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La mostra/Tutti pazzi per Pompei@Madre. Materia Archeologica

Posted by on Nov 22, 2017

La mostra/Tutti pazzi per Pompei@Madre. Materia Archeologica

Nata da una idea luminosa, realizzata con sapienza e presentata con garbo, la mostra Pompei@Madre. Materia Archeologica è bellissima. Interessante, coinvolgente, emozionante.
Inaugurata l’altro ieri mattina (sabato 18 novembre), durerà fino al 30 aprile 2018. E’ a cura di Massimo Osanna, direttore del Parco Archeologico di Pompei, e di Andrea Viliani, direttore del napoletano Madre (acronimo del Museo d’Arte contemporanea Donnaregina),  con il coordinamento curatoriale, per la sezione moderna, dello storico dell’arte Luigi Gallo. Essendo molto complessa, la mostra ha richiesto l’impegno di molti.
Ed è stata soprattutto frutto del lavoro di una qualificata e numerosa équipe,formata dagli staff di esperti del Parco Archeologico  pompeiano, del Madre, della Reggia- Museo e del Real Bosco di Capodimonte, del Mann (Museo Archelogico Nazionale Napoletano) e del Polo Museale Campano, da cui le opere provengono per la maggior parte. Ha avuto anche la collaborazione della Biblioteca Nazionale e dell’Institut français de Naples, della Casa di Goethe, della Biblioteca e dell’Istituto Archeologico Germanico di Roma, della Fondation Le Corbusier, dell’Ecole Nationale Supérieure de Beaux Arts di Parigi e di importanti collezioni private internazionali.
L’idea base dell’iniziativa è che i musei non devono essere chiusi nello spazio e fermi nel tempo. Da qui l’intento di aprirli quanto più possibile al pubblico e di evidenziare il loro valore di testimoni di una storia umana che, svolgendosi nel presente, continua nel passato e dal passato.
La mostra consta di opere antiche e di opere contemporanee, inaspettatamente ed efficacemente accostate tra loro. Sono collocate al Madre, negli antichi locali del convento di Donnaregina, ristrutturato dall’architetto contemporaneo Álvaro Siza e con l’ingresso decorato dall’attualissimo artista Daniel Buren, con forti lucenti colori avvicinati l’un l’altro con una dodecafonica musicalità.
Le opere antiche, così decontestualizzate, cioè fuori dal proprio ambiente,finalmente possono essere viste nel loro valore assoluto, al di là del loro tempo. Confrontate alle opere contemporanee, acquistano una insospettata attualità. Le opere contemporanee,  a loro volta, con questo confronto, spesso denunciano i loro inscindibili legami con il passato, testimoniando la loro origine nell’intramontabile vitalità di quell’arte detta romana o pompeiana, ma che sarebbe meglio chiamare magnogreca. Perché con tale nome, per verità storica, dovrebbe essere denominata quell’arte che convertì a sé gli oschi, gli etruschi e quei romani i quali, poi, con le loro conquiste militari e con l’Impero, la diffusero nel mondo.

Quindi, si può affermare che questa mostra potrà stimolare un maggiore interesse, anche turistico, per quei luoghi della Grande Grecia, dove questa civiltà fu prodotta. E si può anche augurare che questa mostra, che, già nel primo giorno, ha attirato, oltre a tantissimi giornalisti, un folto pubblico di vip, di artisti e di gente normale, possa ispirare una energica azione politica e un rinnovato movimento artistico/culturale. Non solo, ma anche suggerire forme e contenuti alla produzione industriale.
Gli antichi manufatti appartenenti all’epoca romana (i Romani, con la Guerra Sociale del 89 a.C. già avevano conquistato quello che poi sarà il Regno delle Due Sicilie) sono affreschi, vasi e mosaici; ma  anche oggetti di uso quotidiano, come ciotole e portaprofumi. E c’è anche una interessantissima chiave d’arresto di una fontana, molto simile alla nostra.
Dell’eruzione del Vesuvio del 79 d. C. ci sono le ossa dei morti e il calco di un pompeiano ucciso da quel terribile evento. Si trova nella sala dove l’artista Mimmo Paladino ha creato in scultura una forma umana simile a quel calco: semplificata al massimo, con la testa rivolta verso la parete, è espressione di un’umanità ormai ridotta al nocciolo e dai ridotti valori. Così anche Luigi Mainolfi rappresenta un’umanità oppressa, ridotta al minimo: ne realizza soltanto la testa e di questa soltanto una fetta, stretta tra due serie di tavolette di legno.
Un accostamento molto interessante (suggerisce un ironico commento) è quello tra i ben noti quadrati di Giulio Paolini e un piccolo pezzo (forse 30 centimetri x 25), di un muro antico, su cui è affrescato un quadrato visto e realizzato in obliquo, che pare dire all’artista: “ guarda: anche noi sapevamo fare bene i quadrati e sapevamo anche riprenderli da più punti di vista.”
Suggeriscono la dolcezza della natura com’era concepita in antico gli affreschi di giardini che si trovavano nelle ville pompeiane e ora visibili in mostra. Rifacendosi a essi, la giovane artista Haris Epaminonda si cimenta in una bella ed elegante realizzazione di un’idea di natura, semplificandola in un grosso sasso accostato a  una grande foglia.
Attirano gli sguardi due grandi e belle fotografie, su una parete, di due antiche teste affrescate. Sono fratte, come strappate. Sono di Mimmo Jodice. «Le ho riprese più di venti anni fa.- mi dice l’autore, lì presente- Erano appena uscite da uno scavo. Mi hanno molto emozionato ».
In un’altra sala, c’è un bellissimo efebo in bronzo lucente, è un lampadoforo. Gli sono vicini due enormi parallelepipedi di nerissimo opaco metallo, senza luce. Si chiamano, chissà perché, Giuditta e Oloferne. Fanno parte della collezione permanente del Madre. Ma probabilmente nessuno potrebbe avere il desiderio di spostarli di là. Perché sono talmente pesanti che ci sono voluti accorgimenti particolari per trasportarveli. Anzi, nel giorno del trasloco, causa il loro peso, si ruppero delle tubature e il rione rimase senza acqua.
Testimoni del tempo che passa e continua sono anche le ceste usate per portare i materiali degli scavi archeologici che ancora, dal 1738, si effettuano nei paesi vesuviani colpiti dall’antica eruzione. In mostra vi sono anche i quadri che agli antichi reperti si ispirarono, come le scene del Vesuvio in eruzione, dipinte dal pittore settecentesco Pierre-Jacques Volaire. Sono accostate alla veduta del Vesuvio di Andy Warhol e a quella, vicinissima  a noi nel tempo, di Wade Guyton. Accanto vi troviamo, del secolo scorso, le locandine degli scavi  pompeiani,  e  gli orari dei treni per raggiungerli. Chissà se erano così poco puntuali come ora.

Questo articolo descrive solo una piccola parte della ricchissima esposizione della mostra. Per la cronaca: data l’importanza dell’evento, non potevano mancare, sabato scorso, all’inaugurazione  della mostra, i politici. Infatti  vi sono intervenuti il presidente della Regione Campania Enzo De Luca e il ministro della cultura Dario Franceschini.
Per saperne di più
http://www.madrenapoli.it/

 

Adriana Dragoni

Fonte

Ilmondodisuk.com

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