Alta Terra di Lavoro

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L’ARTE ANTICA?SEMPRE QUELLA NAPOLETANA!!!

Posted by on Mar 25, 2016

L’ARTE ANTICA?SEMPRE QUELLA NAPOLETANA!!!

quando si parla di arte e di storia dell’arte basta chiamare Adriana Dragoni e capirai la grandezza assoluta e la magia di queste due parole. di seguito un articolo pubblicato da ILMONDODISUK a sua firma…………….

Quel grande mondo antico che rivive nel paradiso di giardini incantati

Come definire la grande mostra “Mito e Natura. Dalla Grecia a Pompei” al Museo Archeologico di Napoli e a Pompei antica? Senz’altro mitica, nel senso di straordinaria e perché vi è mostrata la natura mitica dei greci. Per i nostri antichi, le divinità sono forze, energie, immagini della natura che appunto qui, nel mondo naturale, vivono. Non hanno forse, anche ora, un’energia divina la Terra, il Mare, il Cielo, il Vino.? E chi sono Demetra, Poseidone, Urano, Dioniso…se non espressioni di una natura divinizzata? L’Iliade (X secolo a.C. ?), ci dice che Okéanos, unito a Thetis, fece nascere uomini e dei. E vale qualcosa il fatto che lo abbia detto Omero, il poeta cieco dell’antica Cuma, città della Magna Grecia, fondata da uomini di mare.
Direi anche che questa è una mostra paradisiaca, perché è bellissima, perché vi sono mostrati giardini insieme alle loro raffigurazioni pittoriche e paradeisos in antico significava giardino. E appunto a Pompei sono in mostra divini giardini incantati. Li si può raggiungere con la Circumvesuviana, scendendo alla stazione Pompei Scavi. E poi si procede a piedi, lungo le mura esterne pompeiane per raggiungere la Porta dell’Anfiteatro. Lungo il cammino, si osservano, sull’altro lato della strada, alberelli ancora rinsecchiti o con precari tentativi di una fioritura primaverile; ma oltre le mura, all’interno della città antica, si vedono cime di alberi sempreverdi, quasi a significare simbolicamente l’eternità dell’Antico.
Entriamo dalla porta per adire alla parte meridionale della città, dove si trovano cinque ville di recente restaurate con i loro giardini. La prima è un grande edificio che viene chiamato Praedia (=proprietà) di Iulia Felix. Il nome di questa Giulia Felice (lo sarà stata davvero?) lo si è trovato in un avviso di affitto posto sulla facciata. Non è una semplice casa: comprende un settore termale con una grande piscina, un’osteria, un grande triclinio, cioè una stanza da pranzo con tre divani sui quali sdraiarsi, un bellissimo giardino con fontane, nicchie e pergolati sotto cui passeggiare e bossi, edere, rose e viti. Gli affreschi che ornavano questo edificio ora si trovano, insieme ad altri mille e cinquecento (si, avete letto bene) nel Museo Archeologico di Napoli, essendo stati staccati, insieme a una parte del muro si cui erano dipinti, verso la metà del Settecento. A quel tempo, infatti, si usava così. Poi si passò a strappare solo la sottile superficie pittorica, infine si tentò di lasciare le pitture in loco.
La casa vicina è detta di Loreio Tiburtino, ma erroneamente, perché ora si sa con certezza che apparteneva a Octavius Quartio, ne è stato trovato il sigillo. Vi si trova un giardino grande quasi il doppio della casa, con fontane un tempietto e dei pergolati. E un giardino e un frutteto si trovano dipinti in due affreschi che ornano due piccole camere da letto (cubicula) nella Casa del Frutteto, che, oltre al giardino, aveva anche un frutteto con un orto. Negli orti pompeiani (una curiosità) poteva esserci un albero di fichi che non ornava mai, invece, i giardini, non essendo considerato una pianta ornamentale come, ad esempio, il limone e il ciliegio. La cura con cui è stato fatto questo scavo, tra il 1918 e il 1992, ha permesso di riconoscere le tracce delle antiche piantagioni che così hanno potuto essere ripiantate secondo lo schema di un tempo. Più tardi, negli anni Sessanta del Novecento, si è riusciti, durante gli scavi, a riprendere il calco delle radici, a esaminare queste e a ripiantare così dopo tanti anni le stesse piante nello stesso luogo. Ora questa operazione è diventata più precisa poiché oggi si può fare l’analisi chimica dei resti dei pollini reperiti nello scavo.
Un grosso errore storico, invece, nel ripiantare i giardini pompeiani, si era fatto nella seconda metà dell’Ottocento, quando vi venivano ripiantate anche piante provenienti dalle Americhe, dall’Australia o da altre parti del mondo ignote agli antichi. La cura dei giardini è importante anche perché il mancato controllo della vegetazione infestante nell’antica area archeologica è pericolosa per la stessa solidità delle strutture murarie e la conservazione dei loro affreschi e mosaici.
La loro ricostruzione permette una conoscenza più reale e completa della vita di un tempo. Ed è importante notare che c’è uno stretto rapporto tra questi giardini e la decorazione pittorica degli ambienti che li circondano. Possiamo vedere le acque dipinte e quelle che scorrono nelle fontane tra il verde. E immaginare le persone distese sui triclini in lieti conversari a godere religiosamente della natura, del verde, del cibo e del vino. Con un senso di ospitalità tutto mediterraneo. C’era un preciso cerimoniale che faceva sì che l’ospite avesse il posto d’onore, nell’angolo sulla sinistra del triclinio, e il padrone di casa si mettesse sul limite destro dello stesso. Come anche nella casa della Venere in conchiglia, dal nome della deliziosa pittura della dea protettrice di Pompei. La Casa di Marco Lucrezio ha la particolarità di offrire alla vista una ricca decorazione scultorea dei giardini: animali, menadi, sileni, satiri e così via. Un tempo erano originali, ma ora, a causa di furti avvenuti tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, si tratta di copie fatte in 3D.
Ma nella mostra pompeiana c’è dell’altro. Nella costruzione provvisoria, a forma di piramide, che, nell’anfiteatro, è stata allestita per le mostre, si possono vedere i cibi degli antichi così come l’eruzione ce li ha conservati: i legumi, la frutta e le pagnotte di pane trovate a decine in un forno, che il fornaio ha abbandonato e chissà lui che fine avrà fatto. Vi troviamo anche il vino, ovvero le anfore che lo contenevano. Erano impeciate di resine che davano al liquore un sapore speciale. Di un vaso è rimasta solo la bocca ma è un coccio importante: su questa è inciso il nome del vino, il falerno, il nome del produttore, Eumachio, e la data di produzione, cioè il nome del console romano che governava in quel tempo. Interessante è, inoltre, sapere che Eumachia è il nome che una lapide ritrovata in un cortile del centro storico di Napoli ci dice essere di una sacerdotessa di Iside.
Importante è anche sapere che anfore di vino con questo marchio sono state trovate nell’Europa del Nord e in Africa. Mi ha spiegato tutto questo, con passione e competenza, Grete Stefani, Responsabile Unico del Procedimento della Sovrintendenza di Pompei e uno de curatori della mostra. Ho avuto la fortuna di averla come guida. E’ una signora affascinante per la sua gentilezza. Racconta molto di piante, di erbe e cose simili. «Lei è una biologa?- le domando. no,- mi risponde sorridendo- ma lo è mio marito». Del quale certo è un’ottima allieva. Ma dove la mostra assume il carattere splendido di un lusso straordinario è al Museo Archeologico di Napoli. E’ troppo lungo parlarne ora ma è troppo bella per tacerne. Alla prossima.

 

Adriana Dragoni

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