Alta Terra di Lavoro

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L’arte del fuoco

Posted by on Mag 23, 2019

L’arte del fuoco

Cai Guo Qiang a Napoli. Dopo i fuochi d’artificio a Pompei la mostra al Museo Archeologico, pensando anche ai trucchi della creazione per scuotere la vita

Booaaaam! un boato fortissimo, enorme, orrendo, lo scoppio di una fiammata improvvisa, la folla accalcata dietro le transenne tutta insieme si ritrae, spaventata, con un coro sommesso: ooohh! 

Se l’arte deve dare emozione, questa volta ci è riuscita davvero: c’è un fremito di paura, mentre una nube scura scura, ora, occupa tutto intorno e il cielo. Grandioso! Poi, tra lo scoppiettio dei fuochi d’artificio, un sottile fumo bianco si leva dai vasi antichi ammucchiati lì davanti, ora cocci, che il fuoco, protagonista, ha reso neri e, dietro di loro, emergono lentamente le statue dello Pseudo Seneca, della Venere Callipigia, di Atlante e poi, su tutti, grande, potente, l’Ercole Farnese, non più di marmo bianco e che sembra di bronzo e poi si trasforma. Strisciate di liquido colore scorrono sulla sua pelle, è rinato, non è solo una statua, ha vissuto. Il lenzuolo bianco, steso là in fondo, è macchiato da tante tinte diverse colate dall’alto.

Questo è accaduto nell’anfiteatro di Pompei per la performance Nel Vulcano, una tappa del “Viaggio di un uomo nella storia dell’arte occidentale”, progetto dell’artista cinese Cai Guo Qiang. Curatore della performance è stato Jerome Neutres, che della città antica ha detto «sembra vivesse con l’arte». E si pensa, allora, alla vicina Casa di Afrodite, dove, in un giardino, un uccellino beve l’acqua dalla fontana e la dea, bellissima creazione magnogreca, è una donna che anticipa di secoli la Venere di Giorgione ma anche la Maya desnuda di Goya, ed è protettrice dell’antica Pompei come lo è oggi la Madonna cristiana. Pompei rivive ancora, eterna. Come la sua arte. Questo ci dice anche Cai Guo Qiang con la sua performance.

La cui organizzazione, complessa e dispendiosa, è stata opera della Fondazione Morra e ha impegnato tantissime persone, dai fuochisti ai vigili del fuoco, agli assicuratori e ai trasportatori di grandi oggetti e di persone, giornalisti e non, italiani, stranieri, soprattutto francesi e, naturalmente, cinesi. «Siamo molto soddisfatti del nostro lavoro. Non tutti sarebbero stati in grado di realizzare tutto questo. Straordinaria la scelta del luogo. E Cai Guo Qiang è un artista eccezionale. Credo che la nostra collaborazione con lui continuerà. Faremo grandi cose insieme», ci ha detto il Presidente della Fondazione, Giuseppe Morra.

Poi ci siamo spostati al Museo Archeologico di Napoli. Nell’atrio, ora, ci accolgono le statue severe degli imperatori romani e dei funzionari imperiali che, a volte, stranamente, hanno le teste troppo più piccole del normale. Hanno sostituito, dicono, altre teste, che ritraevano visi di persone non più importanti oppure morte. Siamo qui, all’Archeologico, a cercare le reliquie dell’avvenimento pompeiano, visibili al pubblico fino al 20 maggio. Domandiamo dove si trovino. Sono itineranti, ci informa una giovane addetta all’accoglienza che ama parlar forbito, mentre ci dice che queste reliquie stanno miracolosamente andando motu proprio a spasso per le sale del museo. In realtà, sono state collocate in varie sale. Ma le troviamo soprattutto nella sala del Toro Farnese. Il famoso gruppo scultoreo rappresenta il supplizio di Dirce che, legata a un toro inferocito, da questi sarà trascinata e ne morrà. È in fondo alla lunga sala e nei pressi dell’entrata, invece, vi sono le statue della Venere Callipigia, dello Pseudo Seneca e di Atlante, coperte di fuliggine, ingrigite, come immiserite dal fuoco pompeiano. Raccolgono uno sguardo un po’ distratto, tra il commiserevole e l’interrogativo, dei visitatori non informati. 

Lì accanto, ancora bellissimo, c’è l’Ercole Farnese, rinato dalle fiamme. Il lenzuolo, lunghissimo (32 metri), un tempo bianco, poi variegato da tanti colori dall’esplosione pompeiana, ora è tenuto in alto per fingere un affresco sul soffitto. Lungo le pareti vi sono anche dei quadri di Cai Guo Qiang disegnati con le dita, come sporcate dalle ceneri, alcuni colorati, con il rosso del fuoco che prevale. Intorno, integre, vi sono le antiche sculture dell’Archeologico. I visitatori sembra amino l’insolito e si fermano soprattutto a osservare l’Artemide Efesia, quella dea che ha tante protuberanze pendenti sul petto, mammelle o scroti ed è bellissima comunque, e si mostrano anche interessati all’impudica attrazione sensuale tra Pan e Dafni e a quella tra Ganimede e l’Aquila, e un po’ meno alla sconvolgente bellezza della costruzione intrecciata e unitaria di Eros con il Delfino. 

Su una parete, si vede il filmato della performance pompeiana. Una signora lo sta filmando. È un architetto. Insegna alla scuola media statale. Mi dice: «Porterò il filmato in classe. Spero così di interessare i miei alunni. Ci tento in ogni modo. Purtroppo i ragazzini d’oggi sono refrattari a ogni stimolo. Li trovo apatici». Non lo sono soltanto loro. Perciò l’arte cerca qualcosa in grado di scuotere, è in escalation, siamo arrivati al fuoco. Che cosa inventerà ancora?

Adriana Dragoni

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