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LA VERA STORIA DEL RISORGIMENTO

Posted by on Nov 26, 2017

LA VERA STORIA DEL RISORGIMENTO

Scriveva Honoré de Balzac che: «Vi sono due storie: la storia ufficiale, menzogniera, che ci viene insegnata [tanto per capirci, quella scritta dai vincitori e che ci hanno fatto studiare a scuola, n.d.r.], la storia ad usum delphini, e la storia segreta, dove si trovano le vere cause degli avvenimenti, una storia vergognosa».

In particolare, sul conto di Ferdinando II di Borbone, per oltre un secolo e mezzo, la storiografia dei vincitori si è accanita e non ha fatto altro che denigrarlo fino all’inverosimile, inventando calunnie su calunnie; e la sistematica demonizzazione della dinastia dei Borbone di Napoli si è intrecciata – non proprio per caso – con la denigrazione dell’intero popolo meridionale (dei poveri “terroni!”), attraverso le tantissime menzogne confezionate ad arte negli ambienti massonici, italiani ed europei.

È necessario, a questo punto, capire con chiarezza che cosa esattamente accadde più di un secolo e mezzo fa. Cominciamo col dire che la Vera Storia del Risorgimento non è quella che ci hanno fatto studiare a scuola.

Infatti, a seguito dell’unificazione politico-territoriale della Penisola nel 1860-61, la storia di quegli avvenimenti fu scritta ed adeguata in funzione dei nuovi padroni, i Savoia, i quali dovevano giustificare, ai contemporanei e ai posteri, l’illecita invasione del Regno delle Due Sicilie (un legittimo Stato sovrano, che non costituiva pericolo per nessuno e che, per sua secolare vocazione, era in pace con tutti gli altri Stati, italiani ed europei – compreso il Regno di Sardegna – con i quali intratteneva regolari relazioni diplomatiche; mai aggressore, ma sempre aggredito!), avvenuta senza casus belli, cioè senza motivazioni politico-giuridiche e, cosa gravissima, senza dichiarazione di guerra.

Si toccarono, in tal maniera, gli stessi infimi ed incivili livelli della pirateria (attraverso la spedizione dei Mille) e delle invasioni barbariche (attraverso l’aggressione piemontese), in violazione alle più elementari norme dello jus gentium, prima fra tutte quella che sancisce il «diritto all’autodeterminazione dei popoli».

Infatti, come sagacemente osserva la storica Elena Bianchini Braglia, «nella storia, anche in quella più remota, anche in quella dei secoli che gli stessi liberal-massoni dell’Ottocento definivano oscuri e barbari, mai nessuna guerra fu reputata legittima senza essere sorretta dall’atto formale della sua dichiarazione.

Prima che un esercito invadesse uno Stato, occorreva che un previo documento denunciasse motivazioni, eventuali colpe commesse, eventuali atti di riparazione chiesti, e annunciasse un intervento armato solo qualora questi non venissero concordati.

Questa era la “barbarie dei secoli oscuri”. La civiltà dei secoli illuminati, invece, ammette che un esercito attacchi e vada ad occupare terre altrui senza alcuna motivazione o preavviso… Bene, dopo un secolo e mezzo, mi pare non sia troppo presto, ma mi auguro non sia nemmeno troppo tardi, per cominciare a chiamare le cose con il loro nome».( [1])

Occorre però capire che, in realtà, quello dell’unità d’Italia fu solo un vergognoso pretesto, utilizzato dall’usurpatore Vittorio Emanuele II di Savoia, per cacciare i legittimi sovrani e saccheggiare le ricchezze degli altri Stati della Penisola (in primis, quelle del florido Regno delle Due Sicilie), onde evitare la bancarotta del misero e fallimentare Piemonte che, all’epoca, era indebitato fino al collo, a causa delle gravosissime spese sostenute per la dissennata politica militarista e guerrafondaia del megalomane Cavour.

Questa è la pura e semplice verità, rivelataci da un’attendibilissima fonte: il deputato piemontese Pier Carlo Boggio, nel suo Pamphlet dal titolo «Fra un mese», pubblicato nel 1859;( [2]) ma questa verità, purtroppo, non la si trova scritta in alcun manuale scolastico.

Per sola spedizione in Crimea (che comportò l’invio di 18 mila uomini, dei quali 14 morirono in combattimento alla Cernaia e 1.300 per il colera), fu necessario ottenere in prestito dalle banche inglesi 1 milione di sterline; contratto nel 1855 dal Piemonte, il debito (comprensivo dei relativi interessi) verrà estinto solamente nel 1902, e da parte di tutti i contribuenti italiani.( [3])

Pino Aprile, in «Terroni», afferma che: «Il Piemonte era pieno di debiti; il Regno delle Due Sicilie pieno di soldi. Quante volte abbiamo letto che i titoli di Stato del primo, alla Borsa di Parigi, quotavano il 30 per cento in meno del valore nominale; quelli del secondo, il 20 per cento in più; e che al Sud, con un terzo della popolazione totale, c’era in giro il doppio dei quattrini che nel resto d’Italia messo insieme?

L’impoverimento del Meridione per arricchire il Nord non fu la conseguenza, ma la ragione dell’Unità d’Italia».( [4]) Infatti, fra il 1859 ed il 1861, il debito pubblico piemontese aveva raggiunto i 2 mila milioni di lire, una cifra astronomica per quei tempi, specialmente per un piccolo Stato come il Piemonte.( [5])

Per questi motivi e non per altro, Vittorio Emanuele II e Cavour decisero di occupare le ricche Due Sicilie; nella drammatica situazione socio-economica in cui versiamo oggi, non l’avrebbero mai fatto: si sarebbero legati un’ingombrante palla al piede!

Ma, per poter realizzare i loro squallidi progetti di rapina ai danni del Regno delle Due Sicilie, i Savoia ed i loro sodali (prima fra i quali la massonica Inghilterra) utilizzarono, innanzitutto, la potente arma della propaganda, denigratoria e calunniosa, contro i Borbone, che raggiunse risultati incredibili ed, addirittura, insperati per gli stessi che la promossero.

La lezione, valida ancora oggi, insegna che «la propaganda politica è la migliore arma per distruggere il nemico».

Tutto ebbe inizio nel lontano 1850, allorquando il deputato inglese William Gladstone fu inviato dal suo governo per seguire il processo che si sarebbe dovuto svolgere nelle Due Sicilie a carico degli aderenti alla società segreta «Unità d’Italia», le cui attività sovversive andavano dalla diffusione di proclami antimonarchici, che invitavano alla disobbedienza civile, all’organizzazione di attentati come quello del settembre 1849, quando un ordigno fu fatto esplodere davanti al palazzo reale di Napoli, mentre si svolgeva una festa in onore del Papa Pio IX il quale, fuggito a suo tempo da Roma ove era stata proclamata la Repubblica romana, si apprestava a benedire una folla di ben centomila persone.

Qualsiasi governo al mondo avrebbe perseguito penalmente una setta segreta che, con la violenza, minacciava la sua stessa esistenza e propugnava l’assassinio politico.( [6])

Note
[1] Elena Bianchini Braglia, “Risorgimento: le radici della vergogna. Psicanalisi dell’Italia”, Centro Studi sul Risorgimento e sugli Stati Preunitari – Terra e Identità, Modena, 2009, pag. 210.
[2] Angela Pellicciari, “I panni sporchi dei Mille”, Ed. Liberal, Roma, 2003, pag. 146.
[3] Gigi Di Fiore, Controstoria dell’unità d’Italia. Fatti e misfatti del risorgimento”, Ed. Rizzoli, Milano, 2007, pagg. 58-59.
[4] Pino Aprile, “Terroni”, Ed. Piemme, Milano, 2010, pag. 94.
[5] Dalla lectio dedicata a Marco Minghetti, tenuta dall’economista liberale Vito Tanzi (ex direttore del Dipartimento di Finanza pubblica del Fondo Monetario Internazionale dal 1981 al 2000; consulente della Banca Mondiale, nonché sottosegretario all’Economia dal 2001 al 2003) il 25 ottobre 2011 presso la Fondazione CRT di Torino su “150 anni di finanza pubblica in Italia”; cfr. Il Giornale del 26 ottobre 2011.
[6] Giuseppe Ressa, “La calunnia come arma politica”, in http://www.ilportaledelsud.org/, aprile 2009.

fonte

la storia che non si racconta

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