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La vera storia di Luisa Sanfelice e dei suoi compagni

Posted by on Gen 12, 2020

La vera storia di Luisa Sanfelice e dei suoi compagni

Nel 1847 un decreto reale comunicava al paese che il Ministro delle Finanze Ferdinando Ferri era stato ritirato e sostituito con il Cavalier Giustino Fortunato. Il decreto in questione chiudeva la lunga, sorprendente e disinvolta carriera di un personaggio che fu protagonista, nella sua vita, di importanti avvenimenti storici.

Era nato a Napoli il 5 settembre 1767, e, nell’anno della sua giubilazione, aveva compiuto la veneranda età di 80 anni. Compiuti gli studi entrò in magistratura, e quando nel 1799 i francesi entravano a Napoli proclamandovi la repubblica, si trovava all’Aquila in servizio presso quel tribunale. Si trasformò immediatamente in repubblicano: dovette però darsi molto da fare per ingraziarsi le autorità, in quanto come magistrato aveva già giudicato individui accusati di giacobinismo.

A Napoli Ferri conosce una giovane ed avvenente signora, che conduceva una vita brillante e salottiera all’ombra della nascente repubblica: Luisa Molina Sanfelice.

Separata dal marito, viveva in un bel palazzo del centro, e tra i suoi amanti, oltre al Ferri, c’era uno dei figli del più ricco commerciante di Napoli, Gerardo Baccher.

34 anni, tenente di cavalleria e legittimista convinto, come tutti nella sua famiglia, era rimasto a Napoli e non aveva mai cessato di cospirare per il ritorno dei Borbone e per la fine della repubblica giacobina.

Finalmente la sollevazione della città era pronta per i primi di aprile del 1799; il Cardinale Ruffo era alle porte, e la partenza delle truppe francesi diventava sempre più imminente.

Gerardo Baccher decise di dare alla Sanfelice un salvacondotto che la mettesse al riparo da ritorsioni durante la sollevazione popolare, ma la donna, con estrema leggerezza, consegnò il salvacondotto al suo amante repubblicano, il Ferri, che svelò immediatamente la congiura mettendo al corrente Vincenzo Cuoco ed i componenti del Comitato di Salute Pubblica. Il Baccher e tutti gli altri capi realisti furono arrestati e gettati nelle carceri del Castel Nuovo. Il “Monitore Napoletano”, giornale del regime, annunciò con le parole di Eleonora Fonseca Pimentel: “Una nostra egregia cittadina, Luisa Molina Sanfelice, svelò venerdì sera al governo la cospirazione di pochi non più scellerati che mentecatti… La nostra repubblica non deve trascurare di eternare il fatto ed il nome di questa illustre cittadina. Essa superiore alla sua gloria ne invita premurosamente di far pubblico chi ugualmente come lei è benemerito della patria in questa scoperta: il cittadino Vincenzo Cuoco”. La repubblica aveva ormai i giorni contati e, come spesso accade nei regimi agonizzanti, iniziarono fucilazioni e massacri indiscriminati. L’ultimo giorno di vita della repubblica, il 13 giugno, nella piazza di Castel Nuovo furono giustiziati, dopo un sommario processo che apparve ai più come una farsa, e, come scrive Benedetto Croce, “la vendetta e la crudeltà presero la maschera di una necessaria misura di rigore…”, Gennaro e Gerardo Baccher, Ferdinando e Giovan Battista La Rossa e Natale D’Angelo.

Come raccontò un testimone oculare i condannati morirono intrepidamente “tutti contenti di morire per così degna causa”. Il giorno successivo Napoli era liberata, e poco dopo la Sanfelice fu arrestata e gettata in carcere. Nel mese di settembre iniziò il processo, che si concluse con la condanna a morte promulgata il 13 del mese.

Due giudici furono a favore ed uno, Antonio della Rossa, contrario: il 29 settembre la sventurata donna fu portata all’ultimo supplizio, ma uno stratagemma le permise di ritardare l’esecuzione per poi ottenere la grazia, si dichiarò incinta.

“La sorte fu più benigna a Vincenzo Cuoco e Ferdinando Ferri”, dice Croce, ed è quanto meno paradossale. Ebbero entrambi una condanna all’esilio.

I giudici vollero punire nella donna quel che causò con il suo leggero comportamento, più che il reato vero e proprio. Ferri, ma anche il Cuoco e lo stesso successore di Ferri alle Finanze nel 1847, furono in gioventù tutti giacobini. Luisa Sanfelice fu l’ultima dei condannati a morte ad essere giustiziata, quando fu evidente la falsità della sua gravidanza e quando il vecchio Baccher, che si era visto togliere due figli, si recò a Palermo dal Re chiedendo che la giustizia avesse il suo corso: l’11 settembre 1800 veniva decapitata in Piazza Mercato.

Vincenzo Cuoco morirà pazzo nel 1823 e Ferdinando Ferri, dopo una lunga carriera come magistrato della Corte dei Conti, fu nominato ministro nel 1841 alla morte di Giovanni d’Andrea, e morirà novantenne nel 1857.

Certo egli fu, dopo la restaurazione, uomo onesto e probo tanto che si trovano addirittura i nomi dei suoi figli nelle già povere liste di sussidiati da Francesco II e dalla Regina Maria Sofia dall’esilio.

Fino alla caduta del Regno nel 1860 si parlò e si scrisse rispettosamente della Sanfelice come di una sventurata, ma dopo iniziò una sorta di “trasformazione della sventura nella gloria… ed il suo nome cadde in balia degli scrittori di propaganda politica”. Parole di Benedetto Croce.

Roberto Maria Selvaggi

Da “Il SUD Quotidiano” del 27/9/97

1 Comment

  1. interessante leggere la verità dei fatti…a posteriore! Oggi per fortuna la pena di morte non esiste, ma già tanto non servirebbe neppure più perché chi se lo può permettere in qualche modo si mette al riparo, magari andando all’estero o facendola franca…però anche esserci costretto è una condanna.. comunque talvolta mette al riparo anche da una sentenza che a posteriori è ritenuta ingiusta… via che è riuscita a Craxi… e purtroppo non a Mussolini…con lui è un furore ideologico e bestiale che si è scatenato… che nei tempi moderni fa ribrezzo e non è più concepibile! caterina ossi

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