il governo, mentre ostenta il proposito di volere difendere la Costituzione e quindi le libertà civili in essa sancite, miri, al contrario, a fiaccare nei Siciliani ogni sentimento di libertà e di fierezza. Si assiste alla continua spedizione nell’Isola di tanti prefetti avventurieri, e di tanti improvvisati organizzatori, ispettori, commissari, espoliatori, e, per dirla alla siciliana, di tanti Verre, che per coprire la loro incapacità e rapacità, crede opportuno calunniare il paese, e distruggere quel nazionale sentimento che muove e nobilita la Sicilia. Il Governo che da il triste spettacolo di calpestare lo Statuto ed ogni legge umana e divina, pretende che la Sicilia, dopo d’avere acquistato i suoi diritti per proprio valore, debba adottare l’abnegazione la più cieca, la più vigliacca e la più codarda, di farsi impunemente assassinare e infamare”.

  1. Crispi, da Realtà siciliana di G. Garretto: “La popolazione (siciliana) in massa detesta il governo d’Italia, che, al paragone, trova più tristo del Borbone”.
  2. D’Azeglio, da Realtà siciliana di G. Garretto: “Nessuno vuole saperne di noi … Siamo venuti in odio a tutti e tutti sono divenuti nostri nemici”.

Proto di Maddaloni, deputato meridionale al parlamento, in una seduta del 1861: “I nostri concittadini vengono fucilati senza processo, dietro l’accusa di un nemico personale, magari soltanto per un semplice sospetto…”.

Conte Alessandro Bianco di Saint-Joroz, capitano di Stato maggiore piemontese: “Spioni dell’antica polizia, uscieri, commessi di magazzino, etc., sono oggi nominati giudici, prefetti, sottoprefetti, amministratori … Un mio amico trovava installato, in qualità di giudice, un individuo che, mediante quattro carlini, gli aveva procurato reiterati convegni con una sgualdrina. L’arbitrio governativo non ha limiti: un onesto uomo può ritrovarsi disonorato, da un momento all’altro, per la bizza del più meschino funzionario … Facendo un calcolo approssimativo, possiamo arrivare alla spaventevole cifra, per il Regno delle Due Sicilie, di 52 mila incarceramenti all’anno, di 9.400 deportati all’anno, mentre sotto l’esecrato governo borbonico il numero dei carcerati non oltrepassò i 10 mila e i deportati non arrivarono neanche a 94. Si fucila a casaccio, senza processo, senza indagini… Il reclutamento è stato definito giustamente una tratta di bianchi: si arrestano, si seviziano le madri, le sorelle di ogni presunto refrattario e su di esse si sfrena ogni libidine …”.

fonte

sudindipendente.ws

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