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La vera storia dell’impresa dei Mille: tutto quello che i libri di storia continuano a nascondere

Posted by on Apr 14, 2019

La vera storia dell’impresa dei Mille: tutto quello che i libri di storia continuano a nascondere

Cominciamo oggi la pubblicazione a puntate di un saggio scritto da Giuseppe ‘Pippo Scianò, figura storica dell’Indipendentismo siciliano. Libro dal titolo emblematico: “e nel maggio del 1860 LA SICILIA DIVENTO’ COLONIA” (Pitti edizioni Palermo, 18,50 euro). Titolo che sintetizza in modo efficace la storia di un volgare imbroglio, contrabbandato come grande impresa epica. In realtà, come leggerete in questo volume – ricco di citazioni originali e di fatti nascosti dalla storiografia ufficiale – nell’impresa non di Garibaldi, ma degli inglesi che lo foraggiavano e gli impartivano ordini, non c’è proprio nulla di eroico.

Non vogliamo anticiparvi quello che leggerete, sicuramente con interesse, anche divertendovi, perché nell’operetta oscena dell’impresa dei Mille non mancarono gli aspetti tragicomici.

Due cose, però, le vogliamo dire.

La prima cosa è che quella che è passata alla storia come ‘L’impresa dei Mille’ fu, in verità, un’operazione di immane corruzione morale ed economica.

Senza la corruzione operata dagli inglesi e dai piemontesi e, soprattutto, senza il tradimento di generali, ammiragli e alti ufficiali del Regno delle Due Sicilie Garibaldi e i suoi ‘Mille’ non avrebbero nemmeno messo piede in Sicilia.

La seconda cosa – legata sempre alla corruzione – è il ruolo esercitato dalla criminalità organizzata del Sud. In questo volume Scianò parla solo della Sicilia e, per ciò che riguarda i criminali, della mafia siciliana, allora già attiva, anche se legata al feudo. 

Per i nostri lettori non si tratta di una novità. Nelle dieci puntare della ‘Controstoria dell’impresa del Mille’ pubblicata su questo blog (QUI TROVATE LE DIECI PUNTATE DELLA CONTROSTORIA DELL’IMPRESA DEI MILLE) abbiamo già raccontato del ruolo attivo svolto dalla mafia nelle ‘imprese’ garibaldine in Sicilia.

Nel saggio di Scianò l’argomento viene trattato in modo molto dettagliato. E questo è importante, perché è solo approfondendo la storia di quei giorni – quando comincia quella che lo scrittore Carlo Alianello definisce ‘La conquista del Sud’ – che si comincia a capire perché l’Italia di oggi è così brutta.

Del resto, lo stesso Indro Montanelli – che dell’impresa del Mille ha raccontato poco o nulla – ammette che il ‘mastice’ con il quale, nel Risorgimento, è stata fatta l’Italia era debole. Perché, aggiunge, il Risorgimento fu un fatto che riguardò pochi, lasciando fuori il popolo, che l’unità d’Italia la subì. 

La prima cosa è che quella che è passata alla storia come ‘L’impresa dei Mille’ fu, in verità, un’operazione di immane corruzione morale ed economica.

Senza la corruzione operata dagli inglesi e dai piemontesi e, soprattutto, senza il tradimento di generali, ammiragli e alti ufficiali del Regno delle Due Sicilie Garibaldi e i suoi ‘Mille’ non avrebbero nemmeno messo piede in Sicilia.

La seconda cosa – legata sempre alla corruzione – è il ruolo esercitato dalla criminalità organizzata del Sud. In questo volume Scianò parla solo della Sicilia e, per ciò che riguarda i criminali, della mafia siciliana, allora già attiva, anche se legata al feudo. 

Per i nostri lettori non si tratta di una novità. Nelle dieci puntare della ‘Controstoria dell’impresa del Mille’ pubblicata su questo blog (QUI TROVATE LE DIECI PUNTATE DELLA CONTROSTORIA DELL’IMPRESA DEI MILLE) abbiamo già raccontato del ruolo attivo svolto dalla mafia nelle ‘imprese’ garibaldine in Sicilia.

Nel saggio di Scianò l’argomento viene trattato in modo molto dettagliato. E questo è importante, perché è solo approfondendo la storia di quei giorni – quando comincia quella che lo scrittore Carlo Alianello definisce ‘La conquista del Sud’ – che si comincia a capire perché l’Italia di oggi è così brutta.

Del resto, lo stesso Indro Montanelli – che dell’impresa del Mille ha raccontato poco o nulla – ammette che il ‘mastice’ con il quale, nel Risorgimento, è stata fatta l’Italia era debole. Perché, aggiunge, il Risorgimento fu un fatto che riguardò pochi, lasciando fuori il popolo, che l’unità d’Italia la subì. 

Regno delle Due Sicilie, che ancora era uno Stato libero ed indipendente.

Paradossalmente avviene che la sola ipotesi di un eventuale Stato Siciliano

sovrano – proprio per la posizione strategica della Sicilia nel Mediterraneo -venga vista con diffidenza dal Governo di Londra. Ciò nonostante la tradizionale amicizia ed i trascorsi sostanzialmente filo-inglesi di gran parte di Indipendentisti Siciliani ancora presenti sulla scena politica.

La Sicilia, insomma, viene considerata dal Gabinetto di Londra come un fattore di instabilità e di pericolo proprio per la pax britannica. Vale a dire proprio per quel progetto più grande di nuovo ordine che la stessa Inghilterra, maggiore potenza del mondo in quel momento, vuole instaura- re nel Mediterraneo ed in Europa.

La conquista della Sicilia diventa, pertanto, il primo obiettivo da rag- giungere, senza darle alcuna via di scampo. Ovviamente facendola ingloba- re nello Stato sardo-piemontese saldamente in mano a Vittorio Emanuele
II. Il tutto con l’inganno, con la violenza e… soprattutto manu militari. Ed a prescindere dalla volontà e dalle aspirazioni del Popolo Siciliano.

Il premier inglese Lord Palmerston, leader dei Whigs, peraltro forte di un fresco successo elettorale è, infatti, da sempre sostenitore dell’utilità di quel grande Stato Italiano, da costruire, facendolo estendere, come abbiamo già detto, dalle Alpi al centro del Mediterraneo. E che diventi forte e credibile fagocitando due realtà statuali importantissime: lo Stato Pontificio ed il Regno delle Due Sicilie. Da aggiungere alle altre realtà geopolitiche del Centro e del Nord-Italia, già fagocitate e che ci permettiamo di definire minori (rispettosamente), soprattutto in rapporto all’incidenza sulla grande strategia imperialista della Gran Bretagna.

Il Governo Inglese ha un suo ben definito programma che vuole attuare al più presto. Teme, infatti, che quel facilista di Napoleone III, Imperatore dei Francesi, si accorga prima o poi del ginepraio nel quale si è cacciato. E teme altresì che l’Impero Austro-Ungarico e la Russia decidano a loro volta di raggiungere una intesa per attivare qualche contromossa.

Occorre, dunque, far presto e dare a tutta l’operazione una parvenza di legittimità rivoluzionaria interna al Regno delle Due Sicilie, per ingannare meglio l’opinione pubblica internazionale. Occorrerà ovviamente fornire alle varie diplomazie, che non volessero né vedere né capire, una buona giustificazione per continuare, appunto, a non vedere e a non capire.

La rappresentazione della tragi-commedia dell’Unità d’Italia, a queste condizioni, può andare in scena.

Gli attori in Italia non mancano ed i ragazzi del coro neppure, alcuni di rango altissimo. Il copione lo ha in tasca da tempo lo stesso Lord Palmerston. Non è affatto segreto, soprattutto a Londra. Ed è condiviso dalla maggior parte degli uomini politici britannici e dalla stessa Regina Vittoria.
Occorre, però, aggiornare i programmi ed organizzare e dare attuazione ad una nuova e definitiva rivoluzione anti-borbonica e filo-italiana in Sicilia. La miccia della millantata rivoluzione la dovranno accendere quei Mille volontari forti e puri, che da Genova andranno a dare soccorso ai ribelli Siciliani e che proseguiranno, subito dopo, verso il «Continente» per dare soccorso ai ribelli Napoletani…

Fatte queste premesse illustreremo gli altri contenuti del copione, seguendone, sin da questo momento e passo dopo passo, l’esecuzione, mettendo a confronto le testimonianze e le descrizioni dell’impresa, dai suoi molteplici punti di vista. La prima parte del copione prevede, come sappia mo, che la Spedizione dei volontari, con alla testa Garibaldi, parta dalla Liguria alla volta della Sicilia. Lo scopo dichiarato: dare sostegno alla immaginata ed immaginaria grandissima rivoluzione in pieno svolgimento in tutta la Sicilia. E della quale la stampa internazionale è stata informata. E continuerà ad essere informata e coinvolta, con grande abilità.

Ovviamente il tutto dovrà avvenire senza compromettere ufficialmente il Governo Piemontese (che pure vi collaborerà a tempo pieno ed attiva- mente). Si dovranno, prima di ogni altra cosa, procurare o, per meglio dire, catturare (fingendo di sottrarli furtivamente), i due grossi piroscafi ‘Lombardo’ e ‘Piemonte’, di proprietà della Società di Navigazione Rubattino di Genova, e portarli al punto di partenza della Spedizione che sarà la borgata marinara genovese di Quarto (a sinistra, foto tratta da trentoincina.it)

I Garibaldini dovranno fare una sosta a Talamone, dove, con un finto colpo di mano, preleveranno le armi. Queste sceneggiate, pur se di qualità scadente, saranno utili a convincere l’opinione pubblica internazionale della spontaneità dell’iniziativa di Garibaldi (che comunque sarà rifornito di ottime armi, successivamente, in Sicilia). Da Talamone, inoltre, staccandosi dal grosso, una piccola colonna di Garibaldini fingerà addirittura di operare un’aggressione allo Stato Pontificio. Ciò per continuare ad ingannare l’opinione pubblica internazionale sulle reali finalità della Spedizione dei Mille.

Ed infine le navi degli eroi potranno puntare le loro prue alla volta della Sicilia, dove tutto è già predisposto per la sorpresa. Non si andrà, tuttavia, a casaccio. La méta prescelta è proprio Marsala, la cittadina dove maggiore è la presenza di cittadini Inglesi, di ogni tipo. È notevole, in particolare, la presenza di grossi imprenditori, che hanno investito capitali ed energie nel prestigioso vino liquoroso denominato, appunto, ‘Marsala’. E che possono vantare, in città, ed in tutta la Sicilia, una certa leadership commerciale e finanziaria. Nel porto di Marsala è peraltro un via vai continuo di navi commerciali britanniche, intensificatosi in modo sospetto negli ultimi tempi.

Per non fare correre alcun rischio ai prodi Garibaldini, è stato previsto che alcune navi da guerra della flotta militare piemontese li seguano senza perderli mai di vista. Lo scopo dichiarato sarà quello di inseguire i pirati che avranno intanto rubato i due piroscafi. Ovviamente la scorta dovrà mantenersi a debita distanza in maniera tale da non raggiungerli, ma, nel contempo, di essere nella condizione di intervenire, in loro difesa, nel caso in cui qualche nave della marina militare del Regno delle Due Sicilie intercettasse e cercasse di fermare la Spedizione.

Tutto previsto, compreso il supporto dell’esercito mercenario Ungherese, che sbarcherà in Sicilia dopo qualche settimana. Si reciterà sul mare, insomma. Ed anche sulla terra. In Sicilia e nel Napoletano, intanto, la massoneria, la mafia (1) e le benemerite Fratellanze di tradizione carbonara, nonché ’ndrangheta e camorra, e tante autorità ed alti gradi dell’esercito e dell’Amministrazione Statale Borbonica, sono stati mobilitati dai servizi segreti di Sua Maestà britanni- ca per rendere tutto più facile all’Eroe dei Due Mondi.

Andiamo, però, con ordine, per non sciupare lo spettacolo… Non privo di sorprendenti aspetti comici. Ma che non ci farà affatto ridere, in quanto foriero di sventure. Anzi causa principale di uno dei più grandi traumi che il popolo Siciliano abbia mai vissuto.(2)

Il copione prevede che la caduta del Regno delle Due Sicilie e la successiva annessione al Regno Sabaudo siano presentati come fatti rivoluzionari, interni allo stesso Regno delle Due Sicilie. Una copertura sottile, ma da non sottovalutare. Per portare a buon fine la conquista, nella realtà gli Inglesi hanno previsto e predisposto l’ingaggio e l’utilizzazione di truppe mercenarie straniere. La più potente delle quali è la Legione Ungherese, della quale avremo modo di parlare più ampiamente.

I mercenari saranno numerosi e, ovviamente, posti al servizio di Garibaldi, con laute ricompense e con ampie possibilità di saccheggio. Figureranno, però, come volontari e come generosi benefattori improvvisamente folgorati, anch’essi, dall’ideale di fare l’Unità d’Italia con a capo, come Re, quel galantuomo di Vittorio Emanuele II di Savoia.

Insomma: tutti Italiani per l’occasione e tutti in aiuto… della Sicilia e della «sua» rivoluzione immaginaria. Con l’impegno – ovviamente – di liberare anche la Napolitania. La parte continentale, cioè, del Regno delle Due Sicilie, Napoli compresa.

(Fine prima puntata/ continua)

(1) Anticipiamo alcune osservazioni su una protagonista, la mafia, che ritroveremo spesso sul nostro cammino. Prima del 1848 ed anche prima del 1860, questa era pressoché inesistente e viveva ai margini estremi della società siciliana. La parola mafia (o meglio maffia, come si è detto e scritto fino alla metà del secolo XX), come termine che indicasse una vera organizzazione illegale, non esisteva ancora nei documenti ufficiali, né nel linguaggio letterario. Il suo ruolo e la sua potenza sarebbero cresciuti enormemente nell’ambito del progetto inglese di fare l’Unità d’Italia. I picciotti di mafia, le loro squadre (al servizio di nobili senza scrupoli, di agrari e di notabili, che avevano paura delle riforme che il Governo indipendentista del 1848 aveva fatto intravedere), fanno da supporto alla politica unitaria ed in particolare all’impresa garibaldina

del 1860. Questi reazionari temevano, altresì, le riforme che il Regno delle Due Sicilie avrebbe varato con il ritorno alla normalità. Da qui la scelta di accettare le offerte ed i compromessi che il  mondo degli unitari offriva. Già dal 1849 sembra che i picciotti delle squadre fossero regolar- mente stipendiati. Ma nel 1860 avviene il salto di qualità dei voltagabbana e del fenomeno mafioso: la mafia entrerà nelle strutture e nel sistema del nuovo Stato unitario, il quale ne avrà estremo bisogno per ridurre più facilmente la Sicilia a colonia di sfruttamento. Il ruolo della mafia, che appesta la vita pubblica e l’economia in Sicilia, è soprattutto quello di contrastare il nazionalismo
Siciliano, prima e dopo il 1860. La mafia sarà strumento della conquista della Sicilia e collaborerà con i partiti dominanti per perpetuare l’asservimento della Sicilia agli interessi del Centro-Nord Italia. Non agirà mai con il popolo Siciliano e per il popolo Siciliano, ma per se stessa.
Anche contro il popolo Siciliano ed i suoi interessi vitali, i suoi valori, il suo diritto alla libertà.

(2) Le conseguenze di quella conquista sono ancora oggi visibili nel degrado della vita pubblica, nella compressione dell’economia, nella deculturazione, nella complicata vita di ogni giorno, nella subordinazione, pressoché totale, agli interessi settentrionali, nelle carenze di ogni genere. E nella vocazione ascarica di non pochi fra i partiti politici dominanti ed i loro uomini in Sicilia.

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