Alta Terra di Lavoro

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La ragazza con l’orecchino di perla? C’è la sorella, a Capodimonte. Con Vermeer

Posted by on Dic 2, 2016

La ragazza con l’orecchino di perla? C’è la sorella, a Capodimonte. Con Vermeer

Il Real Bosco di Capodimonte, a Napoli, non è un posto qualsiasi. È un grande giardino (140 ettari) disegnato dal nobile napoletano Ferdinando Sanfelice, architetto geniale, per il suo Re. E anche per noi, che oggi scrutiamo i rami folti degli alti alberi che vanno verso il cielo, i prati intorno e i viali che dolcemente s’incurvano addentrandosi nel verde. Poi ci volgiamo verso la facciata della Reggia, di un’eleganza composta, e vi entriamo.

Nella Reggia ora c’è un ospite importante, che viene dal Metropolitan Museum di New York. È “la donna con il liuto” di Jan Vermeer (1632/1675), alloggiata qui con tutti gli onori. Per raggiungerla, è stato preparato per i visitatori un percorso attraverso saloni con alcune opere di stupefacente bellezza, che abitano ogni giorno nel museo, dai Tiziano al Masaccio.

Ci troviamo, quindi, già in una particolare atmosfera quando arriviamo nella sala dove c’è lei. Al di sopra della porta, una grande scritta  “IV Meer”: è la firma del pittore. Lei è di fronte a noi, aureolata da un brano, colorato di giallo, della parete di un rosso antico (la tinta originaria delle sale della Reggia). Ha  la sua cornice di legno lavorata in rilievo, che la allontana da noi e la rinchiude nella sua stanza silenziosa. Una stanza che è un’apparizione, un magico mondo dove lo spazio affonda nella parete chiara, coperta, in parte, dal grigio di una carta geografica che lo trattiene, è ampliato dal pavimento a cardamone, cioè con le mattonelle collocate di sbieco, è movimentato dal tavolo in disordine posto accanto alla finestra. E tracima fuori, seguendo lo sguardo della donna volto a occhieggiare oltre i vetri di questa finestra.

Anche la viola di gamba e la sedia dall’alta spalliera, macchia scura in primo piano, difendono la riservatezza della donna e chiudono in sé quel mondo sereno, dai tranquilli fremiti di vita. Notiamo la magia della luce che accarezza ogni cosa ma anche la precisione con la quale i singoli oggetti sono ritratti: le carte musicali sul tavolo, una è caduta sul pavimento, i vetri a piombo della finestra, la carta geografica. In questa sono chiaramente riconoscibili le autonome Province dei Paesi Bassi, paesi protestanti ufficialmente riconosciuti dal trattato di Vestfalia del 1648, una data recente per il dipinto (che è circa degli anni ’60).

La carta geografica rivela, così, l’attenzione dell’artista a quel mondo reale che lui trasfigura. Una curiosità: Vermeer dipinge le carte geografiche spesso, in quattro dei suoi quadri. Testimonia così non solo il suo interesse per la geografia e, forse, il suo orgoglio nazionalistico, ma anche il suo interesse per la geometria proiettiva, che è alla base di queste carte.

E ricorda gli avanzamenti della scienza prospettica nei Paesi Bassi, dove erano state accolte anche le scoperte di Girard Desargues (1591/1661), un francese amico di René Descartes, detto Cartesio (1596/1650): erano militari tutti e due e avevano studiato tutti e due nel collegio militare (dove a quel tempo la matematica veniva studiata), ma erano molto diversi. Cartesio si manteneva nell’ambito della geometria euclidea, Desargues, invece, andava oltre, occupandosi della geometria proiettiva nel suo “Brouillon project d’une atteinte aux evenements des rencontres d’un Cône avec un plan”.

Un’opera che, non accettata dai collegi dei Gesuiti (l’altro luogo dove la matematica veniva studiata), era stata invece introdotta nei Paesi Bassi. Come i prospettici suoi contemporanei, anche Jan Vermeer usa la camera ottica. Che sembra sia stata usata anche dal nostro Caravaggio (1571/1610), al quale Vermeer viene paragonato, per osservarne le similitudini (l’importanza per entrambi dell’uso della luce) e le profonde differenze.

Tali  da potere, senza alcuna incertezza, affermare che non è un mezzo tecnico, come la camera oscura, a determinare un dipinto ma la sensibilità, il desiderio e la volontà del suo autore. Le differenze tra i due artisti sono evidenti. In primis, mentre il mondo di Vermeer, come abbiamo osservato, si rinchiude nella sua riservatezza, le immagini di Caravaggio vengono porte in avanti, (come il tavolo di una “Cena in Emmaus”), o addirittura sbattute in faccia all’osservatore, come la bellissima e raccapricciante testa di Golia tenuta da Davide per i capelli. Di due temperamenti diversi Vermeer e Caravaggio.

L’uno più riflessivo, l’altro più immediatamente passionale. Ma diversi erano i loro ambienti sociali. Caravaggio era vissuto nella Roma papalina post-conciliare. Cioè nell’atmosfera culturale che si era formata dopo il controriformistico Concilio di Trento (1545/1563), che affermava, tra l’altro, il dovere cristiano di dover pensare, in ogni occasione della propria vita, sempre all’aldilà, unica meta finale.

Ciò in accordo con le teorie religiose, prospettiche e architettoniche dei Gesuiti (che ancora nel 1711 legifereranno che le chiese dovevano essere a navata unica, esaltando la prospettiva dell’altare in fondo): una prospettiva con un unico punto di fuga centrale di uno spazio cartesiano tridimensionale. Caravaggio, ribelle alle regole di questo ristretto spazio, con uno sforzo disperato, se ne libera oscurandolo, dipingendo il buio. (Venuto a Napoli, negherà lo spazio architettonico e ne realizzerà uno fatto dai rapporti tra le persone ne “Le sette opere di misericordia”).

Per Vermeer, invece, lo spazio esiste. Ma è il “suo” spazio. Quello che ritroviamo ne “la donna con il liuto”. Non è certo lo spazio canonico. È uno spazio musicale – è stato detto – , dai ritmi leggeri e brillanti. E Vermeer usa la camera ottica senza dirigerla verso un unico punto centrale. Infatti è stato accertato che nella sua famosa “Veduta di Delft” usa la camera ottica da un unico punto di stazione ma volgendola da un lato e poi dall’altro: una prospettiva con due punti di fuga, cioè bifocale, ovvero, come è stato detto, bioculare.

Nelle Province Unite d’Olanda la scienza matematica poteva più liberamente svilupparsi: vi era un ambiente protestante, libero dai dettami della Chiesa romana e dalle ingerenze gesuitiche. Diversi da quelli di Caravaggio sono anche i soggetti rappresentati da Vermeer (mancano, di Vermeer, quelli religiosi), e anche i formati delle opere. Secondo la sua sensibilità ritrosa, e secondo le richieste dei committenti, la borghesia mercantile olandese, le opere di Vermeer sono, come “la donna con il liuto”, di piccolo formato.

L’artista, di nascita e di educazione calvinista, aveva però sposato una cattolica e pare che si sia convertito al cattolicesimo. Ma che abbia conservato l’impronta della sua educazione calvinista appare chiaramente nella sua pittura liberamente laica.

Le sale della reggia di Capodimonte, ha dichiarato il direttore Sylvain Bellenger il giorno dell’inaugurazione, ritorneranno come un tempo, con i colori originari delle pareti. E Capodimonte non sarà considerato soltanto un semplice museo ma soprattutto una Reggia, che raccoglie la libera bellezza di tutti i tempi. Così ora la Reggia dei Borbone antigesuiti accoglie e cerca di comprendere con apertura mentale l’antigesuitico laico ma cattolico Jan Vermeer. 

 

 Adriana Dragoni

www.agenziaradicale.com

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